Sabato diciotto giugno mi sono recato nella capitale d’Italia per correre la We Run Rome 2022, una manifestazione di dieci chilometri molto partecipata. Oltre a rivedere i mercati di Traiano del secondo secolo dopo Cristo ho avuto di modo di contemplare anche gli ormai immancabili rifiuti del terzo secolo dopo Cavour. Chi volesse fare davvero il punto della situazione dovrebbe prepararsi a metterne qualcuno di sutura e altrettanti di sospensione.
Non conoscevo la gara e mi aspettavo che fosse prevalentemente piatta, invece il percorso dopo i primi due chilometri ha offerto salite impegnative e tornanti pavimentati dai sampietrini. All’inizio mi sono messo alle spalle della seconda donna e l’ho seguita per un po’ a guisa di lepre prima di superarla durante una fase di ascesa, ma verso la fine ho sorpassato anche la vincitrice della gara, una keniana il cui tempo finale è stato di tredici secondi più lento del mio.
Ho cercato di dare tutto e alla fine mi sono classificato 15° assoluto su 2111 atleti arrivati, secondo nella mia categoria M35 in 35 minuti e 37 secondi, ovvero a una media di 3 minuti e 34 secondi al chilometro. Ho corso i mille metri più veloci in 3’16”, i più lenti con oltre venti metri di dislivello in 3’46”, ma sono riuscito a tenere tre chilometri sotto il muro psicologico dei 3’20”: il primo, il secondo e il settimo. Qui i risultati: https://tds.sport/it/race/12607
Ovviamente avrei preferito un tracciato piatto all’eventuale costo di un piazzamento peggiore, ma con un tempo finale che finalmente mi certificasse al di sotto dei 35 minuti sulla distanza.
Di solito sono cauto con le proiezioni, però ritengo che la prestazione di cui sopra possa convertirsi in un primato personale al netto del dislivello, dei sampietrini e del caldo (non eccessivo), dunque arrotondando per difetto con un buon margine di cautela. Ovviamente i primati personali vanno corsi e certificati, perciò conto di riprovare in tal senso alla prima buona occasione!
Non amo molto le strade capitoline perché ivi respiro un senso d’imminente decadenza che stride con l’alone d’eterno splendore di cui l’Urbe si fregia e questo contrasto non manca mai di suscitare in me una sorta di repulsione. È una giungla metropolitana e a ogni angolo si possono avere problemi perché lo Stato è spettrale benché vi risiedano le sue più alte istituzioni, perciò quando ci metto piede mantengo sempre alta l’attenzione.
Insomma, l’altro ieri nella Mogadiscio d’Italia, ossia Roma, ho corso la mia trentaseiesima maratona, la ventiquattresima sotto le 2 ore e 50 minuti. Credo che l’orario anomalo, il periodo quasi equinoziale e la possibilità di un caldo settembrino abbiano scoraggiato le iscrizioni, perciò con il tempo finale di 2 ore, 49 minuti e 31 secondi sono riuscito a classificarmi ventiquattresimo assoluto, ottavo italiano e secondo di categoria: l’altro SM35 ha corso in… 2 ore e 8 minuti.
Puntavo a fare almeno 2 ore e 45 minuti, perciò sono transitato alla mezza in 1 ora e 23 minuti con l’idea di provare il negative split, ma al venticinquesimo chilometro ho capito che non era la giornata giusta e così l’ho portata in fondo senza distruggermi. Alla partenza ho confabulato un po’ con Re Giorgio che sette giorni prima aveva corso una cento chilometri in Olanda… Quando nella prima griglia sono entrati gli atleti africani ho avuto la decenza di mettermi dietro di loro invece di restare davanti.
Lunedì mi sono recato nella Città Eterna per assistere a un concerto che agognavo da tempo, ossia quello degli Yes con Jon Anderson e Rick Wakeman in formazione: per me la loro presenza era conditio sine qua non per acquistare il biglietto!
Ho avuto la fortuna di rimediare con largo anticipo un ottimo posto a ridosso del palco e mi sono persino ritrovato Wakeman a meno d'un metro quand'egli ha lasciato il suo impero di tastiere per suonare il keytar in mezzo al pubblico!
Inoltre sono contento che il live sia stato tenuto nella cavea dell'Auditorium di Renzo Piano: è proprio là che vidi il Museo Rosenbach assieme alla Premiata Forneria Marconi.
