6
Set

Crisi esistenziale nel senso di vuoto

Pubblicato sabato 6 Settembre 2014 alle 18:05 da Francesco

Dopo dieci anni la mia sublimazione è terminata e ora è come se dovessi combattere disarmato. Anche se continuo a correre e ad apprendere, non riesco più a dirottare in queste attività tutte quelle forze che invece esigono uno sbocco nella vita affettiva.
A trent’anni non so ancora cosa siano un bacio, un abbraccio, una scopata, non ho idea di come i sensi esultino nella piena complicità di due corpi. Non so cosa significa primeggiare nei pensieri di qualcuno, non conosco i brividi di un’intesa fisica e platonica. Posso contare su meno di dieci dita le volte in cui ho aperto il cuore, ma ogni volta ho pensato che ne valesse la pena e non me ne sono mai pentito. Potrei trovare dei rapporti carnali o delle amicizie femminili molto profonde senza troppi sforzi, ma mi deprime l’incompletezza che percepisco nei primi come nelle seconde e a questi rapporti imperfetti preferisco la solitudine perché mi nuoce di meno.
Per me è tutto o niente: io non conosco mezze misure ed è anche per questa ragione che ho sempre tagliato i ponti in maniera definitiva quando le cose non sono andate per il verso giusto. Un tempo mi bastava intensificare qualche allenamento o protrarre le mie letture oltre il solito per trovare subito sollievo e per instradarmi verso nuovi orizzonti, ma ora tutto ciò non funziona più e Freud aveva ragione: la sublimazione non può durare per sempre.
Non so dove sbattere la testa e sono in balìa degli eventi. Cerco di pensare il meno possibile e tendo gli addominali quando sento le fitte della frustrazione. Ovviamente questo stato emotivo m’indispone e così, anche se dovesse capitarmi l’occasione di conoscere una ragazza, non sarei in grado di mostrarmi per quello che sono, ma nel migliore dei casi potrei dare solo una pallida imitazione di me stesso. Non ho mai usato droghe, non ho mai fumato, non ho mai pregato, non ho mai assunto psicofarmaci e non ho mai bevuto alcolici, perciò non ho anestetici di alcun tipo ed è solamente la corsa che mi ha permesso di alzare la mia soglia di sopportazione del dolore.
Questa crisi esistenziale non dipende dall’ultimo rifiuto che ho ricevuto, bensì dal modo in cui mi ha indotto a fare un bilancio della mia esistenza e dalla sua concomitanza con la perdita della mia capacità di sublimazione.
Non c’è nessuno che possa aiutarmi perché devo uscirne da solo, ma è come se avessi le mani legate e qualche pensiero oscuro trova uno spazio in me che prima non avrebbe mai reclamato.
Ci sono parole note che mi ripeto : “Per te non sorga il giorno che alla tua gioia sia compenso di dolore […] sii forte e sereno anche nei giorni dell’avverso fato”.
Mi sento lo spettro di me stesso ed è come se non fossi mai esistito. Mi ritrovo ad affrontare ciò che sono riuscito solo a contenere per lungo tempo. Non trovo un appiglio, una direzione, fosse anche quella sbagliata. Ho soltanto la mia lucidità, tuttavia è anche attraverso quest’ultima che provo per intero le sferzate del senso di vuoto. Non mi piace il vittimismo e non voglio essere ingiusto verso me stesso, ma non posso neanche sottovalutare la portata di tutto quello che mi sta succedendo dentro. Ancora una volta Eros e Thanatos lottano instancabilmente.

