Le recenti elezioni mi hanno divertito oltremodo in quanto hanno reso intolleranti certi individui verso quegli stessi meccanismi democratici dei quali costoro non mancano mai di dichiararsi indefessi guardiani e paladini. Io ho preferito tenere pulita l’anima e quindi ho disertato il seggio giacché reputo il voto un rito pro forma, una superstizione novecentesca, un concorso a premi senza jackpot; inoltre il completamento dei timbri sulla scheda elettorale non dà diritto manco a una radiosveglia né a un qualunque altro gadget da collezione. Cui prodest?
Capisco gli ingenui entusiasmi di quanti si spendano nell’agone politico, mossi dalla parodia del civismo e da un particolare impegno, tipico di chiunque sappia ancora illudere e illudersi, perciò è nell’ordine delle cose che simili persone credano e si battano per innalzare il proprio castello di carta o per minare le fondamenta di quello rivale. Al contempo comprendo perfettamente il feroce disincanto di coloro che osteggiano le elezioni e le denigrano a ogni piè sospinto, ma dal mio punto di vista il modo migliore per non farcisi il sangue amaro consiste nel considerarle un divertissement e niente di più. Può darsi che la democrazia allo (e nello) stato attuale sia davvero il minore dei mali, ma allora non oso chiedermi quale si configuri effettivamente come quello peggiore. Nell’ultima imbarcata di candidati, partiti e circhi vari, la libertà di scelta mi è sembrata assente proprio come nelle precedenti occasioni, ma almeno è rimasto l’imbarazzo della scelta nel senso che ogni possibile scelta poteva avere come unica conseguenza quella dell’imbarazzo. Perché mai sporcarsi le mani e, come già scritto, l’anima? Per me prevenire è meglio che curare e astenersi è meglio che incollerirsi.
Non so se esista davvero una parte giusta, il bene assoluto, ma tendo a credere che spesso tale espressione sia utilizzata in modo improprio per indicare una convenienza materiale, ideologica, identitaria, affettiva, insomma la mendace traduzione di istanze egoiche nelle svianti pretese di un falso altruismo: la solita merda da umanoidi.
Si avvicina la sagra elettorale con ricchi appalti e cotillons, animatori e talora ballottaggi di gruppo: il dado è tratto ed è finito nel brodo. Statisti in erba da ambo le parti prospettano rivoluzioni copernicane, ma a me interessano molto i giardini pensili che sorgeranno a seguito della loro palingenetica elezione: tanta voglia di Babilonia.Personaggi di grande levatura corrono sulle orme di Solone, convinti delle proprie convinzioni in ragione degli stessi pleonasmi e tautologie per cui l’acqua è bagnata, forti del grande merito di essere simpaticissimi, inseriti nel tessuto necrotico sociale e, soprattutto, assidui banditori di aperitivi et apericene.
Talora reduci da una potestà genitoriale fallimentare o da una stagione a Candy Crush inferiore alle attese, avranno modo di entrare nell’humus politico per risorgere a nuova vita e irradiare la res publica. Costoro mi appaiono sotto forma di post sponsorizzati su Facebook che io, qualunquista d’accatto, blocco sempre illico et immediate insieme ai loro autori, e ciò a prescindere dalla squadra di calcetto politico a cui fanno capo. Me misero! Me tapino!
Forse se avessi meno pudore persino io potrei candidarmi, d’altro canto non ho né arte né parte e mi mancano competenze specifiche benché abbia sempre cura di abbassare la tavoletta dopo ogni pisciata. Non so cosa sia la democrazia, è un’astrazione di cui non colgo la quintessenza; d’acchito mi ricorda molto la Corrida della buonanima di Corrado, ma forse a un’analisi più accurata, almeno nella sua concezione moderna, essa può essere definita come l’incontro dello Hobbes con le giovani marmotte.
Non so quale sia l’alternativa e neanche confido nella sua esistenza, tuttavia vedo una buona candidata (questa sì) nella quinta fase del lutto, ossia l’accettazione.