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Mar

Una faglia s’è mossa

Pubblicato sabato 12 Marzo 2011 alle 12:58 da Francesco

Esattamente un mese fa mi trovavo in Giappone per la terza volta. Gli elementi hanno piegato il Sol Levante, e le acque che secoli addietro lo salvarono dall’invasione mongola, adesso stanno avvicinando una parte del paese ad Atlantide. La storia giapponese è intrisa di tragedie e rinascite così come la cultura nipponica è impregnata di fatalismo, perciò la ripresa della nazione è soltanto una questione di tempo: quest’ultima è condannata a rifiorire, proprio come i suoi ciliegi che tante volte hanno custodito le mie camminate. Negli ultimi vent’anni il Giappone ha perso parte del suo smalto e la catastrofe di cui è vittima sembra un colpo di grazia che difficilmente avrebbe potuto verificarsi in una congiuntura economica peggiore.
Molti esseri umani cercano spesso di antropomorfizzare la natura, ma quest’ultima non ha morale per definizione e personalmente non vedo una concessione materna dinanzi ai suoi spettacoli più incantevoli né ravviso crudeltà alcuna ogniqualvolta il suo dispiegamento risulti fatale o potenzialmente tale per la mia specie. Forse posteri lontanissimi un giorno sapranno influenzare addirittura i pianeti e raggiungeranno una padronanza della materia che i loro avi, miei coevi, ancor oggi riconoscono agli dèi qualora, poveri loro, non abbiano avuto la fortuna di essere baciati dall’ateismo.
Mi sarebbe piaciuto trovarmi nella parte settentrionale di Honshu e sopravvivere alle calamità, tuttavia avrei preferito ancora di più che un evento di tale portata avesse scosso soltanto l’interesse dei sismologi, senza causare vittime né danni. In altre parole, qualora un’apocalisse fosse inevitabile, io vorrei trovarmici e sopravviverci perché sono quasi certo che il contatto con il pericolo e la vicinanza alla morte impartiscano lezioni memorabili. Ovviamente considerazioni del genere sono discutibili, ma non vertono sul male altrui, come invece qualcuno potrebbe leggerle forzatamente per levarsi lo sfizio di puntarmi contro il suo dito preferito.
I cataclismi tirano fuori i lati peggiori e migliori del genere umano. Sorge inevitabilmente il gusto filantropico della solidarietà che fa storcere il naso ai ministri dell’economia sebbene costoro non possano palesare il loro disappunto; suppongo che l’acceso orgoglio dei giapponesi possa indurre il governo nipponico ad accettare soltanto gli aiuti indispensabili. Parallela al cordoglio di circostanza, scorre in certa gente una versione ipertrofica del sollievo di non essere presente nel dramma imperante, qualcosa che assume immancabilmente proporzioni tali da prendere il nome nefasto di Schadenfreude, ma tutto ciò talvolta lo si può vedere riprodotto in scala nelle sale d’attesa dei nosocomi.

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28
Feb

Le calamità e le calamite mediatiche

Pubblicato domenica 28 Febbraio 2010 alle 00:14 da Francesco

La terra scuote le coscienze con i suoi movimenti bruschi ed erige onde monumentali che ogni tanto generano bagni di sangue. La furia degli elementi si presta alle strumentalizzazioni degli imbonitori religiosi che vogliano plagiare le menti deboli e rafforzare i loro poteri temporali, ma può anche rimpinguare le tasche degli sciacalli e deve essere affilata come una daga dai politici per la lotta elettorale che rappresenta il male necessario di ogni sistema democratico. Le precauzioni antisismiche discordano con gli interessi dei costruttori avidi ed è ovvio che la priorità nell’edificazione di certi immobili riguardi soltanto l’aumento degli introiti privati. È in simili occasioni che il pencolio della sicurezza mostra il suo lato più tetro. Non so se sia più spaventevole un cataclisma o la sua cronaca bieca. La stampa ci siede bene sopra i titoli granitici. Il giornalismo cosparge di sale le ferite aperte e si trincera dietro il diritto all’informazione. Gli occhi di certi direttori s’illuminano d’immenso al cospetto delle catastrofi più remunerative, ma d’altronde si tratta di un adagio antico quanto il mondo: la sventura di alcuni è la fortuna di altri. Intanto anche le crepe separano i morti dai vivi e chissà prima della catastrofe quant’erano già le divisioni amare in seno alle famiglie che sono state ridotte o annientate. Mi chiedo se sia possibile misurare la differenza d’intensità tra lo sguardo di un nuovo orfano e quello di un vecchio geologo. La raccolta di fondi e la raccolta di cadaveri sono appuntamenti imperdibili in circostanze del genere, ma la prima non fa soltanto gola ai filantropi mentre la seconda suscita una bramosia smodata esclusivamente nei necrofili. Di rado sono disposto a rivedere un film che ho già visto e nel frattempo gli emigranti baciano la miseria che per un giorno si è tramutata in fortuna, ma a costoro non resta che guardare in differita le macerie dei loro paesi d’origine mentre coltivano l’orticello di speranze.

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