L’auspicio della cosiddetta pace incontra il mio favore, ma ritengo quest’ultima come in perenne subordine all’interesse personale di chi la sostenga. Su un certo piano non v’è distinzione tra chi spera nella fine di un conflitto per salvaguardare le proprie abitudini, i propri averi, le proprie certezze e chi, invece, condivide la stessa aspettativa per avvicinare il mondo alla sua visione dello stesso: in altre parole a me sembra che certe esternazioni procedano quasi sempre da meccanismi di identificazione e appagamento sebbene questi siano celati a livello conscio dalla pavidità in un caso e dall’ideologia nell’altro.
La parvente empatia verso i popoli in lotta è proporzionale all’insistenza con la quale le notizie vengono diramate e alla portata con cui le disgrazie altrui gettano un’ombra minacciosa sul proprio ordine delle cose, infatti poco sconcerto, apprensione e interesse destano i conflitti che si svolgono a certe latitudini, quasi come se i primi definissero le seconde e fossero endemici a certi inferni terrestri. Non scrivo codeste cose per indicare con stucchevole retorica l’ipocrisia imperante, bensì come mio costume mi limito a sottolineare l’ovvio affinché resti tale nella mia mente e non assuma le illusorie sembianze di cui sopra.
La solidarietà ha una matrice adattiva ed è l’arma in più di chi non ne voglia altre, ma nell’essere umano albergano millenni di sopraffazione e la mutua distruzione è una tendenza di cui forse la specie non si libererà mai. Può darsi che in capo ad alcune settimane o nell’arco di qualche mese la guerra si espanda dalle ex repubbliche sovietiche fino al cuore dell’Europa: chi lo sa? A me non piace l’odore della morte e non amo le città coventrizzate, ma prima di tutto ho in orrore queste cose perché me ne sento minacciato e solo in un secondo (per quanto immediato) tempo per un senso di viva partecipazione alle sciagure dei miei simili: talora l’onestà è brutale. Non so come mi comporterei se mi ritrovassi a imbracciare un fucile per proteggermi, tuttavia ho paura di quello che potrei diventare per combattere e di quello con cui poi dovrei convivere se riuscissi a non farmi ammazzare.
Di ovvie ipocrisie ed evenienze belliche
Pubblicato venerdì 11 Marzo 2022 alle 21:48 da FrancescoAttraverso un periodo di profonda serenità. Non c’è niente che io desideri intensamente, perciò le piccole bramosie che porto in grembo non hanno abbastanza forza per compromettere il mio attuale equilibrio. Non valuto mai lo stato d’animo in base a qualche suggestione o sull’onda di un entusiasmo passeggero, bensì ne attendo sempre la conferma attraverso sonni tranquilli e risvegli lieti. Prendo il polso della mia situazione dalla facilità con cui riesco ad addormentarmi e non conosco un metodo più accurato tramite il quale ottenere un responso altrettanto preciso. Le descrizioni positive non sono avvincenti quanto le loro controparti e io non m’impegno molto per renderne più interessante l’esposizione, ma d’altro canto non ho un motivo né un capriccio per tentare qualsivoglia rafforzamento in tal senso.
La quotidianità mi offre delle piccole sfide di pazienza e dei doveri che assolvo senza sentirne il peso, ma nell’arco di una giornata riesco comunque a ritagliare ampi momenti da dedicare a me stesso. Il mio egoismo non nuoce a nessuno. Traggo delle sensazioni concrete dal mio modo di vivere, ma non ho la certezza che quest’ultimo sia davvero quello a me più confacente: chissà! Mi sto avvicinando al Pranayama col duplice scopo di sperimentarne gli eventuali benefici nella corsa e di avvalermene nella vita d’ogni giorno, perciò a tempo debito spero di poterne scrivere qualcosa di utile. Per ora mi limito a constatare quanto stia crescendo il mio lato contemplativo e in particolare in relazione ai colori del crepuscolo. Prima dovevo sforzarmi molto per osservare un tramonto e non sapevo mai goderne, ora invece, a volte, il mio occhio si volge in maniera del tutto spontanea verso il calar del sole: lo considero un primo passo benché non senta ancora in me un vero trasporto di fronte alle ultime luci del giorno; forse un domani, forse mai…
Adoro la mia percezione del tempo e mi domando se anch’essa sia destinata a cambiare prima o poi. Mi piacciono i colori autunnali, però a tempo debito mi auguro di rivedere i ciliegi in fiore. Attorno a me c’è molta terra bruciata perché ardo d’amor proprio senza scottarmi. Soffio sopra i fuochi fatui per accelerarne la scomparsa e ogni tanto mi attardo su questioni di poco conto per incazzarmi inutilmente, però la contentezza caratterizza buona parte delle mie giornate e non ho proprio nulla di cui lamentarmi con me stesso. Devo dare fondo alle riserve di fantasia poiché non posso avvalermi dell’ispirazione che potrei attingere copiosamente dalla malinconia e dalle imitazioni di quest’ultima se fossi ancora in grado d’abbracciarle in modo autentico.
