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Apr

Reminiscenze dal ponte Regina Margherita

Pubblicato mercoledì 15 Aprile 2020 alle 05:36 da Francesco

La notte è finita, ma io devo ancora dormire e allora improvviso come se non potessi più farlo, come se le circostanze avessero lanciato un ultimatum alla mia immaginazione. Attorno a me il silenzio rasenta la perfezione mentre al mio interno vige una certa serenità. Mi sento allineato con il presente e contemplo le sue incertezze come stupende decorazioni.
Un paio d’ore fa sono stato sul punto d’inviare un messaggio a una ragazza, ma poi ho chiesto udienza a cinquanta centesimi e il verdetto mi ha sconsigliato di procedere: alla fine ho seguito il suggerimento della moneta e ho tenuto per me qualcosa che invece volevo condividere. Non so se io abbia sbagliato a non lottare contro il fato o se invece, proprio attenendomici, l’abbia sfidato. Le combinazioni possibili sono molte, compresa quella che non subisce modifiche.
Il pensiero è un atto di creazione e lascia tracce, ma come esse si misurino e quali forme assumano, non mi è dato saperlo. A volte la mente rinnega la sua natura nomade e si ritrova stanziale in qualche angolo di un passato remoto o recente, ma il viaggio continua e passa anche attraverso banalità come quest’ultima. Forse non ho granché da dire e di certo ho poco da condividere. Lascio molto spazio al fatalismo mentre mi occupo di me stesso. Non vado in cerca di qualcosa da cui posso essere soltanto trovato: il gioco dei ruoli è questo, piaccia o meno. Sicuro nella mia latitanza, tutt’altro che ascoso, per adesso mi congedo.

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10
Mar

Un omikuji nefasto

Pubblicato domenica 10 Marzo 2019 alle 13:25 da Francesco

È giunto il momento di tornare a Zante, ma prima di rimpatriare ho preso un omikuji dal tempio di Asakusa per intuire cosa il futuro abbia in serbo per me da una prospettiva scintoista. Ne è scaturito un momento di incontro tra culture, quella oracolare nipponica e quella apotropaica italiana, infatti appena ho letto il responso mi sono toccato i coglioni.
Io penso che ogni sventura sia figlia di ciò con cui Emil Cioran titolò una sua silloge aforistica, “L’inconveniente di essere nati”, ma questo è un altro discorso, vacuo e trascurabile come sa essere ogni parto.
Non idealizzo il Giappone, non potrei mai viverci per molteplici ragioni, e posso immaginare quali motivi concorsero ad acuire la depressione di Tiziano Terzani quand’egli soggiornò a lungo da queste parti, però a me piace tornarci dopo che sia intercorso un congruo lasso di tempo dall’ultima volta.
Ho avuto il privilegio di nascere e ho ancor oggi quello di vivere in un posto magnifico, al quale di certo non appartengo in ragione di vincoli umani poiché “come uno straniero non sento legami di sentimento”, per usare le parole di Camisasca, ma la mia fortuna più grande è stata quella di rendermene conto presto e di non rinunciarci.
Invero non credo al caso. Qualche giorno fa in metropolitana mi è caduto l’occhio su un libro inglese di un autoctono dove ho scorto i nomi di Derrida e Heidegger: nei giorni precedenti il secondo era stato oggetto di mie riflessioni itineranti.
Ammetto le coincidenze solo quando si possano dire significative: questa non è stata la prima volta in cui ho esperito sincronicità junghiane.

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