Stamane ho soppesato meglio quanto ho scritto ieri sera e ho finito per trovarci qualcosa di inautentico, ovvero delle astuzie sofistiche che ho rifilato a me stesso sotto le mentite spoglie di un fatalismo superficiale e pretestuoso. Paradossalmente m’infonde fiducia constatare come io riesca a riconoscere quando mento a me stesso: per me si tratta di una grande conquista introspettiva e ne vado molto fiero.
Non mi sono fermato all’ammissione di cui sopra e ho deciso subito di rimediare al mio passo falso, perciò ho vinto la pigrizia e ho corso ventidue chilometri sul tapis roulant in un’ora e ventitré minuti, ossia a un passo di 3’46” al chilometro. Con tale sforzo fisico ho rimediato le endorfine necessarie per fornire una controparte neurochimica alla mia correzione che per ventiduemila metri è stata davvero… in corso d’opera! I fatti devono seguire alle parole affinché esse acquisiscano un peso che non le faccia volare via, perlomeno quando sia possibile dotarle di una forma concreta e quello in esame è stato uno di quei casi, benché le stimolazioni cerebrali siano invisibili a occhio nudo e richiedano strumenti sofisticati per una bella foto di gruppo. Se non avessi avuto modo di correre in casa avrei fatto esercizi d’altro tipo per fornire ai recettori MU le chiavi di volta.
Continuo a dipingere quadri foschi e non intendo privarmene, ma con tonalità e proporzioni che rispettino il principio di realtà: non intendo darmi più libertà di quanta possa negarmene e viceversa.
Quest’episodio mi ha dimostrato come all’uopo io possa ricorrere a sane alterazioni del mio cerebro senza ricorrere a sostanza psicotrope di cui non ho mai fatto uso e verso le quali ho sempre nutrito una repulsione totale, vero e proprio disprezzo. Non devo permettermi di lasciarmi andare, foss’anche per poco. Devo contare sul mio comando e concedere solo opportuni spazi a quel fatalismo che si dimostri alleato della mia onestà intellettuale. Il resto è bieco vittimismo e non mi si addice.