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13
Gen

Senza contare i passi

Pubblicato venerdì 13 Gennaio 2012 alle 10:26 da Francesco

Ho attraversato qualche turbolenza, ma sono ancora tutto intero. Non mi aspetto giorni facili né infernali. Se non avessi fiducia in me stesso sarei completamente perso. Riesco a contenere le mancanze affettive con l’amor proprio, ma qualche volta vado in debito di ossigeno com’è anche giusto che sia. La mia natura non mi consente di mettere una pietra sopra certe cose dato che non ho la stoffa dell’eremita né quella per cucire un saio: devo tenere spalancate le porte del cuore e al contempo mi vedo costretto ad accettare che qualche virus possa approfittarne.
Se cercassi di cambiare la mie inclinazioni mi farei un’inutile violenza per proteggermi, insomma alzerei una di quelle difese che in realtà sono vili reazioni al modo in cui l’esistenza non segue il corso sperato. Non è affatto semplice mantenere un equilibrio del genere perché qualche volta è come trovarsi in un fuoco incrociato. Il nocciolo della questione sta dentro di me, però io non basto e in quest’apparente contraddizione sembra che il tutto sia davvero di più della somma delle parti. Per ritrovarmi corro o cammino in scenari bucolici, luoghi che spariranno, come me d’altronde. Adesso sono qua, presente a tutti gli effetti, e non ho fretta di sloggiare. Davanti si snoda una strada d’ombre, crepuscolare, però laggiù c’è qualcos’altro: ben oltre la fine.

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3
Gen

Le scatole cinesi al tempo della crisi

Pubblicato martedì 3 Gennaio 2012 alle 10:58 da Francesco

Il mondo non è peggiorato, bensì è solamente giunta notizia delle sue reali condizioni a quanti credevano di risiedere in una botte di ferro che, di giorno in giorno, assomiglia sempre di più ad una polveriera. La tristezza si acuisce in congiunture del genere perché trova un campo fertile su cui espandere la propria sterilità. Quando il presente non è dei più rosei e il futuro pare che non abbia margini di miglioramento, allora tutti i fantasmi di una persona si preparano con il coltello tra i denti, pronti per un assalto all’arma bianca.
In situazioni del genere ogni problema viene amplificato all’inverosimile e degli scogli prendono le forme della cordigliera andina. Il bombardamento mediatico non dà tregua e cerca in qualsiasi modo d’incutere paura, ma si può avere il polso degli avvenimenti senza lasciarsi foraggiare da pane e catastrofismo. Sarebbe più facile affrontare la crisi economica se questa a sua volta non ne aprisse d’interiori. Ci pensi bene chiunque decida di togliersi la vita dato che per crepare c’è sempre tempo, invece per vivere la tirchieria della natura concede pochino: potrebbe fare di più. Non condanno il suicidio e talvolta lo trovo un gesto di estrema libertà, ma soltanto in quei casi in cui non venga dettato da eventi tragici, qualora non sia estorto dalla vita e invece ne diventi il coronamento.
Probabilmente non è il momento migliore per farsi mancare l’affetto, tuttavia può trattarsi di una nuova occasione per mettersi alla prova. Qualche settimana fa elogiavo la bellezza invernale e mi fregiavo della solitudine, ebbene, oggi non sono più così baldanzoso perché anch’io ho preso a combattere qualche spettro e devo essere sincero: mi addormenterei meglio se potessi farlo accanto a qualcun altro. Il sottoscritto porta avanti la sua campagna senza vittorie né sconfitte.

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6
Nov

Nel resto del tempo

Pubblicato domenica 6 Novembre 2011 alle 18:28 da Francesco

Sono molte le domande che potrebbero vorticare in questi giorni, ma io non intendo dare asilo a nessuna di loro né agli assilli che ne costituiscono gli arti prensili. Talvolta, per orientarmi, i punti cardinali mi sembrano del tutto inutili, però io non pretendo di conoscere sempre la direzione giusta. Mi perdo nel vuoto, ma quest’ultimo è il mio eremo d’oro; un rifugio desertico, il piano da inclinare per osservarne altri, l’oasi ove accendere fuochi fatui dei quali non restano mai tracce neppure nelle notti che si avvicendano senza posa, ignare l’una dell’altra.
Non ho meriti particolari e l’unico degno di nota consiste nella facoltà di sottolinearne l’assenza con calma olimpica. A differenza di chi ne fa vanto o croce, io non posseggo ferite lacerocontuse sul cuore, ma solo un po’ di polvere che m’auguro non venga spazzata via da un soffio cardiaco. Ai bivi non bivacco e saluto chiunque s’affretti a imboccare una via mentre parte del sé muore di inedia. Assecondo la mia buona stella benché io non creda affatto nell’astrologia e la consideri adatta come oggetto di scherno. Cos’altro ha da offrirmi il tempo che non presenti quelle forme di cui nessuna malattia neurodegenerativa ha ancora privato la mia memoria? Foss’anche una continua ripetizione, io accolgo a braccia aperte l’esperienza di quest’esistenza e mi rammarico un po’ se non riesco a sfuggire alla retorica per declamare la mia disponibilità a fruire della vita.

