Sono molte le domande che potrebbero vorticare in questi giorni, ma io non intendo dare asilo a nessuna di loro né agli assilli che ne costituiscono gli arti prensili. Talvolta, per orientarmi, i punti cardinali mi sembrano del tutto inutili, però io non pretendo di conoscere sempre la direzione giusta. Mi perdo nel vuoto, ma quest’ultimo è il mio eremo d’oro; un rifugio desertico, il piano da inclinare per osservarne altri, l’oasi ove accendere fuochi fatui dei quali non restano mai tracce neppure nelle notti che si avvicendano senza posa, ignare l’una dell’altra.
Non ho meriti particolari e l’unico degno di nota consiste nella facoltà di sottolinearne l’assenza con calma olimpica. A differenza di chi ne fa vanto o croce, io non posseggo ferite lacerocontuse sul cuore, ma solo un po’ di polvere che m’auguro non venga spazzata via da un soffio cardiaco. Ai bivi non bivacco e saluto chiunque s’affretti a imboccare una via mentre parte del sé muore di inedia. Assecondo la mia buona stella benché io non creda affatto nell’astrologia e la consideri adatta come oggetto di scherno. Cos’altro ha da offrirmi il tempo che non presenti quelle forme di cui nessuna malattia neurodegenerativa ha ancora privato la mia memoria? Foss’anche una continua ripetizione, io accolgo a braccia aperte l’esperienza di quest’esistenza e mi rammarico un po’ se non riesco a sfuggire alla retorica per declamare la mia disponibilità a fruire della vita.
In questo periodo ritengo che le parole siano più superflue del solito e non le considero adatte per omaggiare la quiete delle mie giornate. Tendo a ripetermi perché la mia vita è abbastanza lineare, tuttavia non mi lascio mai stringere dalla morsa apatica della noia e trovo sempre un modo per eluderla. Sono contento di vivere e non ho bisogno di qualcosa in più sebbene la mia esistenza possa sembrare piuttosto spoglia. Non riesco a trovare un motivo per rattristarmi seriamente, tuttavia sono ancora in grado di incazzarmi ogniqualvolta io lo reputi necessario. Non posso ringraziare le coincidenze perché dubito che la natura delle loro manifestazioni sia intenzionale, ma devo molto a una serie di circostanze casuali che mi hanno permesso di risparmiare tempo al cospetto di problemi comuni e illusori. Ho iniziato a provare sensazioni meravigliose nel momento in cui la mia solitudine è diventata una condizione fantastica. Non oso immaginare in quali condizioni psicofisiche verserei oggi se l’isolamento non mi avesse preso sotto la sua ala. Per me l’equilibrio non è una questione meditativa e riesco a trasporla meglio nei palleggi che eseguo spesso durante il pomeriggio. Non mi piacciono le discussioni profonde, non mi interessano le ricerche collettive, non mi occorrono le pratiche ascetiche e disprezzo ogni atteggiamento intellettuale che pretenda di diventare paradigmatico per trovare una conferma delle sue premesse. Non penso che il valore di una persona sia quantificabile attraverso la sua collezione di consensi e suppongo che in qualsiasi contesto la popolarità non coincida necessariamente con qualcosa di positivo, tuttavia sono molti i comportamenti che hanno come fine l’ottenimento della considerazione altrui e di conseguenza la mia estraneità a questa corsa di cavallette impazzite mi fa sentire fortunato. Non riuscirò mai a levare etichette asociali e misantropiche dalla mia nomea, ma non voglio nemmeno provarci perché non ne sono infastidito e poi sono ben altri gli errori di valutazione che mi preoccupano.
