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Lug

Il lutto di Antonio Onofri e Cecilia La Rosa

Pubblicato sabato 2 Luglio 2022 alle 17:33 da Francesco

La mia lettura più recente è stata quella de “Il lutto”, un saggio a quattro mani scritto da Antonio Onofri e Cecilia La Rosa che si occupa dell’argomento da una prospettiva EMDR (eye movement desensitization and reprocessing), ma il mio interesse non si è rivolto tanto a questo approccio terapeutico quanto all’analisi del fenomeno e quindi ai suoi caratteri più generali rispetto alla specificità di qualsiasi trattamento.
Per me approfondire il lutto è un espediente con cui esaminare a ritroso la composizione del desiderio e dell’attaccamento, qualcosa di simile a ciò che in informatica si chiama reverse engineering, ma almeno nelle mie intenzioni lo scopo precipuo è quello di mediare la questione attraverso una sorta di decostruzionismo alla Deridda.  
A mio parere tramite la comprensione dell’assenza si possono ricavare le ragioni di una presenza compiuta o auspicata e dalla loro correlazione è poi possibile risalire alla meccanicità del tutto, incluso il ventaglio di gioie e afflizioni che a mo’ di tachimetro emotivo indica quelle espressioni artistiche che siano improntate a un’inconsapevole automazione, come se il libero arbitrio fosse un prodotto di fabbrica, frutto di un’alienazione di marxiana memoria.
Ecco dunque che tra le pagine de “Il lutto” concetti quali quello di catessi, la subdola funzione dell’autorimprovero, il riordino del sé dopo l’evento traumatico, i correlati fisiologici di processi interiori e molto altro di analogo permettono di circoscrivere il campo d’indagine mentre al contempo ne stabiliscono i canoni: la sterminata (in molteplici accezioni) realtà diviene così più a misura d’uomo. In ultima analisi mi sono servito di questo testo per un fine diverso da quello che immagino fosse nelle intenzioni degli autori, nondimeno ne ho apprezzato l’utilità.

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4
Dic

Miti e simboli dell’India di Heinrich Zimmer

Pubblicato sabato 4 Dicembre 2021 alle 12:52 da Francesco

La mia lettura novembrina è stata quella di Miti e simboli dell’India, un saggio concernente aspetti della religiosità vedica a me già noti, ma di cui il testo di Heinrich Zimmer mi ha offerto ulteriori e interessanti approfondimenti. Basilare ma doverosa la spiegazione iniziale di come ogni ciclo del mondo per l’induismo sia ripartito in quattro età definite yuga e il cui avanzamento va di pari passo con un impoverimento del dharma, ossia dell’ordine morale.
Altra definizione capitale e precipua riguarda i concetti di maya e shakti, laddove la prima indica il mondo fenomenico, quanto è manifesto e illusorio, mentre la seconda è l’aspetto dinamico della prima che ne genera e ne alimenta le epifanie. Zimmer dà conto in più occasioni degli apparenti dualismi che attraversano l’induismo, perciò egli spiega come la shakti rappresenti il potere attivo di una divinità e ne sia la consorte o regina, in complementarietà e opposizione all’elemento passivo maschile (l’eternità): in un passaggio l’unione dei due viene descritta come autorivelazione dell’Assoluto.
Molte sono le pagine dedicate ai simbolismi e alla cosmogonia che mi hanno avvinto, ma è stata in particolare la storia del tracotante Jalandhara a colpirmi poiché il suo tentativo di prendersi in sposa Parvati fa compiere all’autore un parallelismo con il mito edipico, paragonando la consorte di Shiva a Giocasta al fine di sottolineare come il possesso della moglie di un sovrano risponda a un preciso rituale di potere e sia quindi scevro di tutte le implicazioni freudiane.
Sessuale, archetipico e fortemente simbolico è il linga, oggetto fallico d’elezione per il culto di Shiva in quanto energia maschile creatrice, ma il dio è anche distruttore e questa sua duplice natura viene esplicitata dalle principali danze che egli padroneggia: la Tandava e la Lasya.
La gerarchia delle divinità, la differenza tra Brahma e Brahman, i vari aspetti di Shakti (di cui a me piace molto la Kali nera) e, soprattutto, lo stato di prigionia al quale ogni individuo è costretto dalla propria Maya-Shakti (e quindi dalla cosiddetta nescienza) che egli stesso genera, sono altri elementi ivi presenti e stimolanti la cui lettura mi ha ricordato di nuovo quanto verso tutto ciò sia debitrice parte della filosofia occidentale. Duecento pagine spese bene.

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1
Lug

Pubblicazione di Nuovo nichilismo solidale

Pubblicato venerdì 1 Luglio 2016 alle 23:59 da Francesco

A quattro anni dalla sua stesura ho deciso di rendere disponibile il mio ultimo libro in formato cartaceo e digitale. Non penso che nello spazio profondo o sul globo terracqueo qualcuno sia davvero interessato a ciò che scrivo, però ai miei occhi la mancanza di un qualsiasi seguito non toglie nulla al valore proprio della cosa: si tratta di aseità.
Mi preme ricordare come Nuovo nichilismo solidale fu scelto da una platea di cinquemila testi per concorrere in un talent letterario di dubbio gusto che andò in ondà su Rai Tre nell’anno di grazia duemilatredici; io stesso mi recai a Torino per prendere parte alla trasmissione e nonostante il consenso unanime dei tre giudici fui eliminato. Contro di me vinse una concorrente che manco poteva partecipare al concorso poiché aveva già all’attivo una pubblicazione e tale circostanza era espressamente vietata dal regolamento; regolamento al quale, come sovente capita nelle terre italiche, fu data scarsa importanza, tanto da sembrare quasi facoltativo.
Comunque poco male: pochi giorni dopo le registrazioni del programma partecipai alla cento chilometri delle Alpi e arrivai sesto, stabilendo il record personale di nove ore spaccate che non ho ancora battuto. Ah già, il mio cazzo di libro. Se qualcuno volesse azzardarsi a prenderne una copia a spese degli alberi può trovarlo qui; invece chi preferisse il formato digitale può trovare l’e-book su Amazon.

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