Pubblicato martedì 19 Luglio 2016 alle 14:56 da
Francesco
Pensavo che i colpi di stato fossero dei fenomeni pressoché scomparsi, ormai appannaggio di qualche stato subsahariano, perciò il tentativo di golpe in Turchia mi ha sorpreso più dell'ennesimo attentato di matrice islamica. Da quanto ho letto mi è parso di capire che il putsch sia fallito perché i golpisti non sono riusciti ad avere l'appoggio della popolazione che avrebbe dovuto moltiplicare la potenza del loro esiguo numero, inoltre gli alti papaveri sono stati lasciati liberi di fuggire e lo stesso Erdogan ha avuto tempo per diramare un messaggio alla nazione che è risultato fondamentale affinché le strade turche si riempissero di gente su cui gli insorti, alla fine, non hanno avuto il coraggio di aprire il fuoco.
Non mi lancio in improbabili di disquisizioni geopolitiche, ma constato un certo compiacimento nel mio essere coevo di eventi che, in qualche misura, entreranno nella storia dell'umanità (da consumare preferibilmente entro…) e ravviso in tutto questo una sorta di schadenfreude per la quale nutro comunque degli scrupoli. Immagino che il meccanismo dietro a quanto ho sovraesposto sia simile a quello che innesca il voyeurismo dinanzi a incidenti di vario genere, stradali in particolare.
Non ricordo dove né quando, ma tempo addietro lessi qualcosa che mi fece intendere come talvolta il piacere di assistere a delle sciagure non provenga dalla suddetta schadenfreude, bensì dall'estraneità ai fatti e si manifesti dunque come una specie di sollievo. Da quest'ultima prospettiva mi vengono in mente le parole di un epicureo, Lucrezio, che nel suo De rerum natura scrive:
Bello, quando sul mare si scontrano i venti
e la cupa vastità delle acque si turba,
guardare da terra il naufragio lontano.
Non ti rallegra lo spettacolo dell'altrui rovina
ma la distanza da una simile sorte.
Considero questa citazione talmente esplicita da vedere in ogni altro tentativo di aggiungervi qualcosa solo il pericolo d'inficiarne la portata, perciò mi astengo da ogni ulteriore commento.
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Pubblicato sabato 12 Marzo 2011 alle 12:58 da
Francesco
Esattamente un mese fa mi trovavo in Giappone per la terza volta. Gli elementi hanno piegato il Sol Levante, e le acque che secoli addietro lo salvarono dall’invasione mongola, adesso stanno avvicinando una parte del paese ad Atlantide. La storia giapponese è intrisa di tragedie e rinascite così come la cultura nipponica è impregnata di fatalismo, perciò la ripresa della nazione è soltanto una questione di tempo: quest’ultima è condannata a rifiorire, proprio come i suoi ciliegi che tante volte hanno custodito le mie camminate. Negli ultimi vent’anni il Giappone ha perso parte del suo smalto e la catastrofe di cui è vittima sembra un colpo di grazia che difficilmente avrebbe potuto verificarsi in una congiuntura economica peggiore.
Molti esseri umani cercano spesso di antropomorfizzare la natura, ma quest’ultima non ha morale per definizione e personalmente non vedo una concessione materna dinanzi ai suoi spettacoli più incantevoli né ravviso crudeltà alcuna ogniqualvolta il suo dispiegamento risulti fatale o potenzialmente tale per la mia specie. Forse posteri lontanissimi un giorno sapranno influenzare addirittura i pianeti e raggiungeranno una padronanza della materia che i loro avi, miei coevi, ancor oggi riconoscono agli dèi qualora, poveri loro, non abbiano avuto la fortuna di essere baciati dall’ateismo.
Mi sarebbe piaciuto trovarmi nella parte settentrionale di Honshu e sopravvivere alle calamità, tuttavia avrei preferito ancora di più che un evento di tale portata avesse scosso soltanto l’interesse dei sismologi, senza causare vittime né danni. In altre parole, qualora un’apocalisse fosse inevitabile, io vorrei trovarmici e sopravviverci perché sono quasi certo che il contatto con il pericolo e la vicinanza alla morte impartiscano lezioni memorabili. Ovviamente considerazioni del genere sono discutibili, ma non vertono sul male altrui, come invece qualcuno potrebbe leggerle forzatamente per levarsi lo sfizio di puntarmi contro il suo dito preferito.
I cataclismi tirano fuori i lati peggiori e migliori del genere umano. Sorge inevitabilmente il gusto filantropico della solidarietà che fa storcere il naso ai ministri dell’economia sebbene costoro non possano palesare il loro disappunto; suppongo che l’acceso orgoglio dei giapponesi possa indurre il governo nipponico ad accettare soltanto gli aiuti indispensabili. Parallela al cordoglio di circostanza, scorre in certa gente una versione ipertrofica del sollievo di non essere presente nel dramma imperante, qualcosa che assume immancabilmente proporzioni tali da prendere il nome nefasto di Schadenfreude, ma tutto ciò talvolta lo si può vedere riprodotto in scala nelle sale d’attesa dei nosocomi.
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