Ci sono state delle volte nella vita in cui mi sono sentito al posto giusto nel momento giusto e quattro giorni fa mi è capitato proprio questo. Ho guidato per duecento chilometri fino a Perugia in compagnia di me stesso e mi sono fermato vicino al teatro Bertolt Brecht nel quale sono poi entrato per assistere al concerto de Il Bacio della Medusa, un gruppo che io (e non solo) reputo di levatura mondiale nella scena del rock progressivo; attendevo da molto tempo un loro live e non mi sono fatto sfuggire la prima buona occasione di prendervi parte: per fortuna, aggiungo! Di costoro possedevo già i dischi in vinile, ma al termine dell’esibizione ho preso gli equivalenti in CD poiché credo che certa creatività vada supportata. Sul palco è stata eseguita per la prima volta Deus lo vult, un pezzo impegnativo, specialmente per la voce di Simone Cecchini che ha sottolineato questo particolare prima di toccare delle note piuttosto alte: performance superba, davvero esaltante! La proposta di questi alfieri della musica immaginifica è stata tratta dai loro tre dischi nella cornice di un’atmosfera incantata e, per quanto io ne sia stato coinvolto per tutto il tempo, devo ammettere che i momenti apicali per me sono stati i brani provenienti da Discesa agl’inferi d’un giovane amante. In alcuni momenti il flauto e il sax di Eva Morelli sono stati davvero ipnotici, come il piffero in una celebre favola tradotta dai fratelli Grimm! Grandiosa la sezione ritmica, con Diego Pietrini alla batteria (e non solo..) e Federico Caprai al basso; si è dimostrata coriacea nell’accompagnamento e incisiva negli assoli anche la Gibson di Simone Brozzetti! Spero di rivedere presto un altro concerto de Il Bacio della Medusa perché mi ha dato molto e credo che in quel teatro ne sia rimasto un segno.
Il concerto si è concluso con Amico di ieri, un pezzo de Le Orme che Il Bacio della Medusa ha suonato assieme ad Aldo Tagliapietra (quest’ultimo aveva prima eseguito dei brani da solo): mi sono goduto e ho filmato quell’inedita condivisione dello stage, lo stupendo finale di una serata magica le cui buone vibrazioni in me, ne sono certo, non si estingueranno a breve…
PFM a Radda In Chianti, Osanna e Metamorfosi a Roma
Pubblicato giovedì 1 Ottobre 2015 alle 17:49 da FrancescoNella mia esistenza la musica ricopre un ruolo centrale e talvolta è l’unica entità a cui concedo di rompere la sacralità di certi silenzi o di seguirne la fine naturale, perciò non mi faccio mai alcun problema a recarmi da solo in ogni dove quando senta forte il richiamo di certe cose: è sempre un’avventura personale e solitaria di cui sono unico protagonista e depositario. Da alcuni anni a questa parte ho trovato la mia dimensione ideale nel mondo prog, un genere magico a cui ero destinato ad approdare con tutto me stesso, ma i miei ascolti spaziano ancora moltissimo.
Nelle ultime settimane ho assistito a tre concerti grandiosi, tutti all’insegna del rock progressivo made in Italy. Il quattordici settembre mi sono recato a Radda In Chianti, nel senese, e ho visto per la seconda volta la Premiata Forneria Marconi: è stata davvero un’esibizione coinvolgente in cui la PFM ha proposto un piacevole sunto della propria discografia in una cornice meravigliosa. Franz Di Cioccio ha sempre una carica strepitosa, la trasuda da tutti i pori, e nonostante la sua veneranda età riesce ancora a trasmetterla al pubblico; il basso di Patrick Djivas è quello che tutti conoscono e Marco Sfogli sostituisce degnamente Franco Mussida alla chitarra.
Tre giorni dopo mi sono recato a Roma per il festival Progressivamente che si è tenuto al Planet, un celebre locale capitolino che fino a qualche tempo fa si chiamava Alpheus. Dei quattro giorni in programma io ho partecipato a due serate, perciò in tutto ho guidato da solo per circa seicento chilometri in quarantotto ore. Il diciassette settembre ho avuto il piacere di sentire e di vedere per la seconda volta i mitici Osanna di Lino Vairetti: mi piace la nuova formazione e pure il nuovo album, Palepolitana di cui ho acquistato una copia originale in CD proprio al termine del concerto. Gli Osanna sono un mondo da scoprire e da riscoprire: fantastici. Il giorno seguente, il diciotto, ho rivisto la Nuova Raccomandata Con Ricevuta di Ritorno, con alla voce lo straordinario Luciano Regoli che di recente ho apprezzato anche nell’unico disco firmato dai Samadhi, appena quarantuno anni fa. E poi fu il sesto giorno… Qui mi sono permesso un gioco di parole col nome del primo album dei Metamorfosi, band che sono finalmente riuscito a vedere dal vivo: ci tenevo! Avevo già avuto modo di ascoltare la voce tuonante di Jimmy Spitaleri in occasione della sua collaborazione con Le Orme per quel bell’album (che possiedo in vinile) che è La via della seta e anche su un suo disco da solista (a nome Davide Spitaleri) che s’intitola Uomo irregolare.