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2
Apr

L’ormone della felicità

Pubblicato sabato 2 Aprile 2011 alle 10:51 da Francesco

Finalmente ieri, dopo quasi due mesi, sono tornato a correre. Ho accorciato di tre chilometri il mio itinerario e di conseguenza ho coperto una distanza di diciottomila metri con un passo di quattro minuti e quaranta al chilometro. Ho sentito le gambe pesanti e il vento contrario non mi ha facilitato la prestazione, però sono soddisfatto di questo ritorno e credo che presto riotterrò la velocità di un tempo sul percorso originale.
Al di là delle questioni tecniche, per me è stato davvero importante il ritorno alla corsa anche e specialmente sotto l’aspetto emotivo. Non posso certo seminare podisti esperti e più svelti, ma quando corro riesco a lasciarmi dietro ogni delusione, ogni aspettativa funerea, ogni dolore e tutto l’armamentario della tristezza. Quando torno a casa non c’è nessuno ad aspettarmi, ma dopo una fatica del genere non rientro mai abbattuto e anzi, un profondo senso di orgoglio mi fa sempre strada. Talvolta, di sera, dopo una mezza maratona (o una distanza che le si avvicini molto) io sfioro la commozione e qualche volta arrivo anche al punto di lacrimare. L’attività fisica è lo strumento con il quale mi sono salvato la vita  e per mezzo di cui me la continuo a rendere piacevole. La produzione di endorfine che avviene durante la corsa svolge un ruolo importante in tutto ciò, ma non è una questione esclusivamente biochimica e difatti, almeno nel mio caso, il primo motore è quello della volontà di vivere. Ogni tanto, se potessi sdoppiarmi, mi abbraccerei. Tra dieci anni mi vedo ancora sulle stesse strade, sotto gli stessi soli pomeridiani, tra equinozi e solstizi ormai assodati, con auricolari (questi mi auguro diversi!) per veicolare melodie veloci e potenti, con le smorfie facciali forse un po’ avvizzite  Chissà, per me e la corsa potrebbe valere una celebre formula che di solito ricorre in altri ambiti: “Finché morte non vi separi”.
Nei giorni precedenti il mio stato d’animo era sceso drasticamente perché avevo visto collassare su se stessa un’occasione rara e meravigliosa. Il desiderio genera sofferenza, ma è un rischio che sono sempre pronto a correre, in tutti i sensi. Dovrei scrivere certe cose a qualcuno, ma alla fine anche così va bene, senza parole.

