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Dic

In memoriam

Pubblicato domenica 1 Dicembre 2024 alle 00:39 da Francesco

Una morte improvvisa ha colto una persona di mia conoscenza. Taluni lasciano il corpo senza preavviso e senza affiggere biglietto alcuno giacché non torneranno subito: forse un domani, chissà dove, vi sarà la rimpatriata delle anime perse. Tutto è vanità. Anche i miei giorni sono contati senza che ne enumeri ognuno. Tutto è destinato all’estinzione e al superamento, perciò non resta che l’attimo stesso nella sua natura fugace e spesso intangibile. Qualcuno, forse uno scrittore esistenzialista o uno dei suo personaggi (Camus? Sartre?), un giorno ebbe a dire qualcosa del genere: “Anche se nulla ha senso è bene che io ceni”.
A tutta prima mi pare che la morte non riguardi i defunti, bensì concerna i vivi o presunti tali. Un evento inaspettato può confondere un soggettivo ordine delle cose, perciò solo l’individuo può ristabilirlo dentro di sé e immagino che spesso il tempo sia il migliore tra i suoi possibili alleati. I lutti non mi appartengono, sono di taglia troppo ampia per la mia vita stretta, perciò partecipo all’altrui dolore nella forma di una privata comunione col ricordo del defunto: chi egli fu è ancor un po’ per me, nelle mie sparute memorie delle parole che furono e dei gesti a cui gli arti diedero seguito. La natura dell’assenza è uno specchio che nulla riflette, è l’imperfezione di un ronzio a cui non si possono mai riconoscere i titoli di silenzio compiuto.
La morte altrui parla della nostra e per una volta mi fa usare il plurale maiestatis, ne fa annuncio a data da destinarsi: essa rammenta l’inesorabile facendosi inesorabile. Così passa la gloria del mondo e un giorno anche al mondo stesso, in ragione della sua scomparsa, non sarà più riconosciuta gloria alcuna. Riposi in pace chi già l’abbia trovata, morto o vivo che sia.

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4
Mar

Voler vivere e voler morire

Pubblicato venerdì 4 Marzo 2022 alle 01:39 da Francesco

In questi tempi di facile sconforto ravviso un’idea predominante, la quale invero fa sempre da sfondo alle vicissitudini umane e ne costituisce l’orizzonte ultimo, perlomeno sotto la ristretta prospettiva biologica, ossia quello della morte.
In Ucraina esistenze innocenti vengono spezzate anzitempo dal braccio armato della politica estera e dalla tendenza alla sopraffazione che alberga negli uomini da sempre, benché in debite proporzioni e con rapportate capacità di nuocere: laggiù le persone non riescono a vivere; altrove, come in Italia, individui parimenti innocenti ma già consunti da malattie terminali o da condizioni simili, si vedono invece privati del diritto a una fine dignitosa.
Da una parte la vita non riesce ad affermarsi, perché la sua negazione più atroce per modi ed entità, ossia la belligeranza, si scatena e agisce anche contro coloro da cui è servita con riverenza; in astratta e speculare opposizione a questa inveterata circostanza, giacché la storia umana dimostra come i popoli abbiano eletto ad abitudine il reciproco annientamento, vi è l’impossibilità di morire per propria scelta, autodeterminandosi, per eludere sofferenze inutili.  
I due piani si possono sovrapporre solo idealmente, tuttavia risuona in me questo paradosso: chi vuole abbracciare la vita non può farlo in quanto vi viene strappato con forza, chi invece la vita la vuole salutare in un ultimo rito di somma libertà e catartico distacco, è costretto a protrarre il proprio dolore in ragione di questioni puramente formali, politiche, ideologiche, per le quali non vi è morfina che tenga. In buona sostanza ma in cattiva sorte, al di là di quali siano le dinamiche specifiche di queste due situazioni, ossia la guerra e l’opposizione all’eutanasia, la morte ne è il tema comune, il fil rouge che Atropo, la più anziana delle Parche, recide troppo presto o troppo tardi. Si muore, soleva affermare Heidegger per riferirsi al concetto di si impersonale, ma la fine altrui in realtà invita sempre a riflettere sulla propria.

