Ho appreso che il ventuno luglio Samantha Cristoforetti effettuerà un’attività extraveicolare assieme a Oleg Artemyev e la notizia mi ha fatto pensare a quante volte ho immaginato cosa si provi in una circostanza simile: avere il mondo sotto di sé e l’ignoto tutt’attorno mentre la stazione spaziale segue la propria orbita come se fosse una giostra. Scrivendone rinnovo in me lo stupore che non manca mai di rapirmi alla sola idea di tutto questo. Cosa incontrano gli occhi laddove persino la più fervida immaginazione dimostra poca autonomia e scarsa gittata? Echeggiano in me le celebri parole con cui Carl Sagan ebbe a definire il pale blue dot, ossia questo granello sospeso in un raggio di fotoni sul quale ancora m’attardo a vivere.
Cosa può competere con la sensazione di guardare tutto da lontano, laddove le domande primigenie prendano nuova forma in ragione della distanza davanti a cui si ripresentino?
Il buio, il silenzio, sé stessi e il nulla in un quieto istante che si protrae nella misura in cui si è capaci di alienarsi innanzi a quanto supera l’individuo e lo avvolge senza reali protezioni: la precarietà della vita che interroga se stessa. Io delineo la questione in termini esistenziali benché sia preminentemente scientifica, ma cosa sono la tecnica e la ricerca se non mezzi attraverso i quali l’umanità si rispecchia nella propria ignoranza, anche al netto di quanto non si avveda o si dimentichi nella sua smemorata violenza? È questo l’ordine dei pensieri che sento destarmisi davanti alle azioni più audaci e alle idee pionieristiche.
Tutte le interviste e le conferenze di astronauti che ho ascoltato, non ultime quelle dell’immensa Samantha Cristoforetti, mi hanno fatto sentire su una comune lunghezza d’onda e non hanno mai mancato di avvincermi. Ho un profondo rispetto e una stima sconfinata verso quei pochi uomini e donne che sono riusciti a diventare la punta di diamante della specie. Su miliardi di individui solo uno sparuto gruppo di persone concorre ancor oggi a spostare l’asticella della conoscenza umana, quindi mi sento fortunato a vivere in un’epoca che mi permette di assistere a ciò, come se ciò riuscisse quasi a giustificare tutto il resto.
Per arrivare là dove pochi sono arrivati
Pubblicato mercoledì 27 Aprile 2022 alle 22:48 da FrancescoHo guardato in differita il lancio della missione Minerva e ho provato una sana invidia verso Samantha Cristoforetti, forse la persona che stimo di più tra quelle con un passaporto italiano. Se fossi milionario mi getterei con anima, corpo e bonifici bancari verso il turismo spaziale.
Mi chiedo quanti segreti siano adagiati ancora sulla radiazione cosmica di fondo e cosa si annidi nei miliardi di sistemi dei miliardi di galassie che compongono l’universo “visibile”. Mi domando cosa proverei se mi fosse dato di atterrare su un omologo della Terra, se mio fosse il primo passo su un pianeta extrasolare. Forse taluni non si soffermano mai a riflettere in termini di grandezze cosmiche perché sono abituati a ingrandire le piccolezze a misura d’essere umano.
Le imprese della Cristoforetti mi fanno sempre pensare a quanta differenza intercorra tra lei e molti altri esseri umani, quali per esempio gli ubriachi della movida violenta, difatti secondo me c’è più distanza tra la prima e i secondi di quella che vige tra l’homo sapiens e lo scarabeo stercorario: io stesso mi rendo conto che se il mio voto vale uno il suo deve pesare almeno diecimila volta di più. In quale altra specie animale sussistono differenze così marcate tra consimili? Il potenziale umano è incredibile, però è parimenti disarmante la frequenza con cui viene vanificato e mortificato dai più, scrivente compreso. Quanto vorrei vedere la Terra da fuori, avere almeno la possibilità di compiere un volo suborbitale e volgere il mio sguardo verso un buio tempestato da luci vecchie di centinaia, migliaia, milioni, miliardi di anni. Se fossi in grado di viaggiare con il corpo astrale penso che mi procurerei un abbonamento mensile per provare in terza persona la relatività del tempo. Mi sento limitato, ma non calpesto quello che possiedo e mi accetto per come sono: chissà, un domani qui chiamato fine potrebbe aprirmi quella strada di cui ora soltanto vagheggio. Buona viaggio, Samantha.
Per me le immagini della sonda Cassini hanno un duplice fascino perché oltre a quello scientifico ve ne ravviso anche uno esistenziale. Il viaggio interplanetario tra la Terra e Saturno è poca cosa rispetto alle distanze dell’universo, infatti concerne lo spazio di un semplice sistema solare alla periferia di una galassia che ne contiene altri miliardi di simili, eppure riesce lo stesso a destare in me un certo stupore. Purtroppo o per fortuna la vita umana è troppo breve rispetto ai tempi che il cosmo impiega per mostrare cambiamenti apprezzabili di ciò che lo compone, ma proprio in ragione di quest’appurata inconoscibilità finisco per provare un certo imbarazzo nei confronti della prosaica routine di cui sono correo.
Una mia utopia vuole che il mondo si mantenga diviso in nazioni e al contempo sia unito nella vocazione per la scoperta dell’universo, circostanza che in parte già sussiste nel comune lavoro di NASA ed ESA. Sono innumerevoli le beghe di cui i governi terrestri devono occuparsi per le faccende interne, perciò vi sono innumerevoli risorse che non possono essere distratte verso l’esplorazione spaziale, ma confido che un domani, qualora il genere umano non abbia cura di estinguersi prima, sarà ancora una volta le téchne (nella sua accezione greca) a risolvere tutto e di certo non qualche culto monoteistico che già oggi dovrebbe essere considerato al pari di una malattia mentale. C’è qualcosa di poetico, malinconico, titanico, prometeico, futuribile e avvincente nell’ultima immagine con cui la sonda Cassini ha immortalato la Terra mentre si trovava tra gli anelli di Saturno. È facile che l’immaginazione voli quando la mente si trovi a ragionare sul futuro dell’esplorazione spaziale, però io credo che la realtà superi sempre la fantasia e vorrei che tale superamento avvenisse con la propulsione a curvatura.
Appena ho visto l’immagine qui sopra me ne è venuta in mente subito un’altra, ovvero quella che la sonda Voyager 1 catturò nel 1990 mentre usciva dal sistema solare e su cui Carl Sagan ha speso delle parole memorabili: “Guardate ancora quel punto. È qui. È casa. Siamo noi. Su di esso, tutti quelli che amate, tutti quelli di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di presuntuose religioni, ideologie e dottrine economiche, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e suddito, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un granello di polvere sospeso dentro un raggio di sole”.