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6
Ago

Un’altra strage

Pubblicato giovedì 6 Agosto 2009 alle 19:55 da Francesco

Gli Stati Uniti sono i migliori produttori di follia omicida e questo primato è stato consolidato ancora una volta da una nuova strage che si è verificata due giorni fa in una palestra di Pittsburgh. Ho cercato le ultime parole dell’assassino, George Sodini, e dopo qualche tentativo sono riuscito a trovare la copia di una parte del suo sito che al momento risulta inaccessibile. Le parole che Sodini ha lasciato in eredità dipingono il ritratto di un uomo solo e disturbato: nulla di nuovo né di raro. Credo che costui abbia cercato in qualche modo di interpretare i problemi della sua vita, ma da quanto ho letto mi è parso che abbia addotto diverse scuse per compatirsi e giustificare il suo piano criminale. Egli aveva un buon impiego, una bella presenza e l’illusione che queste caratteristiche potessero bastare per garantirgli la felicità di cui sentiva un estremo bisogno. Le sue parole erano piene di rassegnazione e rabbia, ma le ho trovate anche scontate e sciocche. Questi eventi dimostrano come spesso la solitudine venga considerata un castigo invece d’un occasione e non penso che la società abbia colpa poiché a mio avviso certi meccanismi interiori possono essere regolati soltanto dal diretto interessato. Se Sodini avesse avuto una fidanzata o una moglie la sua follia non sarebbe stata debellata, ma forse sarebbe restata latente per sempre o avrebbe subito un ritardo nella sua tragica concretizzazione. Immagino che non basti avere una persona a fianco per spazzare via i propri problemi e non penso che si possano instaurare rapporti sani con altri individui prima di risolvere qualsiasi conflitto con sé stessi. Sodini non è stato il primo e non sarà l’ultimo uomo ad essere armato da un’interpretazione distorta della realtà. Ricorrendo a un po’ di humour nero potrei scrivere che la solitudine uccide davvero! A parte gli scherzi fuori luogo, non è difficile trovare soggetti che affidino il loro equilibrio a una relazione malsana o al desiderio incessante di averne una e sebbene le conseguenze spesso non siano eclatanti come quelle di Pittsburgh, ciò non toglie che tali episodi siano altrettanto dolorosi nonostante sfuggano a qualsiasi sguardo. Diffido profondamente di chiunque tema l’isolamento temporaneo o permanente e allo stesso modo guardo con sospetto chiunque neghi l’importanza delle relazioni interpersonali. Esistono persone apparentemente stabili e affermate che sono inconsciamente pronte a innescare la propria autodistruzione qualora i loro fragili equilibri vengano rotti da un evento inatteso; non è raro che i lutti e le separazioni lascino strascichi sanguinolenti. Alla luce di tutto questo io mi sento molto fortunato perché vivo al di sopra della sofferenza comune senza precludermi alcuna possibilità. Purtroppo la depressione è una piaga diffusa e penso che l’introspezione sia uno degli strumenti più efficaci per sconfiggerla, a patto che non sia di carattere organico.

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17
Giu

Gli schiavi della solitudine indomita: seconda parte

Pubblicato martedì 17 Giugno 2008 alle 09:55 da Francesco

La seconda e ultima parte di questo scritto è caratterizzata da un’impronta meno ironica e lascia più spazio ad alcune considerazioni personali. Ho già sottolineato quanto io reputi importante la capacità di gestire la solitudine, ma credo che le mie parole debbano soffermarsi ancora su questo punto. Suppongo che la povertà e la ricchezza, la cultura e l’ignoranza, la fama e l’anonimato, il potere e l’impotenza siano delle entità artificiali con le quali i membri della società umana si diversificano in base a dei valori quantitativi, ma ipotizzo che a capo di queste discriminanti ve ne sia una più grande: la governabilità della solitudine. Penso che una persona con molto denaro possa essere pericolosa qualora non si renda conto di quanto i suoi averi valgano poco al cospetto della padronanza di sé, tuttavia non voglio negare alla cartamoneta la sua importanza e ritengo ingenuo chiunque stigmatizzi i soldi per esprimere il suo disprezzo verso alcuni modi in cui essi vengono ottenuti. Mi disgusta chi possiede molte nozioni e allo stesso tempo non conosce nulla di sé stesso. Mi pare che talvolta la cultura venga confusa con l’intelligenza, ma io non penso che la prima sia un sinonimo della seconda e credo che lo studio possa costituire una forma di suicidio qualora tra i suoi scopi primeggi l’obiettivo di ignorare alcune questioni introspettive. In base a quanto ho scritto finora vedo qualcosa di paradossale nella fama nei casi in cui essa appartenga a qualcuno che risulti più familiare ai suoi estimatori che a sé stesso. Trovo che la solitudine sia un’entità giusta e penso che quest’ultima offra le stesse possibilità ai prigionieri e ai loro carcerieri. A mio avviso l’autolesionismo è un’offesa alla solitudine e immagino che quand’essa subisca un simile affronto assuma delle sembianze patologiche per diventare una malattia vendicativa. Le domande che seguono sono accomunate da una risposta che non ha bisogno di essere enunciata. Cos’è che arma gli studenti universitari negli atenei? Dove nasce la forza negativa che porta all’uxoricidio? Chi accompagna la canna di una pistola alla tempia di una persona? Qual è la sorgente da cui sgorga la meschinità che appartiene a chiunque nasconda la parte più recondita della propria personalità? Cosa induce taluni a un’esuberanza artificiosa? Connoto la solitudine come una forza indipendente e demiurgica e penso che sia tale soltanto nel microcosmo di ogni persona, perciò non la elevo al pari di una divinità collettiva e come al solito mi tengo lontano da qualunque fantasia ultraterrena che si prodighi nella distribuzione di comodità pericolose per l’intelletto. Credo che la volontà sia l’unico punto di contatto che possa instaurare un dialogo corretto tra il singolo e la sua solitudine affinché quest’ultima possa rivelarsi nel suo splendore per diventare il fondamento savio di ogni rapporto interpersonale.

