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Catabasi

Pubblicato martedì 16 Settembre 2014 alle 14:59 da Francesco

Ho assunto una certa noncuranza verso il parossismo settembrino, tuttavia non so ancora se si tratti di uno sviluppo positivo o controproducente: confido nell’insindacabile giudizio del tempo. Ho esasperato all’inverosimile i miei moti interiori e può darsi che in questo modo sia riuscito a prevenirne le conseguenze più nefaste, ma tale manovra mi è costata un po’ di serenità.
Due sere fa ho avuto un momento di profondo sconforto, perciò mi sono seduto sul letto, ho chiuso gli occhi e ho cercato di sgombrare la mente da qualsiasi pensiero: se ora fossi incauto o superficiale alluderei alla meditazione. In realtà non sono riuscito a fare altro che ad assistere ai rapidi, intensi e acrobatici avvicendamenti del mio stato d’animo, come se mi fossi ritrovato in una tribuna d’onore per guardare uno spettacolo che invero avrei dovuto allestire e dirigere io. Tutto passa, nulla permane: me lo ripeto a mo’ di mantra. Ricerco nuove vie per migliorarmi, ma adesso è il bisogno che mi spinge all’impresa e non sono più mosso da una semplice curiosità. Devo ritrovare la forza sopita che giace da qualche parte nei miei recessi, ma ho pochi rimasugli di sublimazione, un manipolo di sane abitudini del tutto inveterate, ed è come se fossi a capo di un’armata Brancaleone. A tratti mi rivedo anche in Don Chisciotte, però invece di combattere contro i mulini a vento mi sembra di fronteggiare delle pale eoliche sotto delle nuvole bianche. Non temo pericoli dall’esterno perché i nemici sono dentro di me. Quasi mi alletta questa nuova sfida e mi compiaccio di come la mia inclinazione a vivere si affermi su ogni altra forza contraria. Sono periodi del genere che mi dànno la misura della mia salute psicofisica e non oso neanche immaginare cosa sarebbe delle mia vita (o cosa ne resterebbe) se avessi una predisposizione organica alla depressione o se tradissi la mia lucidità con i princìpi attivi dell’autolesionismo.
È normale che talora la tristezza e la disillusione mi attraversino, tuttavia ne riconosco la natura nomade poiché in me non sono mai stanziali. Posso accompagnare il cambiamento o subirne la portata, ma è adesso che devo mettere in pratica tutto quello che ho imparato nell’età dell’oro della sublimazione; per me era facile, troppo facile restare sugli allori mentre mi sovrapponevo alle mancanze affettive grazie a quella straordinaria condizione. Io non so se qualcosa succeda per caso o se il destino dei mortali passi davvero dalle mani delle Parche, però oggi non cerco rassicurazioni né conforto. Vorrei stringere una santa alleanza, assecondare le mie intuizioni più profonde e vivere in mezzo all’ironia, ai silenzi complici e alla certezza crescente che qualcosa mi sfugge in forza della sua natura ineffabile. Intanto giro ancora.

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Mag

Dall’inconscio in su

Pubblicato domenica 6 Maggio 2012 alle 03:05 da Francesco

Ho quasi terminato la lettura e lo studio de “La scoperta dell’inconscio”, mille paginette divise in due volumi che illustrano la storia della psichiatria dinamica. Avevo davvero bisogno d’affrontare un’opera del genere per approfondire alcune nozioni e per schematizzarle in ordine cronologico. Negli ultimi capitoli mi sono reso conto di quanto abbiano inciso i vissuti personali degli psichiatri nell’elaborazione dei loro sistemi. Se Freud fosse nato e cresciuto in una famiglia come quella di Adler forse egli non avrebbe mai ideato il complesso di Edipo.
Il mio interesse per la psicologia del profondo non è mai stato accompagnato dalla pretesa di trovare una via maestra che potesse risultare valida per ogni individuo. Poiché la psicoanalisi è nata dall’autoanalisi di Freud e la psicologia analitica di Jung ha tratto molto dalla cosiddetta nekyia del suo creatore, anch’io, nel mio piccolo, per scopi introspettivi ottengo parecchio da un attento esame della mia persona, ma attingo pure e a piene mani da alcuni concetti dei luminari succitati oltreché dall’opera di Heinz Kohut: inoltre, benché io non abbia ancora letto nulla della sua bibliografia, ho tratto degli spunti piuttosto interessanti dagli interventi di Eugenio Borgna. Per conoscere me stesso credo che l’introspezione sia fondamentale, tuttavia non la reputo sufficiente ed è per questa ragione che vedo nelle neuroscienze una risorsa importante al fine di oggettivare alcune risultati del processo di autoanalisi. In questo ambito non riesco proprio a separarmi da un concetto esoterico che non ho mai deriso, ovvero quello del ricordo di sé nella dottrina di Gurdjieff, ma l’atto di essere presenti è altra cosa rispetto all’introspezione e forse ha una valenza noetica in senso aristotelico a differenza della seconda che invece è discorsiva. Quest’epoca offre strumenti potenti per la conoscenza di sé stessi, però in taluni casi possono rivelarsi delle armi a doppio taglio. Il simpatico Nietzsche in “Così parlo Zarathustra” fece quel viaggio interiore di cui più tardi si rese protagonista Jung nella suddetta nekyia, tuttavia il primo impazzì poiché non aveva nulla e nessuno al mondo, il secondo invece ne uscì più forte perché grazie alla famiglia e al lavoro fu in grado di mantenere il contatto con la realtà.
La storia mi conferma qualcosa che in passato ho sottolineato più volte sulla base della mia esperienza personale, ovvero la pericolosità di un’introspezione che si arresti in dei punti critici. Forse la superficialità che spesso viene messa all’indice, in alcuni casi è meno deleteria di una introspezione incompleta: quasi una difesa naturale. Oltre un determinato limite, immagino che lo sforzo per conoscere sé stessi sia irreversibile e io penso di averlo già superato da tempo senza però pentirmene.

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