L’attuale crisi ecuadoregna comprova una volta ancora quanto di buono e miracoloso abbia fatto Nayib Bukele in El Salvador, risultati che ai più continuano a restare ignoti, ma da cui io traggo indefessa ammirazione per questo giovane leader.
Se Bukele avesse ceduto alle pressioni internazionali e alle organizzazioni non governative allora il suo paese avrebbe fatto la fine dell’Ecuador, dove l’annuncio di misure simili a quelle salvadoregne ha scatenato la furia dei narcotrafficanti e questa, a sua volta, ha fatto evadere figure di spicco dei cartelli. Uno stato smarrisce la sua ragion d’essere e la sua esse maiuscola appena una forza eversiva riesca a subentrargli o a comprometterne i presupposti.
Il potere può ricamare su di se belle parole e retorica, ma in ultima istanza si fonda e preserva se stesso soltanto con la capacità di reprimere, prevenire o annullare i suoi nemici: il resto non è altro che grammatica istituzionale, salamelecchi da cerimonieri e simboli inutili a cui immolare parole vuote. Ogni dominio è destinato a fiaccarsi e perire, la storia dell’uomo sociale è fatta di un costante avvicendamento ai vertici di schemi piramidali e qualunque equilibrio ha una data di scadenza, perciò la realtà si articola nella piena osservanza di queste dinamiche.
Nella mia nazione immaginaria i narcos vengono messi a morte e vige un forte proibizionismo, inoltre i tossici non sono considerati delle vittime e vengono trattati come complici di un sistema criminale: fantasticare non costa nulla ed è anche un’innocua valvola di sfogo.
L’Ecuador e l’insurrezione dei cartelli
Pubblicato mercoledì 10 Gennaio 2024 alle 21:55 da FrancescoNonostante il livello del mare s’innalzi qualcuno non sa quali pesci pigliare e dubito che tale inazione dipenda da una coscienza vegetariana. Ormai per apparecchiare l’ultima cena nessuno può escludere di mettere sul tavolo l’opzione nucleare, difatti chiunque osasse prodursi in una simile omissione verrebbe meno al bon ton del suicidio di massa: prima il dovere e le buone maniere, poi i (dis)piaceri delle loro conseguenze più nefaste.
Nel libero mercato, il quale è un mercato nero di cui le cronache del medesimo colore forniscono quotidiani ed efferati racconti, la vita ha scarso valore e può essere scambiata con ogni cosa laddove la violenza si faccia puntuale intermediaria. Dall’ultima e squallida rissa tra ubriachi fino ai missili balistici, tutto testimonia contro l’umanità affinché essa stessa si… deponga.
Se le parole non fossero per uso personale, se esse non avessero altra funzione oltre a quella di articolare i propri pensieri e sapessero assolvere un compito dialogico, allora la diplomazia avrebbe un altro nome e ogni suo impiego non potrebbe che produrre accordi perfetti, ma la realtà è scandita dalle dissonanze e sulle lingue babeliche, le quali incidono tutt’al più sulla forma, gli istinti e le pulsioni hanno la meglio e talora si servono delle prime per giustificare ciò che quegli ammassi di suoni e segni non sanno né possono affrontare sul piano sostanziale.
Mi viene da pensare che le atomiche siano come le ciliegie: una tira l’altra. Quale forma verrà data alle macerie e cosa dovranno rappresentare alle totali assenze che ne saranno uniche e possibili spettatrici? Forse una guerra nucleare più che come un problema può configurarsi quale soluzione finale. La violenza chiama violenza perché il genere umano le fa eco e d’altro canto come si può escluderla quando è stata, è ed destinata a rimanere la forza trainante delle grandi disuguaglianze tra simili che definiscono la realtà antropica?
Non so chi abbia doti taumaturgiche né conosco il distributore italiano di bacchette magiche, perciò mi limito a un approccio descrittivo e non anelo nulla di diverso da ciò che dev’essere. Per una volta saranno i funghi (atomici) ad anticipare le piogge (radioattive).
La fontana della vergine di Ingmar Bergman
Pubblicato venerdì 29 Luglio 2022 alle 00:20 da FrancescoDi Bergman amo molto Luci d’inverno perché in quel film secondo me egli riesce a sondare gli abissi dell’esistenza attraverso l’accurata descrizione di uno strazio teologico, inoltre adoro il modo in cui affronta l’ineluttabilità della finitudine ne Il settimo sigillo e in entrambi i casi il mio profondo apprezzamento è anche di natura estetica (oltre alla regia ne ammiro il peculiare bianco e nero), ma è ne La fontana della vergine che a mio parere riesce a coniugare la luce e il buio nel più efferato dei modi.
Anche in quest’ultimo film, in particolare quando il padre di Karin viene inquadrato di spalle e si rivolge verso l’alto dei cieli, avverto quel silenzio di Dio che solitamente è attribuito al nome della trilogia composta dal già citato Luci d’inverno, da Il silenzio e da Come in uno specchio.
Forse soltanto ne Il settimo sigillo avverto un’eguale evocazione degli archetipi, ma nel caso de La fontana della vergine immagino che dipenda anche dall’ispirazione medievale su cui si basa la storia. A mio parere anche il tema della vendetta è preminente sebbene emerga con tutta la sua forza solamente nella parte finale della pellicola. Per me la narrazione è un crescendo che ha due punti apicali nella plastica, favolosa e iconica scena dello sradicamento di un piccolo albero e quando la testa dell’ormai defunta Karin viene sollevata. All’inizio fiabesco fa da contraltare una ridda di tratti che appartengono al concetto di ombra junghiana, o almeno questa ne è la mia percezione, ma proprio da tale opposizione scaturisce a mio avviso il significato ultimo dell’opera di cui ognuno può discutere davvero solo ed esclusivamente con la propria coscienza.
Un uomo folle decapita una chiaroveggente e ne porta via il cranio per usarlo come sfera di cristallo durante i suoi tentativi divinatori. Un padre accompagna la figlioletta a scuola e prima di salutarla le infila nello zaino una bomba a orologeria. Un’ora dopo i pompieri ricevono una richiesta d’intervento a seguito di una forte esplosione. La radio locale interrompe i suoi programmi per dare la notizia della tragedia e rapidamente anche le emittenti maggiori si concentrano sul fatto. L’autore della strage ascolta i notiziari e sorride mentre sistema alcune pratiche nel suo ufficio. Un peschereccio incrocia un’imbarcazione di clandestini che sta per affondare in alto mare. L’equipaggio deride gli uomini disperati che si trovano sul natante di fortuna e osserva quest’ultimo mentre si inabissa. Una madre lancia il proprio neonato verso il peschereccio per tentare di salvarlo dalle acque, ma il piccolo urta contro il fianco dell’imbarcazione e cade in mare sotto le risate dei pescatori. Una ventenne inala diversi grammi di neve settembrina e i suoi cosiddetti amici abusano di lei mentre muore d’overdose, ma per lo meno si prendono la briga di lasciare il suo corpo di fronte alla casa della madre. Un barbone impicca tutti i gatti che trova e ogni giorno ne prende uno dalla sua scorta pendente per cucinarlo sotto il ponte inagibile dove risiede assieme alla sua pazzia. Una maestra di provincia organizza il gioco della campana sopra un campo minato e mette una nota sul registro a ogni alunno che si rifiuta di morire davanti ai suoi occhi.