Due giorni fa sul mio fedele Kindle ho finito di leggere “Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani e ne ho tratto grande giovamento. Dal libro emerge chiaramente la piega presa dall’Asia e il costo del cambiamento socioeconomico che all’epoca aveva già preso ad attecchire sul contente e di cui la Cina odierna è la conseguenza più palese. La scrittura di Terzani è meravigliosa perché il suo approccio non è quello di un giornalista distaccato, bensì di un uomo che in alcuni passaggi sembra ricercare se stesso oltre a qualche storia da raccontare e in questo senso ritengo che la visione della sua ultima intervista, Anam Il Senzanome, quand’egli sapeva già di dover morire, sia davvero illuminante, tanto per fare un gioco di parole…
Le descrizioni dei luoghi, gli aneddoti, le riflessioni sulle implicazioni storiche dei paesi in cui egli transita o si trova a vivere, le contraddizioni culturali e quelle personali: in questo calderone di umanità c’è l’essenza del viaggio! Ironia, amarezza e commozione costellano un libro che mi ha fatto molto bene e nel quale ho rivisto un po’ l’Asia che ho avuto modo di conoscere: di sicuro non la migliore. Massacri, ideologie, avvicendamenti, trattati e cerimonie; indovini, ex guerriglieri comunisti convertiti al narcotraffico, speranze tradite e opulenze contrapposte a povertà di gran lunga più diffuse: questo e molto di più emerge dalla cronaca di un anno in cui Terzani decide di viaggiare in treno, auto, risciò, moto o nave, per attenersi alla profezia di un indovino, poi avveratasi, che diciassette anni prima lo aveva messo in guardia dal pericolo di volare nel 1993.
Malgrado la coincidenza, traspare chiaramente la natura fiorentina di Terzani ed è così che la divinazione si trasforma in una scusa per viaggiare come già allora avveniva sempre più di rado sulle lunghe distanze, ovvero via mare e via terra, a stretto contatto con un’umanità che non si può assimilare a bordo d’un Boeing né tanto meno in un qualsiasi aeroporto, ognuno uguale all’altro come egli sottolinea giustamente.
Già all’epoca era arduo e pericoloso seguire certe vie della seta, ma oggi lo è ancor di più grazie all’impegno che l’uomo profonde per causarsi vicendevole strazio e di questo mi rammarico poiché v’è in me spirito d’emulazione. Tra una pagina e l’altra ho sentito scalpitare più volte il desiderio di ripartire prim’ancora di terminare la frase sulla quale in quel momento mi trovavo a cavalcare la voglia di perdermi in Oriente con rinnovata spensieratezza. Forse perché ne scrivo tante o per la sicumera maturata nei soliloqui in cui ne rivolgo altrettante a me stesso, ma Terzani, anzi Tiziano, mi ha ricordato come io sottovaluti troppo la forza della parola. Namaste!