Mi sto ponendo con forte insistenza alcuni quesiti sull’attività onirica, poiché mi porto ancora dentro il dubbio se essa abbia una sua realtà autonoma o se invece si tratti soltanto di un epifenomeno biologico. In un sogno recente mi sono ritrovato a conversare con una giovane donna e da quel momento alberga in me la sensazione che io debba incontrarla di nuovo, però non ho idea di come possa presentarmi a un secondo rendez-vous.
Dubito che esistano in commercio dei navigatori satellitari per altre dimensioni, ma qualora dovessi ritrovarmi da quelle parti non saprei comunque a chi chiedere indicazioni. Non ho idea di come io possa giungere a un appuntamento che sfugge alla convenzione del tempo ordinario. Mi mancano i riferimenti, non ho una mappa né un numero verde da comporre con il pneuma, eppure dev’esserci un modo tramite cui mi sia dato di ritrovare quelle coordinate tutt’altro che euclidee. Ogni stato di sonno costituisce per me una ricerca di quella ragazza, o almeno del punto in cui ci siamo incontrati, ma la mente mi porta altrove, come se fosse un furbo tassista e fingesse di non capirmi per allungare la strada sbagliata. Può darsi che alla fine sia importante lo sforzo e non già la meta, tuttavia voglio parlare di nuovo sul piano sottile con quella giovane e incontrarla mentre risulto incosciente a livello grossolano.
Mi rendo conto di quanta poca dimestichezza ancora io abbia in ogni stato diverso da quello vigile, ma in una tale inadeguatezza ravviso più stimoli che frustrazioni e conto di migliorare il mio senso dell’orientamento laddove la rosa dei venti non indica alcunché.
Mi domando se la bussola migliore non sia la necessità che pulsa al mio interno, quell’elemento intangibile del quale fatico a dare finanche una forma scritta, ma la cui portata è immensa ed empirica, almeno fino a un certo grado. Insisto a occhi chiusi.
Sognare di vedere un aereo che precipita
Pubblicato martedì 28 Gennaio 2020 alle 21:41 da FrancescoStamane, dopo molto tempo, sono riuscito a ricordare un sogno. Ogniqualvolta mi sia dato di serbare qualcosa delle mie esperienze oniriche tendo ad annotarlo con un approccio didascalico e distaccato, ma ritengo che quest’episodio sia stato eccezionale.
Per molti anni ho avuto un sogno ricorrente piuttosto diffuso, ossia quello che mi vedeva sempre all’interno di un volo di linea che immancabilmente precipitava, ma, almeno per quanto m’è dato rimembrare, prima della scorsa notte non avevo mai sognato di assistere dall’esterno allo schianto di un aereo. Questa variante sul tema mi ha indotto a ritenere che il mio inconscio abbia superato delle preoccupazioni latenti a cui in passato il mio stato ordinario di coscienza ha raramente concesso asilo. Il sogno era ambientato nei dintorni della mia abitazione, l’aereo aveva la livrea blu e bianca, e io mi trovavo a circa un chilometro dal luogo dell’incidente: al momento dell’impatto l’aereo era inclinato di circa ottanta gradi.
Il mio stato vigile e il mio inconscio viaggiano a velocità diverse, di questo sono certo, ma sono comunque in stretta relazione e mi chiedo quindi quali ripercussioni avrà la consapevolezza che ho tratto da quest’ultimo passaggio del testimone tra l’uno e l’altro. In me si è sedimentata da molto tempo l’accettazione di certe dinamiche e di alcuni limiti, perciò non escludo che tutto ciò non ne rappresenti altro che la fioritura.
La scorsa notte ho sognato il suicidio di una ragazza con cui in passato ho parlato a lungo: Sheila. Costei era piegata in terra, io la vedevo di spalle e tentavo di farla desistere dal gesto estremo, ma ogni mia parola non faceva altro che peggiorare la situazione e anche gli appelli di altre persone là presenti non sortivano effetto alcuno.
A un certo punto Sheila ha premuto il grilletto della pistola e si è sparata alla tempia sinistra: si è accasciata subito a terra, alla sua destra, ma io non l’ho più scorta poiché la sua figura è scomparsa dalla mia vista appena è caduta. A quel punto lo scenario del sogno è cambiato improvvisamente e mi sono ritrovato in una sorta di commissariato dove nutrivo un forte senso di colpa, ma nessuno mi aveva accusato di nulla ed ero libero di andarmene.
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Nel mio caso questo sogno può avere molteplici interpretazioni, ma in ognuna di esse il suicidio ha solamente un valore simbolico. Se non avessi riconosciuto la suicida avrei finito per ritenere quest’esperienza onirica come un monito contro il mio eventuale coinvolgimento nel fallimento di terzi, tuttavia devo considerare un’altra spiegazione in quanto l’identità della protagonista mi è risultata nota sin dall’inizio.
