Il turno dell’estate si approssima alla conclusione e io la sto salutando con gli ultimi bagni nelle acque cristalline della mia zona, ma certi anni, con il permesso delle condizioni atmosferiche, prolungo il refrigerio salmastro fino a novembre.
A parte i congedi stagionali v’è altro di cui intendo scrivere. Mi sto allenando con regolarità dal primo di giugno e sto raccogliendo i frutti della mia costanza. A luglio ho corso 448 chilometri, ad agosto 607 e proprio in quest’ultimo mese ho battuto il mio record personale di uscite consecutive: sono arrivato a farne ventisette. Mi serve ancora un po’ di tempo per riprendere e persino migliorare la velocità di punta, ma sono nella direzione giusta, qualunque essa sia. Guardo con ottimismo alle mie statistiche in ragione di un test che ho svolto da solo un paio di giorni fa, ovvero 18,5 chilometri a una media di 3’50” al chilometro, con seimila metri di strada bianca dovuti al passaggio in pineta.
Mi piace allenarmi e non mi pesa l’assenza della competizione, ma a tempo debito cercherò di capitalizzare in gara i piacevoli sforzi a cui mi sottopongo per i fatti miei. Non ho ancora espresso il mio massimo e conto di farlo negli anni venturi.
La mia psiche fatica. Sono ancora pervaso dalle lacerazioni affettive e tento di arginarle con un immobilismo temporaneo del pensiero. Potrei ripararmi in questioni più grandi di quelle che mi riguardano direttamente, però un espediente del genere mi consentirebbe soltanto di ritardare l’ennesimo confronto con le mancanze in me cronicizzatesi.
Sono dilaniato da un’arma a doppio taglio. Ho la piena consapevolezza di miei pregi quanto dei miei limiti, ma non riesco a trovare uno sbocco per i primi e i secondi non sono abbastanza forti da smemorarmi. In altre parole è come se fossi continuamente sottoposto ad un’operazione a cuore aperto senza anestesia in quanto la mia lucidità non si fa mai da parte. Di natura e forse per vissuto ho una sensibilità accentuata, ma questa mi ucciderebbe se non avessi un certo controllo su me stesso. Non mi manca la volontà di fare il passo decisivo, tuttavia non trovo un terreno su cui compierlo e per questa ragione mi tengo in equilibrio su una gamba sola. Le lotte interiori di cui sono protagonista non hanno nulla d’originale, ma posso imprimere univocità sul modo d’affrontarle. Devo vincermi, nel senso attivo e passivo che può avere tale espressione. Non ho i postumi di una crisi adolescenziale né anticipo quella di mezz’età: solo lungimiranza.
Stamane sono uscito di casa alle otto e ho compiuto cinque giri da quattordici chilometri l’uno attorno alla parte della laguna di Orbetello che bagna la pineta della Feniglia. Ho pedalato per tre ore e cinquanta minuti prima di rincasare a mezzogiorno. Nel corso del quarto giro ho iniziato a sentire un po’ di dolore alle cosce e ho avvertito qualche disturbo allo stomaco, ma ho continuato a pedalare. Il quinto giro è stato un atto stoico e ho preso a formulare pensieri assurdi per distrarre un po’ la mia attenzione dalla fatica. Negli ultimi dieci chilometri ho sentito un forte senso di leggerezza al capo e sono andato avanti meccanicamente. Quando sono arrivato a casa la mia soddisfazione è stata enorme e ho applaudito alla mia volontà. Alla fine del quarto giro sapevo che il quinto sarebbe stato devastante, ma il mio assetto mentale ha dato manforte all’efficienza del mio corpo. Ho sfondato il muro di un altro limite personale. Ovviamente ho compiuto questi cinque giri senza soste, senza acqua e senza cibo, ma ho sentito solo l’assenza di quest’ultimo e in particolare ho patito la mancanza di zuccheri dalla fine del terzo giro in poi. Sono passato cinque volte di fronte ad alcuni operai e sul viso di uno di loro ho letto un po’ di stupore dopo il mio terzo transito dinanzi ai suoi occhi. Sono sfinito e appagato. Voglio riposarmi tra le braccia della mia soddisfazione e spero di dormire per molto tempo dato che sono in piedi da ventidue ore.