Mi sento come il generale MacArthur dopo la fine delle ostilità nel Pacifico. Navigo in acque tranquille e limpide. Al posto dei pensieri ho una forza di peacekeeping e la mia serenità è ancora tale. Non temo che il mondo vada a picco e non bevo le storie del catastrofismo. Vorrei descrivere la mia condizione con più accuratezza, ma credo che ogni tentativo sia vano: le parole non hanno lo spessore sufficiente per veicolare qualcosa del genere. Mi piacerebbe scrivere un altro libro per non essere scortese nei confronti della polvere, ma non ho nulla da dire. Non sono mai stato un individuo particolarmente creativo e non riesco più a incontrare alcuna forma di ispirazione saltuaria, tuttavia questa perdita non mi turba affatto. Sono in pace con me stesso da parecchio tempo e mi rimane soltanto qualche schermaglia occasionale a cui non riservo grande importanza. Mi riguardano soltanto gli eventi sui quali il mio potere decisionale risulta determinante e farei un torto all’obiettività se mi crucciassi su questioni che vanno al di là delle mie possibilità: non si può pretendere che un generale conquisti un avamposto o difenda una posizione senza un esercito e allo stesso modo io non posso occuparmi di cose sulle quali non esercito diritto alcuno. Mi sottopongo spesso a degli esami di coscienza e ogni volta mi promuovo a pieni voti, ma non è stato sempre così e sono contento che qualche anno fa la mia volontà abbia mutato le cose. Conservo una rabbia salutare con cui alimento la mia attività fisica e quest’ultima mi basta per compensare le mie lacune espressive. Nell’immaginario collettivo alla mia età si corre dietro le donne, io invece corro oltre i daini che mi attraversano la strada in pineta. Frequento due luoghi principalmente: il mio percorso podistico e un autogrill in cui mi reco di tanto in tanto per comprare qualcosa da mangiare che abbia il sapore di una sosta ristoratrice.
Appunti ulteriori sul tema della serenità
Pubblicato venerdì 25 Luglio 2008 alle 06:16 da FrancescoRecentemente ho speso alcune parole sulla mia serenità e mi accingo a spenderne altre per fornire alle mie letture future una descrizione più dettagliata del mio equilibrio interiore. Nel corso degli anni la mia introspezione è stata piuttosto laboriosa e attraverso la scrittura ho fatto emergere i travagli dei miei pensieri. In questo arco di tempo ho vissuto dei momenti estatici e ho superato i periodi cupi, ma questa alternanza emotiva si è verificata sempre in seno alla solitudine ed è grazie a quest’ultima che ho compiuto progressi importanti per me stesso. Passo dopo passo ho stabilito una sorta di autarchia interiore e ho imparato a fare meno di tutte quelle forme di appagamento che derivano dall’approvazione altrui, ma allo stesso tempo ho evitato accuratamente qualsiasi forma di misantropia per non denigrare i miei simili. Faccio parte di una società e mi avvalgo di alcuni dei suoi mezzi, perciò non la critico ossessivamente per sentirmi estraneo alle sue regole e se mi comportassi diversamente aumenterei a dismisura la quota della mia incoerenza. Mantengo le distanze da alcuni aspetti del mondo che mi circonda e riesco a compiere facilmente alcune rinunce per salvaguardare me stesso. Credo che nel migliore dei casi una pioggia di accuse continua e gratuita a verso i propri simili possa essere una valvola di sfogo, ma dubito che quest’ultima sia in grado di favorire l’evoluzione personale. Oggi la mia serenità è solida e i suoi momenti deboli sono meno intensi, inoltre si verificano a intervalli di tempo sempre più grandi e dunque posso ritenermi soddisfatto del lavoro che ho svolto finora su me stesso. In passato ho trascorso dei giorni tremendi per fronteggiare la discrepanza che vigeva tra le mie intenzioni e i risultati insoddisfacenti che conseguivo. In certe occasioni ho criticato me stesso oltre il dovuto e altre volte sono stato troppo indulgente, ma suppongo che questi siano gli errori di chiunque interpreti male lo zelo dell’autodisciplina. Penso che qualunque cosa sia criticabile e trovo che molte critiche siano opinabili, ma io ho sempre aspirato ad avvicinarmi il più possibile a un giudizio oggettivo e ritengo che quest’ultimo sia più semplice da applicare sulla propria esistenza qualora non si abbia paura di versare dei tributi spaventosi che talvolta sono richiesti dall’imparzialità. Ogni tanto formulo qualche opinione su temi di rilevanza sociale, ma spesso accompagno queste esternazioni con un aggettivo: “trascurabili”. I meccanismi che regolano l’umanità sono più complessi di quanto possa emergere da un discorso qualunquista che si innalzi verso le nubi dai tavoli di un bar, perciò mi dedico con attenzione a questi argomenti ogniqualvolta convergano con la mia introspezione e in tutti gli altri casi non mi cruccio su analisi di questo genere perché non sono un politico né ricopro un ruolo che mi obblighi a prendere delle scelte responsabili per altri gruppi di esseri umani. Per raggiungere un certo distacco da alcune cose ho ridimensionato il mio Ego in un modo abbastanza truce e l’ho fatto tramite la derisione del mio pene. Il fallo non è importante a meno che qualcuno non aspiri a diventare una grande testa di cazzo, perciò l’ho ridicolizzato in privato e in pubblico per negargli qualsiasi valenza. Ovviamente la mia serenità non è qualcosa di astratto né è il frutto dell’autosuggestione altrimenti avrebbe avuto una durata molto breve e le sue carenze si sarebbero già manifestate alle mia attenzione, bensì si tratta di un risultato che ho raggiunto a seguito dell’iter che ho sintetizzato parzialmente in queste righe. Sebbene io sia sereno ciò non vuol dire che dove io metta piede nascano le margherite né tantomento ciò significa che la mia serenità corrisponda a un atteggiamento accondiscendente e buonista nei confronti del mio prossimo. Mi sento bene quando sono calmo e mi sento allo stesso modo quando gli eventi mi portano a incazzarmi, ma in quest’ultimo caso sembra che la mia serenità sparisca temporaneamente perché in tali circostanze non si palesa all’esterno. Credo che alcune persone non riescano a comprendere che il concetto di serenità non è soltanto quello che loro hanno in mente e forse ignorano che ne esistano altre varianti, perciò non mi stupisco che ogni equilibrio interiore possa essere messo in discussione dalle parole e fortunatamente so che su qualsiasi espressione autentica della personalità non può incidere verbo alcuno. Non riesco a capire come taluni pretendano d’insegnare a qualcun altro ciò che quest’ultimo può apprendere soltanto da se stesso. Io ammiro le persone che costruiscono da sole ciò da cui poi vengono animate e sono consapevole della loro esistenza anche se non sono in grado di riconoscerle, perciò a costoro tributo la mia stima. Penso che la vita sia stupenda e la mia affermazione non ha bisogno di soddisfare l’esigenza naif che secondo taluni dovrebbe legittimarla. Non è facile sentirsi completamente appagati e l’indole umana cerca sempre qualcosa di nuovo per fuggire dall’ombra della morte, ma io non voglio nulla di ciò ed è per questo motivo che riesco a muovermi nel vuoto con la familiarità con cui certi mammiferi attraversano gli oceani.