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15
Giu

Gli schiavi della solitudine indomita: prima parte

Pubblicato domenica 15 Giugno 2008 alle 00:01 da Francesco

Trovo molto irritante chiunque cerchi insistentemente di portare i propri piagnistei all’attenzione altrui. Credo che sia legittimo lamentarsi per qualsiasi cosa, ma ritengo che soltanto ad un’indignazione sincera e giustificata debba essere assicurato un posto nell’interesse pubblico. Non riesco a equiparare le proteste di chi è costretto a subire la prevaricazione delle organizzazioni criminali alle rimostranze di chi è stufo delle proprie delusioni amorose, tuttavia mi rendo conto che una comparazione del genere possa apparire sensata nel caso in cui venga veicolata dai mezzi lucrativi che vertono sul voyeurismo e immagino che un tale abominio favorisca un assopimento della coscienza civica qualora la personalità dello spettatore sia troppo debole per ottemperare ai suoi doveri censori. Non mi appresto a tessere una critica inutile e banale nei confronti dei mass media, ma voglio evidenziare come il meccanismo ingannevole che ho esposto poc’anzi sia diffuso anche tra le persone comuni. In quest’ultimo caso i mezzi lucrativi che ho citato in precedenza non generano un profitto economico, ma versano nelle casse dell’Ego un guadagno di poco conto. A mio avviso questa attività controproducente concede un’importanza eccessiva a determinate questioni e ne sottrae altrettanta ad alcune problematiche che a seguito di una visione più chiara possono rivelarsi più urgenti di quanto sembrassero in un primo tempo. Ciò che ho scritto finora è riscontrabile in quei soggetti che non sanno gestire la loro solitudine e cercano in ogni modo un contatto esterno invece d’impiegare il loro tempo per migliorare le proprie condizioni. Gli individui in questione sono facilmente riconoscibili perché indossano spesso un paraocchi che impedisce loro di notare quanto siano ridicoli e disperati, inoltre si palesano completamente quando cercano di appropriarsi dello stile di chi possiede una personalità consolidata e finiscono per diventare le copie sbiadite di qualcuno che hanno idealizzato in un momento parossistico o si trasformano nelle caricature di loro stessi. Se la natura non avesse dato a costoro una forma umana probabilmente essi sarebbero apparsi in qualche livello di “Final Fight” per appagare ugualmente il bisogno di combattere contro un’entità virtuale: la loro noia esistenziale. La scelta di un personaggio, un percorso lineare e azioni ripetitive: tre componenti che appartengono ai videogiochi degli anni ottanta e alle vite di alcuni inetti pedissequi.