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29
Apr

Hoka Hey, è un buon giorno per morire

Pubblicato mercoledì 29 Aprile 2020 alle 22:43 da Francesco

Adoro il silenzio dei giorni immobili, ma ne ho conosciuti di più intensi e rivelatori in altri angoli delle terre emerse. Mi sento sempre più affrancato dai vincoli dell’esistenza umana, come se fossi prossimo all’imbarco verso un viaggio ultraterreno. Forse la mia morte non è lontana, o forse è ancora distante e io ricavo la sensazione della sua vicinanza dalla possibilità di scorgerla meglio all’orizzonte: la diminuzione dello smog svela molte cose.
Sono affascinato dalla fine del mio tempo su questo pianeta, ma non la rincorro perché la mia indole non è autodistruttiva. I miei primi trentacinque anni sono trascorsi abbastanza bene. Ho viaggiato con il corpo e con la mente, sono andato allo scoperta di me stesso, sono stato il testimone oculare di immense meraviglie e ho vissuto piacevoli soddisfazioni.
Se domattina non mi svegliassi più non avrei nulla da rimpiangere per due ragioni: anzitutto perché ne sarei impossibilitato dal rigor mortis e poi per i motivi suddetti. Il suicidio è una scorciatoia verso la meta finale, la quale invero io credo che sia altrettanto temporanea, ma preferisco compiere il giro lungo e godermi il panorama, almeno finché mi andrà di farlo. Hoka Hey, è un buono giorno per morire! Accarezzo l’idea della morte, la frequento nelle mie astrazioni, la contemplo e medito su di essa perché solo la sua prossimità riesce a rendermi libero, ma non ne ho ancora una piena padronanza e devo continuare l’addestramento. Il dado è tratto, il destino è tracciato.

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28
Dic

Del morire

Pubblicato mercoledì 28 Dicembre 2016 alle 18:59 da Francesco

Mi sorprendo di fronte a quanti si sorprendano per la sorpresa di una morte sorprendente, ma il mio è un atteggiamento di tenero disincanto. Forse i decessi illustri ricordano più di altri come ognuno di noi sia anzitutto la propria finitezza. Mi domando se per qualcuno sussista davvero la piena illusione che l’opera sua possa garantirgli una vita dopo la morte, come se per i meriti del suo percorso terrestre ambisse poi da salma a chiedere asilo presso gli altrui ricordi.
Salvo rare eccezioni, la quasi totalità degli esseri umani è destinata alla completa dimenticanza in capo a qualche generazione, ma talora ciò avviene già dalla nascita stessa e molti orfani lo potrebbero confermare se solo qualcuno si ricordasse di loro.
Non ho nulla contro qualsiasi tipo di commemorazione dei defunti, ma per me il due novembre è, appunto, il due novembre; semplicemente mi annoiano certe celebrazioni e io stesso mi auguro di non esserne mai oggetto, benché, invero, il rischio nel mio caso sia pressoché nullo.
Preferirei essere apprezzato da vivo piuttosto che da morto, ancorché io preferirei non essere e basta. Nel caso di una mia morte prematura ho lasciato precise disposizioni, tuttavia so già che queste sarebbero prontamente disattese. Se crepassi relativamente presto vorrei tanto che il mio corpo fosse gettato in mezzo a un campo incolto, cosicché i vermi possano banchettarvi in tutta comodità. Dunque per la mia carne non vorrei né sepoltura né cremazione, ma soltanto l’abbandono alla terra: è questa un’immagine che nella mia mente chiude un cerchio e assume tinte di titanismo romantico. Insomma, una volta decaduto, che l’ex impero dei sensi sia scisso tra i suoi atomi d’idrogeno, azoto, ossigeno, carbonio, in una spartizione simile a quella che era in uso tra i figli dei re Franchi. Sono venuto per poco e, nessuno me ne voglia (circostanza di cui non dubito), spero di non tornare troppo presto su questo pianeta.

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