Mi trovo in perfetto equilibrio al cospetto del divenire e ricevo conferme di tale circostanza dagli insindacabili responsi della realtà. Non sono mai stato così presente a me stesso, ma anche il mio corpo non ha mai conosciuto prima un analogo livello di benessere.
Sono a capo di una monarchia desolata e la solitudine è l’incantevole regina che mi accompagna nei deserti di mia proprietà. Nell’arco di cinque mesi ho riconquistato ed esteso gli ampi confini del mio solipsismo, perciò adesso mi sento come se camminassi a mezzo metro da terra e forse ci riuscirei davvero se la forza di gravità non si opponesse così tanto. Ho eseguito una spietata vendetta contro gli ingiustificati scoramenti di qualche tempo fa e sono contento che essi siano caduti nell’impari battaglia contro di me.
Pongo da solo la corona di alloro sulla mia testa e da solo innalzo le insegne che mi rendono onore. Al di fuori del mio regno scorre un fiume senza nome le cui acque portano via cadaveri, fantasmi e remoti trascorsi che l’evanescenza del tempo consegna alla dimenticanza, ma io non indugio con gli occhi su quel corso lontano e mi limito a prendere atto della sua inesorabilità.
Dopo ogni tempesta arriva una calma autentica che porta con sé qualcosa di cui questo mondo non conosce l’origine, tuttavia ho ragione di credere che una simile grazia sia appannaggio di chi sopravviva agli eventi e soprattutto a se stesso. Per quanto mi riguarda io festeggio con libagioni analcoliche e prive di calorie, brindo con la mia ombra quando una luce soffusa ne permette la convocazione e mi addormento come se fossi sospeso nel vuoto, in un serafico silenzio di cui mi piace immaginare l’affinità con quello che precedette ogni origine.