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Dagli anni settanta in poi

Pubblicato venerdì 9 Settembre 2011 alle 08:56 da Francesco

Sono abituato a guidare da solo lungo le strade di mezza Italia per assistere a grandi concerti. Mercoledì mi sono recato nella Città Eterna per un live straordinario al quale hanno partecipato Il Tempio delle Clessidre e Locanda delle Fate. Nei primi milita anche Stefano Galifi che nel 1973 cantò quel capolavoro del progressive rock italiano che s’intitola “Zarathustra” e il cui parto fu opera dei Museo Rosenbach: durante il live è stato suonato un pezzo di quel disco ed è inutile che adesso io cerchi di verbalizzarne i brividi. Invece la traccia che mi ha colpito di più tra quelle de Il Tempio delle Clessidre è stata La stanza nascosta: un duetto eccezionale tra la voce di Galifi e il tocco magistrale di Elisa Montaldo. Anche “Danza esoterica di datura” mi è piaciuto particolarmente come pezzo benché sia strumentale.
Non so come incensare in modo adeguato la Locanda delle Fate. Ho ascoltato svariate volte il loro gioiello, “Forse le lucciole non si amano più” e proprio la settima traccia di quest’album che è stata eseguita dal vivo mi ha traghettato in un’altra dimensione: Vendesi saggezza. La voce e il carisma di Leonardo Sasso mi hanno incantato quanto la classe di Max Brignolo alla chitarra.
Il tre settembre ho visto di nuovo Le Orme e conto di rivedere il gruppo veneziano per la quarta volta: La Via della Seta è un disco straordinario! Ci ho messo un po’ a capirlo, ma alla fine mi sono reso conto che alla voce di Tagliapietra io preferisco quella che le è subentrata, difatti la versione di Sguardo verso il cielo cantata da Jimmy Spitaleri è un pezzo in cui finalmente riesco a rispecchiarmi in pieno grazie alla potenza vocale di quest’ultimo: cazzo, mi fa vibrare le vertebre, davvero sublime.

“La colpa d’esser vivo e non poter cambiare”

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Giu

Perle italiane

Pubblicato mercoledì 1 Giugno 2011 alle 14:13 da Francesco

Fatico a trovare musica italiana che mi piaccia, tuttavia ci sono ancora dei gruppi in grado di suscitare in me una profonda approvazione e in queste righe voglio segnalare due dischi per non essere troppo dispersivo, comunque è soltanto il secondo che reputo un capolavoro.
Il primo album è Il Più Antico dei Giorni dei Magnifiqat. Di solito non apprezzo il gothic metal, ma questa è una piacevole eccezione a cui non mi sottraggo. Il platter non contiene tecnicismi esagerati, scale supersoniche né tanto meno tutto l’ambaradan virtuosistico tanto caro a certi ascoltatori (come d’altronde lo è anche a me, talvolta), però molte tracce sono attraversate da un’atmosfera evocativa, onirica e malinconica, in cui compare un soprano in più di un’occasione a caricarle d’ulteriore intensità. Mi piace molto il cantato quasi sussurrato e trovo che si sposi benissimo con i pezzi strumentali. La mia traccia preferita è Diadema: delicatissima e solenne.
Petali di Fuoco è il secondo album a cui voglio tributare lodi per me doverose. Partorito da un gruppo progressive rock italiano che corrisponde al nome de La Maschera di Cera, il disco in questione è un susseguirsi di pezzi meravigliosi che fanno tornare la mente indietro di decenni, fino a rievocare i Museo Rosenbach, la Premiata Forneria Marconi, Le Orme e il Banco del Mutuo Soccorso, insomma la crème del progressive italiano degli anni settanta (la lista è ben più lunga!), tuttavia non ne sono affatto semplici epigoni, anzi, tutt’altro. Anche in questo caso si sprecano le atmosfere oniriche, ma qui il tasso tecnico è elevato, i pezzi sono più articolati come impongono i canoni del progressive rock e al contempo mi pare che scorrano benissimo. Tutto risulta orecchiabile e non scorgo virtuosismi fini a loro stessi, o quantomeno a me sembra che siano sempre a servizio della struttura dei pezzi anziché al soldo del narcisismo a cui talvolta certi musicisti si asserviscono. La voce di Alessandro Corvaglia è davvero notevole e mi ha colpito fin da subito, inoltre veicola testi che a mio avviso sono scritti bene. Insomma, “Petali di Fuoco” è un album che alla prima traccia mi ha fatto dire “ah, però” e dopo, dalla quarta in poi: “Me cojoni!”. Coadiuvato da opere del genere il mio morale è alla stregua del Barone Rosso, soltanto più difficile da abbattere. Non so scegliere una traccia sola come mia preferita, perciò ne segnalo due: Tra Due Petali di Fuoco e D-Sigma di cui purtroppo non c’è uno streaming sul web.

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