Finalmente, dopo vari mesi, ho concluso la lettura de Il signore degli anelli in inglese e così ho affinato ulteriormente la mia familiarità con la lingua della vecchia Albione, ma è stato un altro lo scopo principale che mi ha indotto a un simile investimento di tempo.
Non amo il fantasy né i romanzi, tuttavia in molteplici occasioni e in vari contesti mi sono trovato di fronte a citazioni più o meno dirette dell’opera di Tolkien, perciò avvertivo da tempo la necessità di colmare tale lacuna. Le oltre mille pagine di questo librone sono pervase da archetipi con la foggia di un preciso retaggio culturale e folcloristico, quindi veicolano un immaginario che affonda le sue radici nell’inconscio collettivo e ciò mi ha reso più gradevole l’esperienza. Sono contento che io mi sia avvicinato tardi a un testo del genere, difatti se vi avessi posato prima gli occhi ne avrei trascurato il ricco simbolismo e avrei rischiato di ridurne la portata a una semplice forma d’intrattenimento letterario.
Per me il dualismo de Il signore degli anelli non è dicotomico né manicheo, ma molto sfumato e ambiguo, perlomeno fino a quando i postumi del finale non fanno virare la narrazione verso un esito quasi idilliaco, intaccato soltanto da un lieve struggimento dei suoi protagonisti per l’allontanamento di uno di essi.
Ho incontrato delle difficoltà a tradurre certi passaggi a causa di arcaismi o di espressioni peculiari, quindi ho sovrapposto le faticose peripezie dei personaggi ai miei sforzi cognitivi e questa circostanza, in un modo piuttosto bizzarro, mi ha fatto immergere viepiù nella storia.
Purtroppo nel corso degli anni ho sviluppato una forte insofferenza verso la narrativa e quindi non ho intenzione di cimentarmi di nuovo in una lettura analoga, perlomeno non a breve, e difatti ho già compiuto un celere ritorno alla saggistica. Non leggo soltanto ciò che mi attrae e per questa ragione, talora, mi sciroppo cose di cui farei a meno, ma esse alla fine si rivelano utili e propedeutiche per allargare il raggio dei miei interessi: un male necessario, un atto dovuto, il tedio delle trivellazioni per la ricerca del petrolio o dell’acqua, insomma, qualcosa del genere.
Il signore degli anelli di J. R. R. Tolkien in inglese
Pubblicato giovedì 16 Aprile 2020 alle 01:38 da FrancescoHo letto “Origini” con lo scopo di procurarmi una visione d’insieme su quant’è successo dall’inizio dell’universo fino all’Olocene, un altro riepilogo delle puntate precedenti, ma non ho affrontato questa lettura con l’ansia di comprenderne ogni passaggio poiché quello di Baggott è un testo interdisciplinare.
Nelle prime pagine è ribadito il carattere relativo di spazio e tempo, ma anche la possibile assolutezza dello spaziotempo e la relazione di quest’ultimo con la materia così come è stata sintetizzata da un’acuta osservazione di John Wheeler: “Lo spaziotempo dice alla materia come muoversi, la materia dice allo spaziotempo come curvarsi”.
V’è poi tutta la carrellata dell’inventario atomico e subatomico con le relative proprietà: i leptoni, i vari tipi di quark, lo spin, il campo di Higgs e la massa delle particelle che deriva dall’interazione delle seconde col primo. Altresì immancabili l’esperimento della doppia fenditura, con tutto ciò che ne conseguì da una prospettiva quantistica, e il corpo nero quale oggetto teorico il cui studio fu propedeutico alla scoperta dei fotoni.
In buona sostanza, dalle prime fasi dell’universo il focus si sposta verso la formazione del sistema solare con ipotesi da me già incontrate in letture votate alla sola cosmologia: il testimone passa poi alla chimica, sezione che mi è risultata come al solito tanto ostica quanto interessante, alla biologia, alla genetica e infine all’antropologia, con doverose integrazioni paleontologiche e tassonomiche.
Quattrocento pagine piuttosto scorrevoli, scritte bene e nelle quali mi è parso centrato l’obiettivo di trovare un equilibro tra dovizia di particolari e proprietà di sintesi, tuttavia letture di questo tipo mi lasciano sempre un senso d’incompiutezza a causa degli attuali limiti epistemologici della mia specie. Secondo me la divulgazione rischia di diventare fine a se stessa qualora non si evolva in approfondimenti specifici che comunque non rientrano nelle mie corde, ragion per cui d’ora in poi virerò verso altre tematiche dello scibile.
La lettura de ”I vagabondi del Dharma” ha costituito invece un’eccezione narrativa alla mia predilezione saggistica. Nulla da eccepire su Kerouac: è uno dei pochi autori per cui sono ancora disposto a prendere un romanzo in mano, un fratello cosmico, un visionario, e infatti mi sono procurato anche una copia di “Big Sur”, mentre quella di “Sulla strada” campeggia ancora nella mia libreria e non c’è polvere che riesca a offuscarne la portata letteraria. Penso che la prosa di Kerouac sappia risollevare lo spirito di chiunque sia in grado d’immergercisi e questa peculiarità ai miei occhi ha sempre reso Jack qualcosa di più d’un semplice romanziere.