Un tempo le pareti della mia stanza tacevano e arrossivano a causa della timidezza, ma poi il loro colore si è fatto sempre più intenso grazie allo spirito di emulazione per le supergiganti da almeno dieci masse solari: il silenzio invece è rimasto sempre uguale, cosmico anch'esso, ed è solo il mio modo di percepirlo che è mutato nel corso delle sfumature anzidette.
Talvolta le mie carni si fanno nottivaghe e s'illuminano (in realtà vengono illuminate) dalle luci arancioni che fin dal tardo pomeriggio reclamano uno spazio nell'oscurità, come chiunque altro dai suoi primi vagiti e da tutto il resto che poi da lui (e in lui) albeggia irrimediabilmente.
Mi sottopongo a qualsiasi grado di giudizio, nelle sedi opportune, in quelle che sono già andate a fuoco e dove un principio d'incendio è quantomeno possibile. In certi momenti vivo come se la realtà circostante fosse fatta di cartongesso e mi lascio cullare dall'idea della fine (che fine non è, né l'idea né la fine in sé) o forse sono io che l'accarezzo poiché mi è ancora possibile farlo.
In me pulsano intuizioni fortissime. Ho anche slanci di spensieratezza che ridimensionano tutto l'apparente sussiego di cui mi rendo colpevole, ma sono anche innocente fino a prova contraria, ovvero quella per cui ogni cosa ricade nel suo opposto: enantiodromia.
Azioni, parole, esperienze o un immobilismo incompiuto, che rasenti lo stato vegetativo e lasci sfogare i bambini (il proprio puer), non come i muscoli striati che sono strigliati dalla volontà: a ciò riduco l'esistenza e non mi pare poco. Già da stamane col rosso di sera…
Spostamento verso il rosso (redshift)
Pubblicato sabato 23 Maggio 2015 alle 09:15 da FrancescoQualche ora fa ho visto l’ultima parte della trilogia dei colori di Krzysztof Kie?lowsk e mi è sembrata un’ottima conclusione. La protagonista è una studentessa di nome Valentine che vive da sola e lavora come modella. La giovane ha una relazione con un uomo che si trova all’estero con il quale scambia quotidianamente delle telefonate pregne di gelosia. Il film entra nel vivo quando Valentine incontra la figura enigmatica di un uomo anziano che vive in solitudine. Il vecchio in questione è un giudice in pensione che trascorre le sue giornate a spiare le conversazioni telefoniche dei vicini e si rapporta con Valentine in un modo misterioso che a tratti diventa divinatorio. Gli eventi si succedono con un ritmo perfetto e sono adornati da elementi ricorsivi che aggiungono un po’ di stupore alle sequenze. Il film non termina in maniera autoreferenziale, infatti il finale si lega anche i ai capitoli precedenti e sintetizza uno dei significati della trilogia prima che compaiano i titoli di coda. I tre colori di Kie?lowsk hanno dipinto alcuni dei miei pomeriggi grigi e mi hanno portato a riflettere sulla vita da un punto di vista che poggia sul destino e sul fatalismo, ma ho preso in esame questa prospettiva senza accettare completamente le comodità stupide e nocive della presunta ineluttabilità degli eventi.