A taluni piacciono i drammi e qualche volta cercano d’instillare un tocco tragico nelle proprie vite per renderle più appetibili. Il Sole non gira attorno alla Terra e quest’ultima non ruota attorno ai problemi immaginari che spesso vengono impiegati nel ramo del disfattismo, lo stesso al quale gli imprenditori dell’autodistruzione s’impiccherebbero immediatamente se fossero afflitti da pesi veramente insostenibili. Già varie versioni di “Ippolito incoronato” sono state scritte e almeno io mi avvalgo della facoltà di non rompermi i coglioni a redigerne l’ennesima rivisitazione moderna. D’altronde parecchie paturnie nascono e si moltiplicano dalle mancanze affettive o da rapporti conflittuali. Io appaio freddo, atarassico o addirittura arrendevole per il modo nel quale intendo i sentimenti, ma in realtà nel giudizio altrui talvolta vengo punito per l’assenza di struggimento nelle mie considerazioni. La croce non la porto al collo né sulla groppa: non ne sono munito, dio cane. Le emozioni sono polimorfe, la stupidità invece è quadratissima e ogni tanto preferisco la seconda alle prime, in particolare ogniqualvolta sorga in me la voglia o il bisogno d’accomodare velocemente la leggerezza passeggera dei pensieri. In me le assenze del malessere sono del tutto giustificate e non c’è bisogno alcuno che si presentino accompagnate dalle riflessioni cupe.
In questo periodo ritengo che le parole siano più superflue del solito e non le considero adatte per omaggiare la quiete delle mie giornate. Tendo a ripetermi perché la mia vita è abbastanza lineare, tuttavia non mi lascio mai stringere dalla morsa apatica della noia e trovo sempre un modo per eluderla. Sono contento di vivere e non ho bisogno di qualcosa in più sebbene la mia esistenza possa sembrare piuttosto spoglia. Non riesco a trovare un motivo per rattristarmi seriamente, tuttavia sono ancora in grado di incazzarmi ogniqualvolta io lo reputi necessario. Non posso ringraziare le coincidenze perché dubito che la natura delle loro manifestazioni sia intenzionale, ma devo molto a una serie di circostanze casuali che mi hanno permesso di risparmiare tempo al cospetto di problemi comuni e illusori. Ho iniziato a provare sensazioni meravigliose nel momento in cui la mia solitudine è diventata una condizione fantastica. Non oso immaginare in quali condizioni psicofisiche verserei oggi se l’isolamento non mi avesse preso sotto la sua ala. Per me l’equilibrio non è una questione meditativa e riesco a trasporla meglio nei palleggi che eseguo spesso durante il pomeriggio. Non mi piacciono le discussioni profonde, non mi interessano le ricerche collettive, non mi occorrono le pratiche ascetiche e disprezzo ogni atteggiamento intellettuale che pretenda di diventare paradigmatico per trovare una conferma delle sue premesse. Non penso che il valore di una persona sia quantificabile attraverso la sua collezione di consensi e suppongo che in qualsiasi contesto la popolarità non coincida necessariamente con qualcosa di positivo, tuttavia sono molti i comportamenti che hanno come fine l’ottenimento della considerazione altrui e di conseguenza la mia estraneità a questa corsa di cavallette impazzite mi fa sentire fortunato. Non riuscirò mai a levare etichette asociali e misantropiche dalla mia nomea, ma non voglio nemmeno provarci perché non ne sono infastidito e poi sono ben altri gli errori di valutazione che mi preoccupano.