Final Fight

Questo scritto non è una disamina con cui voglio avallare un giudizio netto su un tema vago, ma si tratta di uno sberleffo attraverso cui ironizzare sull’invadenza e la goffaggine di chiunque non abbia abbastanza carattere per gestire la propria individualità al di fuori delle attenzioni altrui. Taluni vogliono ottenere facilmente una considerazione che travalichi il loro valore reale, pretendono che qualcuno guardi le loro imprese e spesso assomigliano a dei cani che attendano una ricompensa dal loro padrone. Le mie parole sono aspre e ciniche, ma possono tornarmi utili ogniqualvolta io debba allontanare qualcuno che soddisfi tutti i requisiti pusillanimi dell’indolenza petulante. Penso che alcune persone non possano comunicare tra di loro nonostante parlino la stessa lingua e condividano un certo livello culturale, perciò mi rifiuto di fornire spiegazioni a qualcheduno che io non reputi in grado di afferrarle. Quando il mio silenzio incentiva l’insistenza io divento un individuo sgradevole, ma credo che talvolta sia necessario abbassarsi ad un livello piuttosto infimo per estirpare certe radici e di conseguenza accetto tranquillamente le espressioni animalesche del mio carattere. Non mi piace psicanalizzare la gente e non penso di avere i titoli per farlo, ma provo sempre ad avvalermi di qualche nozione per scremare i miei rapporti sociali e di solito ottengo dei risultati soddisfacenti. Le personalità disturbate a cui mi riferisco non sono in grado di dialogare, ma usano l’interlocutore di turno per lanciarsi in monologhi noiosi che spesso mettono in risalto degli scenari interiori piuttosto desolanti. A questo proposito voglio citare due casi emblematici. Una volta una ragazza mi disse che io non avevo una vita reale mentre lei si vantava di trascorrere le sue sere con l’alcol, la droga, il sesso occasionale e le chiacchiere dei suoi amici, ma quando parlava della sua esistenza ricorreva spesso a termini tristi ed era evidente che attraverso la critica della mie rinunce salutistiche cercasse di giustificare la sua condotta nociva. Il secondo episodio riguarda un vecchio frocio di quarant’anni che un po’ di tempo fa mi parlò della sua vita per alcuni minuti senza che io gli avessi chiesto nulla e prima che io gli porgessi le mie più sincere minacce di morte costui mi disse che non ero omosessuale perché non avevo mai provato a prenderlo nel culo, ma era abbastanza chiaro che un ragionamento simile fosse soltanto l’alfiere ingenuo di un secondo fine, inoltre in base a questa idiozia avrei potuto chiedermi se fosse lecito credere che non ero diventato un felino perché non avevo mai guardato “Gli Aristogatti”.

Gli Aristogatti

La solitudine rispetta la persona in cui risiede allo stesso modo in cui quest’ultima rispetta se stessa ed è normale che conduca verso degli atteggiamenti insulsi qualora si ritrovi in un’esistenza autolesionistica. Non è semplice gestire il vuoto e mi ritengo fortunato perché basto a me stesso, ma oltre alla buona sorte lodo ogni sforzo che ho compiuto per modellarmi secondo le mie esigenze e su queste pagine ci sono alcune tracce del lavoro che ho compiuto su di me. Disprezzo l’apatia e chi se ne fa portabandiera. Prima che la mia metamorfosi raggiungesse il livello attuale anch’io ero incline all’inerzia, ma perlomeno non infastidivo il prossimo con i miei problemi apparenti e già allora ritenevo che la mia discrezione fosse un’ottima premessa per aspirare ai risultati che ho ottenuto in seguito. Non sono contrario ai modi inconsueti con i quali una persona può porsi e ammiro chiunque sappia veicolare con originalità la parte autentica di sé, ma respingo fermamente ogni forma di autocommiserazione e disprezzo chiunque si identifichi continuamente in qualcosa o qualcuno per sopperire alla scarsità di idee. Trovo che tra le parole di quest’oggi prevalgano una lieve forma d’astio e un po’ di sarcasmo, ma la loro presenza non mi disturba e ritengo che le giuste dosi di questi elementi siano fondamentali per affinare la mia lettura della realtà.