Quella ragazza, Sheila, è stata per un arco di tempo la depositaria di un mio investimento emotivo che ha rispettato ancora una volta i facili pronostici dell’inconcludenza, ma a quanto pare gli echi del suo distacco si sono protratti e suppongo che l’inconscio se ne sia avvalso per protestare contro l’assenza di relazioni sentimentali nella vita del sottoscritto.
Ormai mi sono reso conto che almeno un paio di volte all’anno l’inconscio mi tira simili scherzi benché le sue rimostranze cambino sempre modalità e contenuti: il mio inconscio ha il disco rotto e vorrebbe che attribuissi al mio cuore lo stesso guasto.
Qualche notte addietro ho fatto un sogno per me inedito, o almeno io non ricordo di averne mai avuto uno analogo. Mi trovavo a cena con molte persone che non riuscivo a focalizzare, come se fossero state parte di un sottofondo vivente: ero seduto e tenevo in braccio un neonato.
Probabilmente il pargolo era il figlio di un mio ipotetico conoscente. L'ambiente era allegro, però il convito non faceva parte di alcuna celebrazione e, in base alle mie percezioni, mi sembrava che fosse semplicemente un'occasione per riunire della gente attorno a una tavola imbandita.
In quest'immagine onirica l'elemento principale è l'infante che rappresenta il cosiddetto puer aeternus, ovvero il bambino interiore: il significato credo che sia duplice e in apparenza molto contraddittorio. In parte il fanciullo simboleggia la mia apertura verso il mondo e la voglia di un cambiamento che tarda ad arrivare, ma in una certa misura è come se io pretendessi tutto ciò a mo' di bambino viziato, quasi che mi fosse dovuto. Inoltre credo che quel neonato fossi io e così è come se nel sogno fossi stato padre di me stesso benché all'inizio abbia attribuito il pargolo a un mio ipotetico conoscente: dunque, io senex e puer al contempo.
Non mi faccio sconti perché l'introspezione non può funzionare coi compromessi, perciò deduco che l'inconscio mi abbia informato ancora una volta del mio spaventevole bisogno d'amore.
Qualche notte fa ho sognato di trovarmi su un volo di linea. Ero pervaso da una paura profonda perché l’aereo volava a bassa quota e superava gli ostacoli con manovre appena sufficienti per evitare le collisioni. Ad un tratto ho guardato attraverso il finestrino e ho scorto tavolini e sedie di metallo scuro con un’aiuola tutt’attorno: un’immagine tranquilla che si è fissata in me.
Non ricordo di aver mai fatto un sogno analogo sebbene l’aereo sia un elemento ricorrente del mio mondo onirico, ma di solito precipita e il momento dello schianto coincide con un risveglio brusco: in questa occasione non c’è stato nulla del genere e chissà dov’è atterrato o se sia ancora in volo… Nel mio caso le interpretazioni possono essere molteplici, inoltre l’aereo si presta ad un ampio simbolismo (una volta appannaggio archetipico dell’uccello) che complica ulteriormente l’indagine. Questo sogno può essere foriero di avversità imminenti o l’espressione del timore che qualcosa di grave incomba su di me, però a livello cosciente non avverto nulla del genere: sono reticente con me stesso senza rendermene conto? D’altro canto un sogno simile può anche indicare l’idea di condurre una vita al di sotto delle proprie potenzialità (ciò spiega la bassa quota), ma può anche essere la manifestazione della volontà che un desiderio si realizzi molto presto. In ogni caso non c’è nulla di buono, ma io mi limito a prendere nota e cerco di non farmi influenzare dalle interpretazioni a cui ricorro per spiegare ciò che mi comunica l’inconscio.
In questo sogno mi ritrovai a girovagare in un un palazzo rinascimentale ai cui piani alti era in corso una festa. Il vertice della struttura ospitava una stanza enorme dai vetri scuri che davano su una terrazza in cui si trovava una piscina. Mi allontanai quasi subito dal party e scesi lungo le scale, attraverso stanze gigantesche e pianerottoli interminabili. Quando raggiunsi l’ingresso mi ritrovai in un’atmosfera lugubre e plumbea che strideva fortemente con i fasti che m’ero appena lasciato alle spalle. Uomini e donne portavano maschere tribali, battevano continuamente i loro martelli per lavorare oggetti da vendere e ogni tanto scuotevano la testa con vigore. Là ebbi la sensazione che presto sarebbe venuto qualcuno ad uccidermi con un fendente alla schiena.
