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Mar

O tempora, o mores

Pubblicato venerdì 3 Marzo 2017 alle 10:47 da Francesco

Non credo che l’evoluzione umana sia un processo lineare benché il resoconto delle puntate precedenti dia quest’impressione. Nell’epoca attuale mi sembra che l’Occidente stia pagando le utopie che cominciò a coltivare dopo la perestrojka. La folle idea che tutti gli esseri umani siano uguali si scontra oggi con le loro differenze e d’altro canto non può essere altrimenti.
Il disagio della civiltà è stato descritto bene da Freud ed è per questo motivo che il costo di certi ideali si traduce in nevrosi di massa: il ritorno del revanscismo in tutto l’Occidente è il chiaro segno del contrasto che sussiste tra un minoritario desiderio di integrare altri popoli e il netto rifiuto per questo melting pot da parte di maggioranze inascoltate. È come se i governi buonisti fossero la coscienza e i popoli, fedeli all’istinto di conservazione, rappresentassero l’inconscio con tutti gli inderogabili segnali che quest’ultimo impone per propria natura.
In tutto ciò io vedo il risveglio di quello che Jung chiamava inconscio collettivo, ovvero un celere ritorno a quell’aspetto tribale delle società antiche che si ripresenta allorché la minaccia è sotto gli occhi di chiunque. V’è una regola aurea che vale tanto nel microcosmo d’ognuno quanto nel macrocosmo: tutti i contenuti che vengono rimossi dalla coscienza sono destinati a riaffiorarvi in seguito con ancor più forza. L’accoglienza indiscriminata, l’assalto al welfare, la costante idea d’ingiustizia che, mutatis mutandis, ricorda quella di un bambino al quale venga imposto un fratello dai genitori, ebbene questo e molto altro concorre a prospettare reazioni sempre più efferate e frequenti da quanti si vedono estorta la cosiddetta solidarietà.
Conosco persone che un tempo non avrebbero fatto manco per scherzo una battuta razzista, oggi invece sembrano dei ferventi nazionalsocialisti, tanto che talora persino nei loro sorrisi si possono intravedere croci uncinate. La storia dell’uomo non inizia nel secondo dopoguerra ed è inutile chiedere a qualcheduno di rinunciare ai suoi archetipi, difatti non potrebbe distaccarsene neanche se lo volesse. Vi sono fieri comunisti d’un tempo che oggi riconoscono tranquillamente l’esistenza non solo di un problema, ma di un vero vulnus legato ai flussi migratori; d’altro canto le categorie novecentesche non hanno più attinenza con la realtà, sono superate, ed è questa la vera uguaglianza degli esseri umani: la loro inclinazione alla sopraffazione di cui anche l’istinto di conservazione è una forma attenuata.
Può darsi che un giorno grazie ai progressi della tecnica le utopie saranno a portata di mano, ma ciò di certo non avverrà mai grazie a quanti, come nel gioco delle tre carte, pretendono di dare dei diritti alle minoranze allogene sottraendoli a chi li ha resi possibili.

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Apr

Uomini e bestie

Pubblicato venerdì 2 Aprile 2010 alle 15:23 da Francesco

Nei giorni scorsi ho noleggiato una bicicletta per muovermi più velocemente e ieri sono andato al Taipei Zoo per trascorrere un paio d’ore a contemplare la natura in una campana di vetro. Ho visto un panda ‘ndranghetista che ho ribattezzato in questo modo perché mi è parso in regime di 41 bis a causa dello spazio angusto che gli è stato destinato. Ho immortalato la detenzione pubblica di vari animali tra cui: gibboni, macachi, giraffe, zebre, elefanti, rettili (specialmente serpenti), pinguini, gufi, e perfino una tigre del Bengala. Non mi hanno mai entusiasmato gli animali in gabbia né negli acquari, tuttavia riconosco il valore didattico di certi luoghi e allo stesso tempo non ne nego il carattere liberticida. Dopo la visita zoologica mi sono recato a Shipai per giocare una partita di calcio. Al match mancava soltanto il patrocinio dell’UNICEF poiché il campo ha sfoggiato molte nazionalità: un panamense, due statunitensi, un canadese, un messicano, diversi inglesi, uno spagnolo, un ragazzo di Singapore, un austriaco, un taiwanese e altre persone di cui non rammento né il nome né la patria natia. Eventi del genere rafforzano la mia inclinazione cosmopolitica. Insomma, la partita è stata un vero melting pot. Un mio coetaneo mi ha parlato un po’ di sé e mi ha raccontato di avere già due figli per i quali ha cambiato lavoro poiché il suo impiego precedente non gli permetteva di stare con loro quanto desiderava. Là in mezzo ero l’unico a non avere motivi di studio né di lavoro a Taiwan. “Just traveling” mi sono trovato a rispondere più volte. Dopo la partita ho fatto un po’ di strada assieme al panamense e allo spagnolo. Abbiamo scherzato sulla nostra natura latina e abbiamo concordato su un paio di punti. La gente a Taiwan è amichevole e intrattiene buoni rapporti con gli occidentali, tuttavia non c’è tra le persone autoctone e gli stranieri quel feeling particolare che invece è diffuso in Europa e nelle Americhe. Ho scherzato un po’ con il ragazzo panamense che si sorpreso quando gli ho ricordato il nome di un suo illustre connazionale: Manuel Noriega. Per certi versi ho trovato la conferma a un’impressione che ho appuntato qualche giorno fa su queste pagine al riguardo della sicurezza dell’isola e alla fine ho detto ai miei interlocutori: “Well, Taiwan is too sfae, it lacks of drama!”. Giù risate. Adoro momenti come questi, perle autentiche di socializzazione che scaturiscono dal caso; periodi brevi che brillano di luce propria. All’estero incontro sempre qualcuno sulla mia lunghezza d’onda e immagino che questo dipenda dall’inclinazione cosmopolitica a cui mi sono già riferito. Anche tra i miei connazionali figurano individui interessanti benché io ne conosca un numero esiguo, tuttavia mi ripeto sempre che gli sproloqui noiosi dei miei compatrioti, la loro mancanza d’autoironia e le loro fisime sono il prezzo da pagare per vivere nelle meraviglie paesaggistiche dell’Italia. Io sono l’ultimo dei campanilisti e ancor oggi continuo a dimostrarlo, ma per quanto mi è possibile cerco d’insidiare il podio ogniqualvolta l’obiettività si trovi ad attendermi al traguardo.

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