Giorni fa mi sono recato in un negozio per fare delle compere e là ho cominciato a parlare con il gestore che non aveva soltanto cose da vendere, ma ne serbava anche di interessanti da dire. La conversazione s’è protratta per circa due ore ed è stata una delle più piacevoli di tutta la mia esistenza. Nessuno ha tentato di convincere l’altro, bensì v’è stato uno scambio di vedute che ci ha portato sulla stessa lunghezza d’onda nonostante tra noi vi fossero trascurabili differenze. Mi ha fatto riflettere una frase che egli mi ha detto e che rischia di suonare un po’ banale fuori dal contesto in cui è stata espressa: “Se la morte può prendermi solo in vita, allora la vita non può che prendermi nella morte”. Questo assunto per qualcuno garantisce la reincarnazione, ma da ateo io non riesco a convincermi di nulla, neanche del ciclo delle rinascite (la metempsicosi, o, nella fattispecie, il samsara).
Ho notato che la mia prima associazione d’idee alle parole suddette è stata con un proverbio indiano abbastanza celebre: “L’uomo dice che il tempo passa, il tempo dice che l’uomo passa”. Ieri invece m’è capitato sotto gli occhi un articolo pressappochistico che descriveva la teoria secondo cui l’universo è destinato a finire; avevo già letto qualcosa in merito sulle pagine di una rivista scientifica e quello scenario (o meglio, la negazione d’ogni altro) non mi aveva disturbato. Mi domando se qualche volta il desiderio di tornare a vivere non sia dettato semplicemente da quello di ritornare ai tempi dell’infanzia. Per quanto io trovi affascinanti certe prospettive, il mio senso critico (che non si limita alla mera ragione, ma anche a delle intuizioni) non mi dà modo di aggrapparmici e invero non me ne dispiaccio affatto. In altre parole io sono solo al cospetto del nulla; addirittura? Cose grosse! Volano paroloni. Prendo tutto (o quasi) alla leggera perché già non peso molto da vivo ed escludo che la morte possa ingrassarmi. Ho perso il filo del discorso e sono venuto meno agli intenti iniziali di questo appunto, ma in verità non volevo ridurre a mo’ di compitino una descrizione che forse non sono in grado di fare: che lavori l’immaginazione!
Tra gli atomi di Democrito (Siddharta è bandito)
Pubblicato venerdì 15 Aprile 2011 alle 02:18 da FrancescoDunque, sperare che io faccia un missaggio decente è un po’ come pretendere di curare l’ebola con la Tachipirina. Questo esperimento privo di qualsivoglia anelito artistico catturerà di nuovo la mia attenzione quando, in un futuro indefinito e a fini introspettivi, ne analizzerò lo schema metrico e la scelta lessicale. Mi piace ascoltare questo pezzo che ho fabbricato per il mio diletto su una base yankee, tuttavia preferirei possedere la capacità di fare power metal, magari sfondando le casse altrui a forza di acuti prolungati e stupefacenti. Forse nella prossima vita.
Cogito tra gli atomi di Democrito
I drammi non si misurano col sistema metrico
Tra difetti e meriti cerco rimedi e medito
Ricordi archiviati come dati sopra un monitor
Mai attonito miglioro la mia persona
Indomito il pensiero come la forza che sprigiona
La mente respinge il male che la tange
La volontà vince contro tutte le frange
Nella natura cangiante sono il mio reggente
Non seguo il raggio della cultura struggente
Il tempo traduce in luce le ombre di un’epoca
La coscienza mi conduce fino all’ultima revoca
Si riepiloga la storia come per Caligola
Decollano parole tardive dalla mandibola
Non mi logora il ragionamento che mi vincola
Pace interiore come cingolo per ogni giornata singola
Ad ora tarda forse leggi Siddharta
Ma la cultura crea castelli di carta
A me non basta e voglio il timbro
Sul permesso di soggiorno per l’Olimpo
Ad ora tarda forse leggi Siddharta
Ma la cultura crea castelli di carta
A me non basta e voglio il timbro
Sul permesso di soggiorno per l’Olimpo
Redigo un dettato diretto da un daimon
All’inizio l’apeiron alla fine Lord Byron
Di sera mi appaiono frammenti inediti
Rivedo colpe fraintendimenti e fremiti
Pare che le prima di rado uno le erediti
Il cielo talvolta sembra un tetto di Eternit
Ipotesi d’eternità tra le infermità
L’apoteosi della realtà quando si ripete ciò che è stato già
Girovago senza lodi da tessere
Sono la prima persona del verbo essere
Palpebre serrate e trappole oniriche
Promesse scariche al cospetto di Osiride
Si ripete ovunque il giudizio di Paride
Altrove si schiude l’ennesima crisalide
Si consolidano tragedie insolite
Mi congedo dalla mia identità come un apolide
Ad ora tarda forse leggi Siddharta
Ma la cultura crea castelli di carta
A me non basta e voglio il timbro
Sul permesso di soggiorno per l’Olimpo
Ad ora tarda forse leggi Siddharta
Ma la cultura crea castelli di carta
A me non basta e voglio il timbro
Sul permesso di soggiorno per l’Olimpo
Una strega sui monti mentre molti la impalano
I solchi dei secoli sopra l’ipotalamo
Calano i sudari su ogni corpo diafano
Mano nella mano in un giuramento afono
Devoto a Persefone m’immedesimo in Ade
Tra determinate persone il tempo decade
Lunghe scalate sopra la tabula rasa
Satana lupus in fabula è chiamato in causa
Morte pausa reincarnazione
Samsara l’illuminazione
Minareti arroccati tra miliardi di battiti
Monaci sotto porticati ignorano lo shakti
Shock anafilattici senza punture
Letture di epitaffi colme di paure
Copernico riprese la teoria di un avo
Scoprì quanto affermò prima Aristarco di Samo
Ad ora tarda forse leggi Siddharta
Ma la cultura crea castelli di carta
A me non basta e voglio il timbro
Sul permesso di soggiorno per l’Olimpo
Ad ora tarda forse leggi Siddharta
Ma la cultura crea castelli di carta
A me non basta e voglio il timbro
Sul permesso di soggiorno per l’Olimpo