La luce non penetrava quell’ambiente che sembrava la banchina di un porto. Fuliggine, nebbia o non so cos’altro dominavano l’atmosfera tetra che io avevo varcato senza una valida ragione. Risalii le scale, però non tornai in cima al palazzo e mi fermai in un piano che dava su una specie di portico nel quale m’addentrai. Là una signora assisa mi fece cenno di avvicinarmi al tavolino piccolo, bianco e circolare che le era riservato. Una volta raggiunta, la donna prese a parlarmi di fede. Io non mi scomposi e le dissi più volte qualcosa del genere: “Non ti credo, neanche tu ci credi. Ti racconti storie per stare meglio, mi dispiace”. All’improvviso mi parve che dai suoi occhi azzurri le lacrime si pugnalassero a vicenda prima di gettarsi nel vuoto. Lei chinò lo sguardo e mise una mano sopra l’altra: non dissi altro e me ne andai come se non fosse successo nulla.
Due settimane fa ho sognato di perdere i denti: un evento onirico del genere non mi è nuovo. Per la tradizione popolare (probabilmente eredità della cultura greca) questo genere di sogno annuncia la morte di un congiunto, però secondo altre interpretazioni, più oculate e prive della zavorra della superstizione, la perdita dei denti può essere legata alla paura della fine di una relazione sentimentale o di qualcosa che le assomigli.
Escludo quest’ultima ipotesi poiché io non ho legami profondi con nessuno. Nel sogno, appena muovevo la lingua sopra i denti questi si staccavano dalla gengiva e finivano a terra. Come ho letto altrove, la lingua può simboleggiare la parola e dunque il sogno potrebbe significare il mio timore di porre fine ad un rapporto per mezzo di una conversazione. Poiché nella mia esistenza al momento non ci sono rapporti importanti (che lo ripeta nell’arco di poche righe è indicativo), tendo a credere che il sogno si riferisse ad un rapporto potenziale e allora tutto mi tornerebbe. Tra le altre letture possibili ho notato che vi s’annovera anche il timore di non essere all’altezza di qualcosa, ma anche la paura di invecchiare si staglia nel quadro delle interpretazioni papabili. Sono portato a ritenere che la matrice del mio sogno sia stata un’esagerazione di alcune ansie frammiste a piccole frustrazioni, tuttavia nulla di cui debba avere ragione di preoccuparmi. Tutto ciò mi ha ricordato che da piccolo mio padre (questa figura ignota) mi allungò uno schiaffo e mi fece perdere un dente da latte che comunque si sarebbe staccato presto: rammento che il fatto avvenne su una salita. Mi chiedo se possa esserci una connessione tra l’episodio infantile e il sogno suddetto. In ogni caso i miei denti sono sani, ben saldi e non ospitano manco una carie. Forse devo staccarmi un molare, metterlo sotto un bicchiere e attendere che la fatina dei denti arrivi a raccattarlo per avere l’occasione d’invitarla ad uscire insieme a me.
Questa sogno è stato un po’ inquietante, però non lo definirei un incubo. Mi trovai dentro un treno merci assieme ad una ragazza di cui rammento soltanto le labbra sottili. Dopo un arco di tempo imprecisato capitai in una città fatiscente della seconda metà del novecento e già nel corso del sogno mi sembrò che questa fosse situata in Corea del Nord. Provavo un certo disagio in mezzo a quelle strade urbane e stavo attento a non dare nell’occhio per evitare i controlli della polizia. D’un tratto fui affiancato da un autobus nero, dalle forme tondeggianti, sul quale si trovava anche la ragazza che precedentemente era stata con me dentro il treno merci. L’autista dopo essersi fermato aprì le porte del mezzo e la ragazza di cui sopra mi invitò ad entrare. Io le risposi che non avevo soldi per il biglietto e lei, a sua volta, disse che bastava un documento d’identità, ma io non disponevo manco di quello e mi allontanai in tutta fretta fino a raggiungere un attraversamento pedonale. Attesi il semaforo verde, ma quando fui ancora a metà strada per arrivare dall’altra parte, la luce divenne rossa e allora seguii quella verde di un altro semaforo. Mi ritrovai in un parco affianco al quale c’erano svariate rovine. Dei ragazzi giocavano a pallavolo, ma ce n’era uno che aveva una palla bianca e la lanciava continuamente contro una parete piena di crepe. Ad un certo punto quella palla bianca finì al secondo piano di un palazzo distrutto che confinava con il campo di gioco e ricordo il contrasto che il colore niveo della sfera suscitò in me quando balzò sopra due aste arrugginite della struttura portante.
