Sto seguendo gli sviluppi del bagno di sangue che è in corso in Myanmar. All’inizio il golpe mi aveva fatto sorridere perché ne avevo visto soltanto un filmato buffo e grottesco, poi diventato virale, ossia quello di un’istruttrice di fitness che, registrando la propria lezione, senza volerlo aveva catturato il momento in cui un gruppo di militari si stava avvicinando alla zona del parlamento per mettere in atto il colpo di stato.
Nei giorni seguenti non ho più prestato molta attenzione alla vicenda perché sapevo che in passato l’ex Birmania era stata sottoposta a una giunta militare per parecchio tempo, inoltre negli ultimi anni, almeno nel consesso internazionale, la figura di Aung San Suu Kyi ha subito delle forti critiche per la posizione di quest’ultima nei confronti della minoranza Rohingya e quindi, sommando questi elementi, pensavo che il paese si avviasse a una sorta di rassegnata restaurazione, un ritorno all’ancien régime.
Poi ho visto un’immagine che credo sia destinata a diventare iconica, ovvero quella di una suora in ginocchio davanti a un gruppo di soldati, ma prima di prenderla per buona ho fatto qualche ricerca e alla fine mi sono convinto della sua autenticità. Ho rovistato in certi angoli del web per trovare delle testimonianze filmate su quanto stia davvero accadendo nel paese e ho scovato delle immagini piuttosto cruente, ma nulla che non abbia già visto in scenari simili a diverse latitudini: la morte e la sofferenza si vestono quasi sempre allo stesso modo.
Nelle ultime ore mi ha colpito la storia di una giovane manifestante di diciannove anni, il cui nome pare che fosse Ma Kyal Sin: in varie immagini brandisce una bottiglietta di Coca Cola contro i soldati e sfoggia una t-shirt con su scritto Everything will be OK. In un’altra foto, che suppongo sia sta scattata poco dopo le altre, è ritratta con un buco in testa procuratole da un cecchino durante una protesta a Mandalay. Non so come si risolvano certe questioni di diritto internazionale e sono altri i soggetti che ricevono laute prebende per esercitare la medesima incertezza, però mi pare che si stiano formando tutte le premesse per l’avvio di una guerra civile simile a quella siriana. Già girano varie istruzioni a tema su come fabbricare bombe Molotov e su come mettere in difficoltà i cecchini.
Mala tempora currunt sed peiora parantur
Pubblicato mercoledì 2 Settembre 2020 alle 17:24 da FrancescoDi recente mi sono trovato a parlare vis-à-vis con una “giornalista” straniera, ma il risultato non è stato dei più edificanti. Minchia, se costei può fregiarsi di quel titolo io mi sento in grado di assumere la direzione di Le Monde.
È una di quelle subdole creature che dietro le già deprecabili apparenze del mondialismo perora la rivalsa della sua etnia. Il razzismo non è prerogativa dei bianchi, ma è “patrimonio” comune degli esseri umani e la crudele prova di ciò si trova nelle reciproche intolleranze che si possono trovare alle latitudini più disparate, nella storia delle civiltà e in quei conflitti ancora vivi che spesso non interessano molto l’Occidente.
Le ho fatto presente come il multiculturalismo stia fallendo ovunque e vi sia un antisemitismo di ritorno d’impronta islamica, specialmente in Francia, cloaca europea da cui alcuni ebrei transalpini se ne sono andati per trasferirsi in Israele su invito dello stesso governo di Netanyahu, ma a suo parere si tratta dell’effetto di paure infondate. Eh già, davvero inspiegabili alla luce degli attentati dell’ultimo lustro.
Poi le ho ricordato come nella civilissima Svezia i flussi migratori abbiano creato delle zone dove de facto vige la Shar’iah e nelle quali gli autoctoni sono stati abbandonati dal loro governo, con un incremento dell’insicurezza e un picco delle violenze sessuali.
L’ho invitata a controllare le statistiche della criminalità di Londra e ciò che viene fatto ai bianchi in Sudafrica, ove non di rado alcuni buontemponi s’introducono nottetempo nelle fattorie isolate per dare sfogo ai loro istinti più bestiali, ma la frequenza e l’efferatezza di quei casi non attecchisce sulla stampa quanto la morte di qualche criminale a cui viene data la patente di martire in virtù della sua melanina.
Poiché anche lei è stata in Giappone le ho chiesto se il Sol Levante potrebbe conservare il suo grado di sicurezza qualora accettasse grandi flussi migratori e le ho fatto l’esempio di Tokyo, una megalopoli in cui si può girare a qualsiasi ora del giorno e della notte senza temere alcunché.
Alla domanda retorica di cui sopra ne ho fatta seguire un’altra: “Come mai nazioni come la Polonia e l’Ungheria non vogliono arricchirsi culturalmente per mezzo di cotali meraviglie? Sai che non me lo spiego?”.
Le ho esposto le ovvie ragioni per cui la classe media statunitense ha votato per Trump e le ho suggerito quantomeno di dubitare che quel pacifico movimento chiamato BLM (burn, loot and murder) rappresenti l’intera comunità afroamericana; inoltre le ho fatto presente come una delle fondatrici di quella sigla (tale Yusra Khogali) sia altrettanto razzista quanto coloro contro cui dice di combattere poiché ebbe a definire così i bianchi: “White people are recessive genetic defects. This is factual“. L’invito è sempre quello di controllare motu proprio tali affermazioni.
Ah, poi siccome indossavo una maglietta di lode a Rodrigo Duterte le ho ricordato come prima da sindaco di Davao e poi da presidente delle Filippine egli abbia inflitto duri colpi al crimine con mezzi poco ortodossi, ma forse dal suo punto di vista è meglio avere tossici pericolosi e molesti in giro per le strade perché tanto contano solo le apparenze del cosiddetto stato di diritto, con buona pace di chi viene vessato dalla feccia e non ha modo di difendersi. Potrei aggiungere qualche parola sul Myanmar e su come l’Occidente abbia cambiato opinione in merito ad Aung San Suu Kyi, rea di proteggere il suo popolo, ma credo che questo mio trascurabile scritto sia già fin troppo lungo.
Mi sono scordato di invitarla a dare un’occhiata a com’era New York con la tolleranza zero di Rudolph Giuliani e cos’è invece oggi sotto l’inetta guida di Bill de Blasio, ma spero di tornare sull’argomento quando l’esasperazione della maggioranza silenziosa porterà alla nascita del Quarto Reich.