Non festeggio il Natale e non faccio regali, però acquisto doni per me stesso e anche quest’anno ho deciso di comprarmi qualche disco per ampliare la mia collezione. Di solito mi procuro le copie originali di alcuni dischi che in un primo tempo scarico dalle reti peer-to-peer e di cui in seguito vaglio l’acquisto: credo che l’arte vada rimunerata quando sia possibile farlo. Mi sembra che la temperatura non sia scesa molto dalle mie parti. Giro in maniche corte anche d’inverno e ogni tanto qualcuno mi osserva con perplessità. Durante il mio viaggio in Giappone ho indossato il giubbotto per l’ultima volta, ma nella mia patria natia sono tre anni che non lo porto e tutt’al più mi metto una felpa. Riesco a tollerare abbastanza bene il freddo moderato della mia zona, tuttavia devo ammettere che le mie mani subiscono maggiormente il clima invernale rispetto alle altri parti del corpo. Non ho progetti per il nuovo anno. Considero gli ultimi trecentosessantacinque giorni piuttosto buoni e non mi auguro nulla di speciale per i prossimi dodici mesi. Non desidero niente di particolare. Suppongo che continuerò a spendere il mio tempo libero in tutte quelle attività che hanno coltivato in me una serenità spontanea. I progressi che mi attendono non sono deputati a colmare le mie lacune, ma produrranno un arricchimento interiore che difficilmente potrò considerare fondamentale. Se stessi giocando una mano di poker direi senza bluffare: “Servito”. La mia esperienza mi ha insegnato a non dare credito a chi tenti di parlare della vita in modo oggettivo e per questa ragione ho evitato due delle più grandi disgrazie che avrebbero potuto colpirmi, ovvero la disponibilità ad accettare gli insegnamenti fallaci di qualcuno e la pretesa ignobile e ingannevole di insegnare a mia volta qualcosa ad altre persone. Io non credo che per imparare da sé stessi occorra imprimere le proprie idee nell’approvazione esterna e scorgo una forte insicurezza o un’intenzione truffaldina in chiunque si reputi in grado di indicare a qualcun altro il modo in cui vivere. A me pare che molte cose siano più semplici di quanto vengano descritte da coloro che vogliono trascinare i loro simili nella tristezza e nelle difficoltà per non sentirsi soli negli stati depressivi. Capisco che il vuoto possa sembrare terrificante e so che in alcuni giorni il passaggio del tempo possa risultare quasi intollerabile, ma tutto ciò non giustifica l’inquinamento morale che si snoda dai discorsi subdoli di chi è prigioniero di sé. Penso che sia difficile dare il giusto peso alle parole degli altri e io ritengo che per quanto possibile sia meglio non darne alcuno. Le difficoltà artefatte non esercitano alcuna attrattiva su di me.
Ho notato che negli ultimi mesi il tono dei miei appunti è stato più frivolo del solito. Credo che il predominio della leggerezza nei miei scritti sia una prova ulteriore del mio distacco dalle problematiche comuni. Non sento più la necessità di affrontare alcuni argomenti, tuttavia l’assenza di questo bisogno non mi preclude la possibilità di trattare nuovamente quei temi che ho pacificato dentro di me attraverso l’introspezione. I miei giorni trascorrono senza intoppi e la loro vitalità è variabile, ma non scende mai sotto il livello di guardia. Non sono un derviscio e piuttosto che ruotare su me stesso preferisco lasciare ai miei coglioni il compito di girare, ma le polemiche puerili e qualche mia battuta infelice non compromettono la struttura portante della mia esistenza. In passato il mio tallone di Achille era costituito dalle mancanze affettive e in particolare dalla mia estraneità all’amore, ma ho superato questo scoglio anche se la mia vita privata non ha avuto ancora la sua genesi e difficilmente ne avrà una. Per me è stato piuttosto arduo riuscire a impedire che l’assenza di emozioni mutue desertificasse le mie capacità empatiche, tuttavia mi sono lasciato alle spalle anche questo ostacolo e il tempo ha giocato un ruolo fondamentale per l’ottenimento di un simile successo. Le difficoltà appaiono magnifiche quando perdono il loro aspetto spaventevole. La mia lotta interiore è iniziata alcuni anni fa sotto i migliori auspici e penso che ormai si sia conclusa con un vittoria ampiamente prevedibile, ma non ho alcuna intenzione di allontanarmi da tutto ciò che mi ha permesso di superare la selezione naturale dell’interiorità. Non ho bisogno di gustare qualche aspettativa per addolcire il presente, tuttavia il futuro è sempre il benvenuto nel mio microcosmo. Ci sono delle parole che sento profondamente e voglio riportarle per concludere questo appunto. La citazione che segue non proviene da un guru canuto con la barba incolta né da un bohémien, ma appartiene a Franklin Delano Roosvelt: “L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”.