Prima di questa scena mi affiancai ad un muro per lasciar passare alcuni bambini che correvano assieme a dei tutori piuttosto anziani. Dopo tutto ciò mi ritrovai a camminare su un terrapieno e mi parve di essere seguito. Da questo momento in poi l’inquadratura del sogno passò alle mie spalle e vidi alternarsi dietro di me due gemelli e un terzo tizio che sembrava il loro capo. D’un tratto costoro mi fermarono e sorridendo mi dettero del denaro. Capii che per salvarmi la vita io dovevo sembrare entusiasta di quell’elargizione e così feci. Quando ripresi a camminare, questa volta senza essere seguito, guardai le banconote e vidi che erano stampate soltanto su di un lato. Non ricordo altro.
Archivio onirico: sogno n. 1 e sogno n. 2
Pubblicato lunedì 14 Febbraio 2011 alle 19:19 da FrancescoD’ora in avanti cercherò di appuntare spesso i miei sogni per organizzare il mio materiale onirico ed eventualmente avvalermene per scopi introspettivi.
Sogno n. 1
Questo sogno cominciò con una panoramica sullo skyline di una metropoli. Presto mi ritrovai a guardare con i miei occhi una scena statica in bianco e nero. Ricordo che all’improvviso vidi tre funghi nucleari e provai una paura profondissima. Fui scosso dallo spavento, ma quest’ultimo fu interrotto da voci sconvolte che mi pregarono di seguirle per sfuggire alla minaccia. Seguii quei richiami e d’un tratto il sogno prese a svolgersi in un sotterraneo. Da questo momento in poi non riesco a rammentare granché. Comunque, ad un certo punto, mi ritrovai dinanzi a una donna imbolsita, dai capelli neri, d’età compresa tra i trenta e i quarant’anni: costei non mi disse nulla e si limitò a osservarmi con un’espressione in cui si fondevano la sorpresa e la diffidenza. Infine scappai dal luogo in cui ero capitato e durante la fuga mi resi conto che le voci iniziali avevano mentito. Devo annotare che tutto il sogno, o almeno la parte che d’esso m’è dato ricordare, m’è apparso in bianco e nero.
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Sogno n. 2
Questo sogno fu molto breve e intenso. Mi ritrovai a camminare su un ponte autostradale sotto cui scorreva un fiume. Era giorno e il cielo era annuvolato. All’improvviso sopraggiunse un’auto e fece una manovra brusca per fermarsi davanti a me. Il guidatore mi osservò con severità, ma io guardai la donna spaventata che stava sul sedile del passeggero. L’auto fece marcia indietro e finì nel fiume come se non ci fosse stata alcuna barriera, ma prima della caduta la donna gridò forte: “No!”. Io corsi subito a vedere che fine avesse fatto la vettura e ricordo un lungo silenzio.
Il paese era in subbuglio per un evento di cui non ricordo nulla. Le persone sedevano ovunque e alcuni ragazzi si arrampicavano con destrezza sugli alberi o sui cornicioni degli edifici per ottenere un posto dal quale assistere allo spettacolo che tutti attendevano spasmodicamente. Lungo le strade vigeva un’atmosfera irreale e il volgo era ipnotizzato da qualcosa di seducente che avrebbe potuto sedare qualsiasi tipo di sedizione. Io mi trovavo al secondo piano del mio palazzo ed ero immobile nel salotto della mia nonna materna. Davanti a me una bambina dondolava su una vecchia poltrona. La piccola aveva i capelli bruni e indossava un paio di occhiali da vista. Ogni tanto diceva cose prive di senso, ma io non le rispondevo e fissavo con sospetto un piccolo neo che si notava a malapena sul suo mento. D’un tratto un boato proruppe dall’esterno e il clamore della gente provocò un’onda d’urto che investì la stanza. La bambina uscì per aggregarsi alla calca mentre io rimasi al mio posto e tacqui. Chiusi gli occhi e dopo alcuni secondi mi ritrovai in una strada secondaria. Una donna che si spacciava per mia madre chiuse la saracinesca di un negozio e, con lo sguardo intriso di lacrime, mi guardò e mi disse: “La mamma di Bianca si è chiusa in casa!”. Riaprii le palpebre e mi affacciai alla finestra del salotto di mia nonna. Capii chi era Bianca quando vidi una bambina a terra con il cranio fracassato. La piccola era caduta da un’altezza notevole, ma nessuno sapeva dire da quale punto fosse volata nel vuoto. Mi voltai e diedi le spalle al resto del mondo. La morte tremenda di Bianca mi fece pensare alla perdita ipotetica della figlia che non avevo mai avuto. Non ricordo il seguito di questo sogno né l’epilogo della storia, ma suppongo che entrambi abbiano incontrato la loro fine come ogni altra cosa che non sia attribuibile a una qualsiasi forma di eternità.