Credo che sia un inguaribile ottimista chiunque veda soltanto due pesi e due misure negli ambiti più disparati delle società umane: a mio modesto avviso il doppiopesismo dev’essere elevato a potenza affinché sia possibile stimarne la diffusione con minore margine di errore.
L’onestà intellettuale serve all’evoluzione dell’individuo e secondo me risulta imprescindibile per chi ne riconosca il ruolo fondamentale nell’improba impresa di dare un vago senso all’esistenza, ha scarsa utilità nel consesso civile. Per quanto mi è possibile cerco di non tirare l’acqua al mio mulino laddove quest’ultima travalichi i bassi argini di esternazioni vanesie e finisca per minacciare con uno tsunami il cosiddetto principio di realtà. Ravviso molta faziosità nelle idee che si contrappongono, comprese quelle a cui la mia visione del mondo risulta più vicina, perciò non mi fido molto neanche di chi “la pensa come me”, espressione quest’ultima alla quale riservo virgolette di sicurezza.
Le schermaglie storiche, le logomachie, le battaglie ideologiche, sono offensive verso quel pragmatismo che io vedo come un faro nella notte, ma anche quest’ultimo rischia di scivolare in ciò a cui io lo oppongo perché d’altro canto il linguaggio è infìdo, subdolo, malevolo: più in generale questi sono gli sporchi rischi del logos in senso lato. Cotanta fanghiglia non è appannaggio dei massimi sistemi, ma in scala può essere trovata anche in un tête-à-tête, nella compravendita di chincaglierie, nell’improvviso e sciagurato scambio di opinioni all’ombra di una lunga e altrettanto sciagurata fila all’ospedale, alle poste, al patibolo. Anche il rapporto con sé stessi può essere avvelenato da simili dinamiche e forse è proprio quello il primo passo per il contagio nonché il personale contributo alla pandemia. Io sono pacificato con il sottoscritto, perciò mi tiro fuori da tutto ciò e spero che nessuna parte di me mi ci spinga proditoriamente.