Durante il concerto succitato i Metamorfosi hanno presentato Purgatorio, il nuovo album che dopo Inferno (di quarantatré anni fa) e Paradiso (di undici anni or sono) conclude la triade dantesca di questa straordinaria formazione di cui io mi professo grande fan.
Serata leggendaria di progressive rock italiano
Pubblicato lunedì 23 Luglio 2012 alle 04:13 da FrancescoSabato mi sono recato nel viterbese per assistere ad una manifestazione di progressive rock italiano che è durata quasi sei ore. Sul palco si sono alternati nomi importanti per il genere, ma ci è salito anche Paul Whitehead, un disegnatore che ha creato copertine storiche per gruppi come Genesis e Le Orme. La serata è stata un crescendo continuo e diverse formazioni hanno celebrato il quarantennale di qualche caposaldo delle loro discografie. Io mi sono esaltato molto più di quanto mi potessi aspettare e per qualche ora ho avuto la sensazione di trovarmi in una successione di momenti che s’è già cristallizzata nella mia memoria. Forse in queste righe rischio di non riportare l’ordine corretto delle apparizioni, però sono certo di tutto quello che mi hanno lasciato. Gli Analogy sono stati i primi a suonare, tuttavia non avevo mai ascoltato nulla di loro. Da quanto ho capito hanno proposto i pezzi del loro album omonimo del settantadue, dato che i membri, in parte italiani e in parte tedeschi, dopo l’esordio hanno preso strade diverse e dalle ceneri della band sono nati gli Earthbound in Inghilterra. A me sono piaciuti sebbene non mi abbiano fatto gridare al miracolo e provvederò a recuperare il loro debutto discografico.
Ho accolto con moltissima curiosità l’esibizione della Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, storico gruppo di Roma che conserva soltanto un membro della formazione originale, ovvero il vocalist. Se qualche appassionato mi leggesse potrebbe tacciarmi di blasfemia, però in qualche acuto di Luciano Regoli io ho risentito Ian Gillan! Mi sono piaciuti gli inserimenti del soprano e in generale non c’è nulla che mi abbia fatto storcere il naso: ottima prestazione.
Sono poi giunti gli UT, l’anima prog dei New Trolls, e hanno ricevuto una grande risposta da parte del pubblico, me compreso. Lo stile di Claudio Cinquegrana alla chitarra mi ha davvero esaltato, ma anche le parti vocali eseguite da Alessandro Del Vecchio hanno contribuito molto a farmi apprezzare lo spettacolo e, ovviamente, le fughe del leggendario Maurizio Salvi.
Da un mostro sacro all’altro: dopo Salvi le tastiere sono state protagoniste sotto le mani altresì mitologiche di Joe Vescovi, leader dei Trip, con i quali è risalito sul palco Fabrizio Chiarelli (questa volta alla chitarra e alla voce) che aveva suonato poco prima con gli UT (ma al basso e alla voce): insomma, doppio turno per questo giovane esponente del prog italiano: complimenti. La serata ha dato anche modo di salutare Jon Lord ed è stato proprio Joe Vescovi a ricordarlo. Uno dei miei momenti preferiti è stato quando agli Osanna (che hanno preso posto dopo i Trip) si è aggiunto il grandissimo Gianni Leone de Il Balletto di Bronzo la cui sola esibizione sarebbe valsa il costo del biglietto: io l’ho filmata e me la sono goduta! Devo anche sottolineare la prova straordinaria del giovane chitarrista degli Osanna che ha citato alla grande l’assolo di Stairway To Heaven, un’idea davvero riuscita: spettacolare!