Questo concerto per me è stato uno spartiacque tra il possibile e l'impossibile: mi sono trovato davanti a ciò che musicalmente considero il limite estremo, come se il mondo finisse davvero alle Colonne d'Ercole. A differenza di quelle di altri gruppi, questa reunion degli Yes per me ha avuto molto senso e non ci ho pensato due volte appena ho saputo che avrebbe fatto tappa a Roma.
La voce di Jon Anderson è ancora stupenda e ipnotica, inoltre il suo gioviale magnetismo è di immediata percezione. Wakeman sfoggia sempre il suo mantello e un'espressione regale: è un po' imbolsito ma le mani sono quelle di sempre! Lo ammetto sottovoce, ma Trevor Rabin alla chitarra non mi ha fatto rimpiangere Steve Howe. Certo, sarebbe stato bello se ci fossero stati anche Bill Bruford (o Alan White) e Chris Squire, ma alla fine non importa: la vita va avanti!
La scaletta ha pescato un po' in tutta la discografia del gruppo e io ne sono rimasto soddisfatto, in particolare con "Roundabout" come bis perché non riesco a immaginare un modo migliore di terminare un concerto, ma è anche vero che per essere appagato al cento per cento dovrei rivedere gli Yes almeno cinque volte con scalette sempre diverse. In quest'occasione a me è mancata "Close To The Edge", ma ripeto: va bene lo stesso perché ho visto la storia del prog!
Sono stato davvero bene e ho vissuto uno di quei momenti in cui ho ringraziato il cielo d'essere solo, però se anche avessi avuto qualcuno accanto (emotivamente) probabilmente mi sarei isolato lo stesso per godermi lo spettacolo: e vorrei vedere!
Venerdì, ad una settimana esatta dal live di Veruno, mi sono recato nella capitale per assistere ad un concerto dei Marduk. Già tre anni fa avevo visto le leggende svedesi del black metal, però questa volta ho vissuto l’esibizione sotto il palco, con tutto ciò che ovviamente ne è conseguito. Forse è stato il concerto più devastante e violento a cui io abbia mai preso parte: una guerra a cui mi sono unito come imponeva la t-shirt di Panzer Division Marduk che indossavo.
Fatte eccezione per Temple Of Decay, dalle mie parti, ovvero tra la seconda e la terza fila, c’è stato un pogo continuo a cui ho risposto con spallate, gomitate e quant’altro, ma sono riuscito nell’impresa di filmare anche un altro pezzo oltre al suddetto, ovvero Nowhere, No-one, Nothing il cui risultato è a piè di pagina. Per tutto il tempo ho avuto Morgan e Mortuus a pochi centimetri e a quest’ultimo sono riuscito a dare anche la mano, inoltre ho avuto modo di vedere da vicino come il primo scorreva sul manico della sua ESP mimetizzata. Non conosco tutta la discografia dei Marduk, però la scaletta mi è sembrata varia e ho avuto conferma di questa impressione quando sono andato a ricercarla. Come tre anni fa per me il momento più esaltante è consistito nell’esecuzione di Baptism By Fire e della title track di Panzer Divsion Marduk, infatti io nutro una piena venerazione per quel breve ma intenso album che mi ha fatto conoscere il gruppo quasi dieci anni fa. Per quanto riguarda il black metal credo che solo gli Immortal potrebbero darmi qualcosina in più dal vivo, perciò non m’illudo di rivivere le stesse sensazioni in un altro concerto dello stesso genere. Comunque alla fine delle danze macabre (questa citazione è per pochi, ma tanto qua non c’è nessuno) ho dato una pacca sulla spalla e ho stretto la mano al tizio con cui ho lottato per lungo tempo, là in trincea. Devo menzionare l’intensa attività di sollevamento di gentiluomini a cui ho partecipato, infatti verso metà del live lo stage diving è stato continuo. Insomma, in quell’atmosfera di violenza relativamente controllata mi è sembrato di rivivere una cerimonia ancestrale, persa nei tempi, “quand’ancora non si distingueva l’aurora dal tramonto”.
Accidempoli, chi avrebbe mai immaginato che in questa congiuntura economica e con l’attuale classe politica una manifestazione avrebbe potuto degenerare in violenza? Proprio una grande sorpresa. Credo che la guerriglia urbana non dia frutti e lasci soltanto un retrogusto di diossina. A mio avviso sarebbe preferibile veicolare la furia armata verso il governo e l’opposizione invece di mettere a ferro e fuoco una città, ma taluni si accontentano di una grigliata in centro. I politici fingono di essere sordi, ma forse lo diventeranno davvero a forza di udire le bombe. Io spero seriamente che ogni parlamentare cominci a sentire puzza di bruciato, ma in senso letterale.
