Mi trovo ancora sotto i cieli ordinati a eternità e non cerco di venire a capo delle ragioni per le quali altri il capo lo perdono. Mantengo la debita distanza dai debiti di riconoscenza ed evito di maturare crediti della stessa risma. Nelle terre galliche le città s’illuminano con gli intensi fuochi di proteste pretestuose; a nord del Mar Nero invece delle stessa pece sono le notti urbane dovute ai blackout e ai lutti. La cosiddetta civiltà non può affrancarsi dalla sua pulsione di morte, tutt’al più le è dato di ammansirla in periodi di tregua che talora sono chiamati impropriamente periodi di pace. Di sicuro le parole hanno un peso, ma credo che gli esplosivi facciano più male.
Una parte del mondo combatte per un certo uso dei pronomi, altrove invece il problema non sussiste giacché restano da chiamare soltanto i fantasmi in mezzo alle macerie. I problemi del primo mondo sembrano al primo posto e spesso per secondo non c’è nulla: chissà, può darsi che il carrello un po’ vuoto sia colpa dell’inflazione o della spinta incarnata da Thanatos (in senso greco, non a mo’ di creatura della Marvel).
Nei paesi avanzati, dove gli avanzi abbondano e invece dell’inedia la vexata quaestio è quella di normalizzare l’obesità, ormai è tutto burocratizzato, a misura delle forzature di chi vuole imporre nuovi paradigmi in ragione dei suoi complessi d’inferiorità: persino l’amore e l’odio devono esibire le rispettive marche da bollo. Pare (invero in meccanica è accertato) che a ogni azione corrisponda una reazione uguale o contraria, perciò mi chiedo se il gioco manuale dello specchio riflesso non sia il migliore modus operandi per dirimere qualunque controversia.
Assisto all’incedere degli eventi e desisto da una mia attiva partecipazione agli stessi, almeno per quanto mi è possibile: credo che tutto vada come deve andare e di certo non ricade su di me l’onere di dimostrare il contrario. Io mi trovo sempre al solito posto, ai margini delle righe e tra le pause di uno spartito che non eseguo: buona la prima e tutte le altre.
Non ho la febbre né la leucemia del sabato sera, perciò non frequento nosocomi né locali alla moda, ma talora odo le sirene delle ambulanze che viaggiano rapide verso emergenze sempre nuove: ed è subito effetto Doppler. Non ho chiaro in quale punto della mia esistenza io mi trovi, tuttavia mi chiedo quanti possano cartografare con precisione le rispettive posizioni sulla fredda linea del tempo a loro disposizione. Da certe prospettive non mi sono mosso di un millimetro da quando circa sedici anni fa presi a vergare le mie elucubrazioni su queste remote e ascose pagine virtuali, ma sotto altri aspetti mi sono visto artefice e testimone di epocali mutamenti al mio interno. Almeno in parte credo che anche per me valga l’adagio secondo cui “tutto cambia affinché nulla cambi”.
Non ho mai fatto progetti a lungo termine, non ho mai costruito ponti né coltivato rapporti di alcun genere e intanto un po’ di acqua sotto i ponti è passata. Nei confronti altrui non mi sono mai impegnato e per rivendicare cotale pigrizia sono venuto persino meno alle pulsioni della specie, ma nel mio caso la scelta si è rivelata azzeccata, opportuna, forse doverosa. Dal futuro non mi attendo nulla di particolare e spero che lui di converso non si aspetti da me niente di più della mia incerta presenza fino al termine del turno.
Bene o male ripeto sempre le stesse cose per trarmi d’impaccio da qualche fuggevole dubbio a cui non do troppo peso affinché si presenti bene alla prova costume. Non mi sono mai messo a contare le pecore né le possibili verità, però immagino che il numero di entrambe sia cospicuo. Ho me stesso e senza alcuna falsa modestia né tema di smentita mi sento di affermare che non sia poca cosa. Non mi reputo la persona più indicata per cercare dispersi o ambizioni.