Talvolta ho la sensazione che la mia introspezione mi abbia lanciato velocemente verso alcune barriere personali e suppongo che la sua spinta vigorosa mi abbia permesso di superarle. Non temo il dolore interiore e plaudo ancora allo stato atarassico in cui versano beatamente i miei recessi. Nel corso della mia vita non ho mai subito sofferenze rilevanti, ma in passato le mie valutazioni erronee mi hanno indotto a ingigantire le conseguenze di alcuni episodi che rappresentano quasi delle tappe obbligatorie nella crescita di una persona. Sono ancora giovane e ho tutto il tempo per penare, ma non penso di dedicarmi a questa pratica masochistica poiché non rientra nella mia indole. Il mio benessere scaturisce dall’assenza di bisogni impellenti. Non mi serve denaro: spendo poco. Non ho bisogno di sesso: non mi attrae la carnalità senza il collante affettivo e liquido i miei impulsi sessuali con la masturbazione. Non mi occorre l’approvazione di terzi né un attestato di stima: produco personalmente queste suppellettili dell’Ego. Trovo banali le trasgressioni perché penso che possano essere ritenute tali soltanto da coloro che subiscono consciamente o meno l’influenza del retaggio cattolico o di qualche struttura dogmatica che presenti caratteri analoghi. Intendo dire che affinché una trasgressione sia tale, ci devono essere regole morali da infrangere e io ho sradicato tutto questo abbastanza precocemente. Non ho una forma di autorità contro la quale ribellarmi e non avverto la necessità di sovvertire qualcosa o qualcuno. Mi trovo in una condizione che non mi spinge a raggiungere i capisaldi dell’appagamento comune e ritengo che questo stato in alcuni individui possa celare una depressione profonda qualora abbia la convalida dell’apatia, ma io mi mantengo occupato e non sento pressioni né pesi. Se il mio umore fosse cupo io non riuscirei a svolgere alcuna attività fisica: posso fare un’affermazione di questo genere perché conosco le reazioni del mio corpo. Ho l’impressione che la mia verginità si stia trasformando in una sorta di atteggiamento asessuato e credo che questo possa essere un po’ pericoloso. Il mio desiderio di estraniarmi da me stesso per tutelarmi e conoscermi non deve minare le mie potenzialità affettive. Cerco sempre di guardare le mie azioni da due punti e svolgo questo compito in tre fasi. Prima provo a guardare i miei gesti come se non fossero miei, poi levo questa sorta di filtro imparziale (imparziale per quanto possibile, ovviamente) e infine mi osservo nuovamente da lontano come uno spettatore estraneo alle mie circostanze. Ormai tutto questo mi appare banale e in parte semplice poiché ho sviluppato una certa confidenza con me stesso. Non penso che le mancanze affettive possano compromettere la mia esistenza, ma devo ammettere che un tempo avevo paura che l’assenza di certe sensazioni potesse farmi diventare un handicappato sentimentale. Mi rendo conto che posso apparire freddo e distaccato, tuttavia ho un lato passionale che non emerge mai poiché finora non ho mai avuto e non mi sono creato le occasioni per portarlo in superficie. Mi farebbe comodo nascondere certe cose se temessi i miei giudizi, ma trovo che il pubblico ludibrio (in cui io sono il pubblico che deride se stesso) sia un banco di prova fondamentale. Non voglio celare nulla. A me piace essere trasparente e non mi tiro mai indietro dai miei monologhi né dalle conversazioni. Non sono un esibizionista, infatti ho sempre mantenuto un comportamento discreto e un profilo basso. Non apprezzo coloro che cercano alleanze, attenzioni o stimoli, ma capisco che possano sentirne la