Non inseguo le utopie e non pretendo un mondo perfetto. Non sono un filantropo e in primo luogo penso a me stesso senza danneggiare il prossimo, ma proprio in virtù di questa ragione mi auguro fortemente che migliorino le circostanze in cui versa l’Italia: se cominciasse a cadere una parte del paese allora s’innescherebbe un effetto domino e forse i disordini sociali non resterebbero appannaggio delle metropoli o potrebbero esacerbarsi in maniera impensabile.
La politica italiana dovrebbe fare un passo indietro in un burrone e chiedere all’Europa un governo di stranieri che possa gestire la nazione senza farle scontare a caro prezzo i giochi di palazzo. Nessuna formazione politica m’ispira fiducia e mai come oggi il qualunquismo mi pare appropriato. Non mi dispiacerebbe se a qualcuno nelle Forze Armate riuscisse un colpo di stato.
Malgrado il sudiciume che impregna il mondo e le mani di chi abbia ricevuto un mandato per governarlo, la buona musica è immune da cotanta pochezza e colgo ogni occasione per attingere dai suoi anticorpi. Sei giorni fa sono stato al Crossroads, un locale romano dove si è esibito Vinnie Moore: ottima atmosfera e acustica impeccabile. Chiunque apprezzi i virtuosi delle sei corde non può prescindere dal chitarrista suddetto. Durante il concerto Moore ha suonato prevalentemente pezzi vecchi, ma ha proposto anche qualche traccia del suo ultimo lavoro, “To The Core”, un album meno neoclassico rispetto ai suoi canoni e ugualmente ben riuscito a mio avviso. Non conoscevo nessuno dei tre musicisti che accompagnavano lo statunitense, però tutti mi hanno fatto un’ottima impressione e ho gradito anche le parti vocali del tastierista benché talvolta la sua voce uscisse un po’ distorta. Vinnie Moore è un tipo simpatico e dopo la conclusione di un pezzo, nominando i membri del suo gruppo, lui si è presentato così: “My name is Eddie Van Halen”. Alla fine del live ho avvicinato il virtuoso e gli ho detto che forse lo avrei rivisto alla data di Pisa e lui mi ha risposto: “It sounds good, bring the girls”. Io ho detto semplicemente “sure” perché non ho avuto la lucidità d’informarlo che ero la persona meno adatta per quel compito. Che risate! Tra marzo e maggio mi attendono alcuni concerti radicalmente diversi tra loro, ma nel mio umore la musica non cambia mai e ogni genere che seguo riesce ad appagarmi.
Due giorni fa sono uscito di casa con un paio di pantaloni da ginnastica del Liverpool e una maglietta di Ken Il Guerriero. Era pomeriggio, pioveva a dirotto e per due chilometri ho impugnato un ombrello malandato che in seguito ho abbandonato con cura vicino a dei cassetti della spazzatura. Non ho cantato sotto la pioggia come Gene Kelly, ma sono entrato nella stazione ferroviaria del mio comune e ho comprato un biglietto di sola andata per Roma. Successivamente mi sono diretto al terzo binario per attendere il mio treno, ma prima ho speso qualche secondo per ridere della bruttezza dei graffiti amatoriali che si trovano nel sottopassaggio della stazione. Ho atteso alcuni minuti dietro la linea gialla della banchina e poi mi sono accomodato nelle scomodità esose di Trenitalia. Dopo un’ora e cinquanta minuti ho raggiunto la capitale e ho mangiato un boccone alla stazione di Termini, poi ho preso la linea B della metropolitana e sono sceso a una delle ultime fermate dell’EUR. Ho camminato per un po’ e alla fine ho raggiunto il Palalottomatica per vedere il concerto dei Dream Theater e dei Symphony X, ma non sono riuscito a trovare un biglietto e ho partecipato brevemente allo sconforto degli alti esclusi. Mi sono lasciato alle spalle le orde di venditori partenopei che erano asserragliate davanti al Palalottomatica e ho compiuto il viaggio di andata al contrario. Non pensavo che i Dream Theater e i Symphony X facessero il tutto esaurito a Roma poiché il giorno precedente avevano già suonato a Bologna e l’indomani erano attesi per un’altra data nel meridione.