Mi trovo ancora sotto i cieli ordinati a eternità e non cerco di venire a capo delle ragioni per le quali altri il capo lo perdono. Mantengo la debita distanza dai debiti di riconoscenza ed evito di maturare crediti della stessa risma. Nelle terre galliche le città s’illuminano con gli intensi fuochi di proteste pretestuose; a nord del Mar Nero invece delle stessa pece sono le notti urbane dovute ai blackout e ai lutti. La cosiddetta civiltà non può affrancarsi dalla sua pulsione di morte, tutt’al più le è dato di ammansirla in periodi di tregua che talora sono chiamati impropriamente periodi di pace. Di sicuro le parole hanno un peso, ma credo che gli esplosivi facciano più male.
Una parte del mondo combatte per un certo uso dei pronomi, altrove invece il problema non sussiste giacché restano da chiamare soltanto i fantasmi in mezzo alle macerie. I problemi del primo mondo sembrano al primo posto e spesso per secondo non c’è nulla: chissà, può darsi che il carrello un po’ vuoto sia colpa dell’inflazione o della spinta incarnata da Thanatos (in senso greco, non a mo’ di creatura della Marvel).
Nei paesi avanzati, dove gli avanzi abbondano e invece dell’inedia la vexata quaestio è quella di normalizzare l’obesità, ormai è tutto burocratizzato, a misura delle forzature di chi vuole imporre nuovi paradigmi in ragione dei suoi complessi d’inferiorità: persino l’amore e l’odio devono esibire le rispettive marche da bollo. Pare (invero in meccanica è accertato) che a ogni azione corrisponda una reazione uguale o contraria, perciò mi chiedo se il gioco manuale dello specchio riflesso non sia il migliore modus operandi per dirimere qualunque controversia.
Assisto all’incedere degli eventi e desisto da una mia attiva partecipazione agli stessi, almeno per quanto mi è possibile: credo che tutto vada come deve andare e di certo non ricade su di me l’onere di dimostrare il contrario. Io mi trovo sempre al solito posto, ai margini delle righe e tra le pause di uno spartito che non eseguo: buona la prima e tutte le altre.
Assisto senza troppo entusiasmo agli attuali sconquassamenti delle società occidentali, difatti essi seguono la classica circolarità che caratterizza i ricorsi storici e dunque non presentano nulla di nuovo sotto questo Sole, al cospetto del quale, immagino, per taluni sia bello pedalare. Guardo distrattamente le accese proteste di questo periodo così come, con la medesima superficialità, talora seguo l’ennesima replica di un vecchio film.
Da qualche parte è sorto l’obbligo morale d’inginocchiarsi e come al solito l’ipocrisia fa in modo che i più pavidi tra gli indifferenti ottemperino a tale diktat. In alcune etnie e culture vi è una tendenza al vittimismo che anche nelle sue istanze più autentiche viene mortificato dai secondi fini con cui qualcuno cerca di cavalcarlo per i propri scopi o per giustificare azioni sbagliate come quelle contro cui asserisce di protestare. A mio modesto parere nella quasi totalità delle società multietniche le tensioni sono destinate ad aumentare sempre di più, fino a quando non sfoceranno in un conflitto aperto, in una costante oscillazione tra la guerriglia urbana e l’orlo della guerra civile. Io non m’inginocchio per nessuno e provo un totale disprezzo per l’iconoclastia a prescindere da chi la ponga in essere. Se tutto dipendesse da me autorizzerei chi di dovere a sparare ad altezza d’uomo per difendere le statue e non già per queste in quanto tali, bensì come prova di forza e monito del potere ai suoi sottoposti. Le società umane sono intrinsecamente violente e dunque solo la grave minaccia di una punizione irreversibile può mantenerle in una relativa quiete, ma tutto ciò non sarebbe necessario se a monte prevalesse nei più una forte morale che invero è peculiarità di pochissimi popoli.
Auguro alle generazioni future pace e prosperità, ma se dovessi scommettere cinque euro sull’avvenire allora metterei il denaro su un esito nefasto, oscuro, efferato e crudele, una Babele con differenze e conflitti insanabili dove una parte della cosiddetta “intellighenzia” continuerà a negare l’evidenza in nome delle sue bieche utopie e dei suoi sordidi interessi. Detesto tutto ciò che è politicamente corretto e non mi diverte quanto gli si oppone per partito preso: le due facce della stessa medaglia.
Nelle ultime settimane è tornata di moda l’iconoclastia e certe immagini mi fanno pensare banalmente ad alcuni passaggi di 1984. Il celebre romanzo di George Orwell è evocato a ogni piè sospinto e talora in maniera esagerata finanche per degli usi iperbolici. A me sembra che il conio di una neolingua stia avvenendo per mano e bocca di chi teme le parole, ovvero individui ai quali è caro soltanto quanto possa dirsi politicamente corretto. La storia comincia a perdere la propria vocazione e viene forzata a svolgere funzioni edificanti, così qualcuno vuole mutarne l’insegnamento e qualcun altro ne abbatte tutti quei simboli che contrastano con la loro visione del mondo.
Taluni in nome della libertà di culto attentano a certe culture, spesso quella da cui provengono, in nome dell’uguaglianza tendono a discriminare chi non la pensi come loro, in nome di un’equa ripartizione delle risorse puntano a espropriare chi si è costruito qualcosa con le proprie forze, poiché per costoro l’individualismo è ammesso solo quando sia incarnato in determinati tratti razziali e sociali. Non contesto queste prospettive, anzi, non me ne fotte proprio un cazzo, e neanche scomodo termini inflazionati come ipocrisia o incoerenza per descriverne la sostanza, bensì mi limito a prenderne atto. Il mondo va come deve andare e i suoi impazzimenti sono l’espressione di una ciclicità che prescinde da chiunque s’illuda di esserne il primo artefice. D’altro canto vi è chi deve trovare un’ancora di salvezza nella vita o almeno uno scopo in cui identificarsi per sopportare il resto della propria esistenza, quindi immagino che taluni sposino certe cause non perché vi credano fortemente, ma per un’esigenza esistenziale di cui secondo me neanche si accorgono. Le fluttuazioni della morale umana sono poca cosa nell’ordine dei secoli, ma possono sembrare imponenti davanti alla durata media della vita umana. Al netto di tutto a me l’epoca attuale fa schifo e non ne salvo le eccezioni poiché esse lo fanno già da sole.