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5
Mag

Correzioni introspettive

Pubblicato lunedì 5 Maggio 2008 alle 08:47 da Francesco

La solitudine è una compagna fedele e un’insegnante impeccabile, ma credo che per apprendere le sue lezioni sia indispensabile accettare il metodo con cui ella le impartisce. Chi è estraneo a una certa parte della società tende a stigmatizzare quest’ultima per rafforzare le sue convinzioni, ma io ritengo che una condotta simile provochi semplicemente una perdita di tempo e penso che sia più importante utilizzare i giudizi personali per esaminare le matrici da cui derivano le proprie azioni. Talvolta anch’io mi lascio trascinare dal piacere di una critica inutile e aspra verso questioni che catalizzano il mio interesse soltanto per la facilità con la quale si prestano a un giudizio negativo, ma quando mi rendo conto di questo inganno provvedo a rimproverare la mia ingenuità e taccio. Credo che una stroncatura gratuita sia una catarsi controproducente e la reputo una conseguenza comune nell’ambito di un egocentrismo sterile. È difficile sottrarsi alle inezie quotidiane per elevarsi sul piano aulico del vuoto esistenziale ed è altrettanto arduo rivendicare la propria libertà attraverso il ricorso paradossale ad alcune rinunce, ma io non conosco un’altra via per resistere a quanto si oppone alla bellezza nella sua accezione più profonda e non nego che gli ostacoli ripetitivi di questa impresa mettano a dura prova la sopportazione umana. Suppongo che non sia fondamentale un abbandono radicale del mondo per guardare negli occhi la precarietà della propria vita e iniziare ad amarla in un modo diverso dai dettami ordinari, ma credo che questo fine meraviglioso debba essere perseguito in seno alla società in modo tale che risalti maggiormente ai propri occhi e segua un percorso più formativo quanto possa essere uno scenario bucolico. Non ho mai smesso di pensare che la cultura sia accessoria e vanagloriosa sebbene io tenti di accrescerla per esercitare la mia volontà: lodo ogni azione silente che porti a termine i compiti dell’introspezione. Non intendo sposare una causa diversa da quella che mi impegna nella salvaguardia e nel progresso della padronanza di me, ma allo stesso tempo non la considero il centro della mia esistenza per evitare che assuma delle dimensioni spropositate ed è per questo motivo che le dedico soltanto una parte delle mie energie.

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11
Mar

Ricreazione notturna

Pubblicato martedì 11 Marzo 2008 alle 03:17 da Francesco

Oscillo in silenzio tra il giorno e la notte, ma non m’illudo che il mio moto sia perpetuo e spesso rammento la sua provvisorietà. Non cerco la soddisfazione personale e non ho ambizioni filantropiche, ma la mia forma mentis non confina con l’apatia né con il menefreghismo. Nutro un disinteresse totale nei confronti di molti discorsi, ma presto attenzione al modo in cui vengono modulate le parole che li compongono. Non è la superbia che mi allontana dalle opinioni, bensì la consapevolezza di quanto valga poco ogni parola che non ricalchi la realtà. Freno le mie esternazioni verbali e preferisco annoiarmi in modo genuino ogniqualvolta l’alternativa sia un divertimento fallace. Alcune volte credo che la mia età non mi rispecchi e in altri momenti sorge in me il dubbio che io non sia in grado di rispecchiarmi nella mia età. Sono fiero dell’equilibrio che vige nella mia condotta solitaria e penso che la sua costanza sia indice di serenità, ma non ignoro la bellezza che si trova al di fuori della sua portata e la contemplo da lontano. L’isolamento mi ha rafforzato nei segmenti della mia giovane esistenza e oggi le difficoltà del passato mi sembrano delle inezie, perciò non ho motivi validi per ritenere che alle avversità del presente spetti una sorte diversa. Non ho bisogno di una forma di fiducia sebbene la mia autostima sia alta quanto il tasso glicemico di un diabetico. Non aspetto che una zingara usi le sue carte per giocare d’azzardo sul mio futuro e non cerco una divinazione delfica per ottenere un po’ di conforto inutile. Non temo il futuro malgrado i suoi presagi funesti e la mancanza di questa paura è una delle colonne che sorregge l’equilibrio della mia condizione anomala.

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