necessità. Per me le premesse sono fondamentali e come ho già scritto altre volte mi disgusta qualunque rapporto personale che nasca dal bisogno: lo trovo innaturale. Alcuni organismi possono sviluppare una grande tolleranza nei confronti di determinate sostanze e credo che il mio carattere abbia seguito un percorso analogo, infatti riesce a tollerare l’assenza di alcune soddisfazioni che paiono indispensabili a un numero rilevante di persone. Il mio compito è mantenere l’equilibrio tra la grazia del mio benessere interiore e le mie potenzialità affettive e per adesso non ho difficoltà a bilanciare queste due entità. Non è facile adoperare le parole per spiegare a me stesso ciò che intendo, ma io posso comprenderlo ugualmente perché lo vivo. Alcune volte vorrei smettere di crogiolarmi nelle mie conquiste interiori, ma per redigere bollettini funesti dovrei trovare un po’ di disperazione autentica e dubito di poterla rimediare senza una macchina del tempo.
Mi sono reso conto che attualmente non ho granché da appuntare su queste pagine e ho deciso di lasciarle impolverare per un po’ di tempo. In questi anni la scrittura mi ha aiutato enormemente, ma ormai il suo aspetto terapeutico è terminato e io padroneggio la mia esistenza con maestria. Avrei voluto utilizzare queste pagine per archiviare alcune annotazioni delle mie letture, ma alla fine ho deciso di non lasciarmi dominare dall’attaccamento affettivo che provo nei confronti di questo spazio virtuale. Credo che il mio lavoro introspettivo abbia dei punti in comune con il fine antropologico di 7up. 7up è un programma televisivo che da diverse decadi segue la crescita di alcune persone e si sviluppa con delle interviste che avvengono ogni sette anni. Il programma sostiene che il futuro dei protagonisti sia determinato dalla loro estrazione sociale, ma questo assunto non mi interessa particolarmente e non lo condivido in pieno. Il mio carattere non è cambiato molto da quando ero un bambino e io mi sento sempre la stessa persona, ma è mutato radicalmente il modo in cui guardo me e le mie azioni. Mi sto allontanando dalla scrittura perché non ne ho più bisogno e non riesco a trarne lo stesso piacere di un tempo, invece la lettura mi aggrada ancora e probabilmente non l’abbandonerò mai. Credo che a suo modo la scrittura sia una forma di rumore e per adesso non ho più voglia di fare chiasso. Ho trovato un luogo ideale per vivere e trascorrerò il prossimo inverno e il resto della mia vita nella campagna che circonda il mio comune. Mi ricongiungerò per brevi periodi al caos cittadino quando deciderò di compiere un viaggio in qualche grande metropoli. La mia vita non è cambiata esteriormente e sono ancora un individuo che abbraccia con passione la propria solitudine, ma la consapevolezza che mi anima è la più grande risorsa di cui io abbia bisogno per campare felicemente. Queste pagine non sono soltanto un documento introspettivo, ma attestano una forma di felicità che è alla portata di chiunque e rappresentano un manifesto personale che non può essere intaccato dalle mie menzogne né da quelle di terze persone. Immagino che questa scelta faccia parte di un meccanismo ciclico, perciò in futuro mi aspetto di scrivere nuovamente con la costanza che mi ha contraddistinto in passato. Ho demolito buona parte del mio Ego e non mi resta che salire sulle sue rovine per respirare un’aria nuova. Non voglio nulla di particolare e continuo a sentirmi bene. Sono lontano da ciò che allontana dalla serenità e intendo accentuare la mia posizione eremitica. Adesso è il turno del silenzio, ma anche quest’ultimo avrà una fine.