Non festeggio il Natale e non faccio regali, però acquisto doni per me stesso e anche quest’anno ho deciso di comprarmi qualche disco per ampliare la mia collezione. Di solito mi procuro le copie originali di alcuni dischi che in un primo tempo scarico dalle reti peer-to-peer e di cui in seguito vaglio l’acquisto: credo che l’arte vada rimunerata quando sia possibile farlo. Mi sembra che la temperatura non sia scesa molto dalle mie parti. Giro in maniche corte anche d’inverno e ogni tanto qualcuno mi osserva con perplessità. Durante il mio viaggio in Giappone ho indossato il giubbotto per l’ultima volta, ma nella mia patria natia sono tre anni che non lo porto e tutt’al più mi metto una felpa. Riesco a tollerare abbastanza bene il freddo moderato della mia zona, tuttavia devo ammettere che le mie mani subiscono maggiormente il clima invernale rispetto alle altri parti del corpo. Non ho progetti per il nuovo anno. Considero gli ultimi trecentosessantacinque giorni piuttosto buoni e non mi auguro nulla di speciale per i prossimi dodici mesi. Non desidero niente di particolare. Suppongo che continuerò a spendere il mio tempo libero in tutte quelle attività che hanno coltivato in me una serenità spontanea. I progressi che mi attendono non sono deputati a colmare le mie lacune, ma produrranno un arricchimento interiore che difficilmente potrò considerare fondamentale. Se stessi giocando una mano di poker direi senza bluffare: “Servito”. La mia esperienza mi ha insegnato a non dare credito a chi tenti di parlare della vita in modo oggettivo e per questa ragione ho evitato due delle più grandi disgrazie che avrebbero potuto colpirmi, ovvero la disponibilità ad accettare gli insegnamenti fallaci di qualcuno e la pretesa ignobile e ingannevole di insegnare a mia volta qualcosa ad altre persone. Io non credo che per imparare da sé stessi occorra imprimere le proprie idee nell’approvazione esterna e scorgo una forte insicurezza o un’intenzione truffaldina in chiunque si reputi in grado di indicare a qualcun altro il modo in cui vivere. A me pare che molte cose siano più semplici di quanto vengano descritte da coloro che vogliono trascinare i loro simili nella tristezza e nelle difficoltà per non sentirsi soli negli stati depressivi. Capisco che il vuoto possa sembrare terrificante e so che in alcuni giorni il passaggio del tempo possa risultare quasi intollerabile, ma tutto ciò non giustifica l’inquinamento morale che si snoda dai discorsi subdoli di chi è prigioniero di sé. Penso che sia difficile dare il giusto peso alle parole degli altri e io ritengo che per quanto possibile sia meglio non darne alcuno. Le difficoltà artefatte non esercitano alcuna attrattiva su di me.
Ho notato che negli ultimi mesi il tono dei miei appunti è stato più frivolo del solito. Credo che il predominio della leggerezza nei miei scritti sia una prova ulteriore del mio distacco dalle problematiche comuni. Non sento più la necessità di affrontare alcuni argomenti, tuttavia l’assenza di questo bisogno non mi preclude la possibilità di trattare nuovamente quei temi che ho pacificato dentro di me attraverso l’introspezione. I miei giorni trascorrono senza intoppi e la loro vitalità è variabile, ma non scende mai sotto il livello di guardia. Non sono un derviscio e piuttosto che ruotare su me stesso preferisco lasciare ai miei coglioni il compito di girare, ma le polemiche puerili e qualche mia battuta infelice non compromettono la struttura portante della mia esistenza. In passato il mio tallone di Achille era costituito dalle mancanze affettive e in particolare dalla mia estraneità all’amore, ma ho superato questo scoglio anche se la mia vita privata non ha avuto ancora la sua genesi e difficilmente ne avrà una. Per me è stato piuttosto arduo riuscire a impedire che l’assenza di emozioni mutue desertificasse le mie capacità empatiche, tuttavia mi sono lasciato alle spalle anche questo ostacolo e il tempo ha giocato un ruolo fondamentale per l’ottenimento di un simile successo. Le difficoltà appaiono magnifiche quando perdono il loro aspetto spaventevole. La mia lotta interiore è iniziata alcuni anni fa sotto i migliori auspici e penso che ormai si sia conclusa con un vittoria ampiamente prevedibile, ma non ho alcuna intenzione di allontanarmi da tutto ciò che mi ha permesso di superare la selezione naturale dell’interiorità. Non ho bisogno di gustare qualche aspettativa per addolcire il presente, tuttavia il futuro è sempre il benvenuto nel mio microcosmo. Ci sono delle parole che sento profondamente e voglio riportarle per concludere questo appunto. La citazione che segue non proviene da un guru canuto con la barba incolta né da un bohémien, ma appartiene a Franklin Delano Roosvelt: “L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”.