Questa fantastica maratona ha avuto il gran finale con il Banco del Mutuo Soccorso. Prima di prendere posto, all’entrata, ho incontrato Francesco Di Giacomo, però non gli sono andato a rompere le palle e gli ho semplicemente rivolto un cenno di apprezzamento. Comunque non c’è molto da dire sulla performance del Banco perché ogni parola è scontata. Ho sentito i pezzi che mi attendevo dai miei album preferiti, in particolare da quel Darwin! che porta benissimo i suoi quarant’anni. Udire dal vivo pezzi come L’evoluzione, E 750.000 anni fa… l’amore, Io sono nato libero e Cento Mani, Cento Occhi mi ha fatto un certo effetto…
Per me è stato un viaggio onirico e solitario nel tempo, in quegli anni settanta che hanno visto il concepimento di dischi ai quali io mi affido tanto nei momenti migliori quanto nei periodi funesti. Quando sento i pezzi della Locanda delle Fate, de Le Orme, del Banco del Mutuo Soccorso, dei Metamorfosi o del Museo Rosenbach, mi sembra quasi che si rivolgano a me, come se più che un ascoltatore io diventassi un interlocutore. L’elenco dei gruppi sarebbe biblico: in ogni caso ho un grande debito nei confronti del progressive rock italiano. Ci sono generi che ascolto nella stessa misura o anche maggiormente, alcuni mi aiutano addirittura a correre più di quanto potrei fare con le mie sole forze, tuttavia il rapporto d’intimità che ho con il progressive rock è unico. Alla fine del concerto, prima di rincasare ho passato un po’ di tempo ai banchetti e finalmente ho trovato il vinile de Il Tempio delle Clessidre, una giovane band di Genova (con un “ragazzo” della vecchia guardia alla voce) a cui auguro tutto il bene possibile e della quale ho scoperto il talento in un altro grande concerto alla Casa del Jazz di Roma, quando ho avuto l’occasione di vedere dal vivo anche la Locanda delle Fate.
Sono rincasato tardi e felicissimo, con le orecchie affaticate ma ancora pronte ad ascoltare altra roba lungo il tragitto. Mi sono addormentato benissimo, ma forse devo ancora svegliarmi, o no?
Fatico a trovare musica italiana che mi piaccia, tuttavia ci sono ancora dei gruppi in grado di suscitare in me una profonda approvazione e in queste righe voglio segnalare due dischi per non essere troppo dispersivo, comunque è soltanto il secondo che reputo un capolavoro.
Il primo album è Il Più Antico dei Giorni dei Magnifiqat. Di solito non apprezzo il gothic metal, ma questa è una piacevole eccezione a cui non mi sottraggo. Il platter non contiene tecnicismi esagerati, scale supersoniche né tanto meno tutto l’ambaradan virtuosistico tanto caro a certi ascoltatori (come d’altronde lo è anche a me, talvolta), però molte tracce sono attraversate da un’atmosfera evocativa, onirica e malinconica, in cui compare un soprano in più di un’occasione a caricarle d’ulteriore intensità. Mi piace molto il cantato quasi sussurrato e trovo che si sposi benissimo con i pezzi strumentali. La mia traccia preferita è Diadema: delicatissima e solenne.
Petali di Fuoco è il secondo album a cui voglio tributare lodi per me doverose. Partorito da un gruppo progressive rock italiano che corrisponde al nome de La Maschera di Cera, il disco in questione è un susseguirsi di pezzi meravigliosi che fanno tornare la mente indietro di decenni, fino a rievocare i Museo Rosenbach, la Premiata Forneria Marconi, Le Orme e il Banco del Mutuo Soccorso, insomma la crème del progressive italiano degli anni settanta (la lista è ben più lunga!), tuttavia non ne sono affatto semplici epigoni, anzi, tutt’altro. Anche in questo caso si sprecano le atmosfere oniriche, ma qui il tasso tecnico è elevato, i pezzi sono più articolati come impongono i canoni del progressive rock e al contempo mi pare che scorrano benissimo. Tutto risulta orecchiabile e non scorgo virtuosismi fini a loro stessi, o quantomeno a me sembra che siano sempre a servizio della struttura dei pezzi anziché al soldo del narcisismo a cui talvolta certi musicisti si asserviscono. La voce di Alessandro Corvaglia è davvero notevole e mi ha colpito fin da subito, inoltre veicola testi che a mio avviso sono scritti bene. Insomma, “Petali di Fuoco” è un album che alla prima traccia mi ha fatto dire “ah, però” e dopo, dalla quarta in poi: “Me cojoni!”. Coadiuvato da opere del genere il mio morale è alla stregua del Barone Rosso, soltanto più difficile da abbattere. Non so scegliere una traccia sola come mia preferita, perciò ne segnalo due: Tra Due Petali di Fuoco e D-Sigma di cui purtroppo non c’è uno streaming sul web.