La mia lettura novembrina è stata quella di Miti e simboli dell’India, un saggio concernente aspetti della religiosità vedica a me già noti, ma di cui il testo di Heinrich Zimmer mi ha offerto ulteriori e interessanti approfondimenti. Basilare ma doverosa la spiegazione iniziale di come ogni ciclo del mondo per l’induismo sia ripartito in quattro età definite yuga e il cui avanzamento va di pari passo con un impoverimento del dharma, ossia dell’ordine morale.
Altra definizione capitale e precipua riguarda i concetti di maya e shakti, laddove la prima indica il mondo fenomenico, quanto è manifesto e illusorio, mentre la seconda è l’aspetto dinamico della prima che ne genera e ne alimenta le epifanie. Zimmer dà conto in più occasioni degli apparenti dualismi che attraversano l’induismo, perciò egli spiega come la shakti rappresenti il potere attivo di una divinità e ne sia la consorte o regina, in complementarietà e opposizione all’elemento passivo maschile (l’eternità): in un passaggio l’unione dei due viene descritta come autorivelazione dell’Assoluto.
Molte sono le pagine dedicate ai simbolismi e alla cosmogonia che mi hanno avvinto, ma è stata in particolare la storia del tracotante Jalandhara a colpirmi poiché il suo tentativo di prendersi in sposa Parvati fa compiere all’autore un parallelismo con il mito edipico, paragonando la consorte di Shiva a Giocasta al fine di sottolineare come il possesso della moglie di un sovrano risponda a un preciso rituale di potere e sia quindi scevro di tutte le implicazioni freudiane.
Sessuale, archetipico e fortemente simbolico è il linga, oggetto fallico d’elezione per il culto di Shiva in quanto energia maschile creatrice, ma il dio è anche distruttore e questa sua duplice natura viene esplicitata dalle principali danze che egli padroneggia: la Tandava e la Lasya.
La gerarchia delle divinità, la differenza tra Brahma e Brahman, i vari aspetti di Shakti (di cui a me piace molto la Kali nera) e, soprattutto, lo stato di prigionia al quale ogni individuo è costretto dalla propria Maya-Shakti (e quindi dalla cosiddetta nescienza) che egli stesso genera, sono altri elementi ivi presenti e stimolanti la cui lettura mi ha ricordato di nuovo quanto verso tutto ciò sia debitrice parte della filosofia occidentale. Duecento pagine spese bene.
Miti e simboli dell’India di Heinrich Zimmer
Pubblicato sabato 4 Dicembre 2021 alle 12:52 da FrancescoUna volta, in terza media, la professoressa d’italiano mi punì con una nota di demerito quando le dissi che non avevo svolto il compito a casa nel quale avrei dovuto illustrare i miei progetti per il futuro. Già allora, difatti, non albergava in me il desiderio di diventare qualcuno e per fortuna neanche in seguito quest’ultimo è mai venuto a bussare alla mia inferriata, o forse si è presentato a mia insaputa ed è stato spaventato dai cani da guardia. Non ho mai avuto ambizioni particolari, sogni, carote o altri ortaggi da mettere davanti al mio carattere per trainare la volontà come una bestia da soma. Non mi sono mai interessate le qualifiche né i riconoscimenti, ma se avessi ricevuto qualcosa del genere, il giorno successivo al conferimento di tali addobbi avrei portato tutto a un rigattiere per poterne ricavare qualche tallero. Se l’anno scorso l’Esercito Italiano non avesse scartato il mio profilo psicologico forse oggi, con nove mesi di servizio alle spalle, mi sarei già potuto fregiare del grado di caporale e quest’ultimo sono certo che non lo avrei svenduto. Mi considero nel fiore degli anni e sboccio ogni giorno in un deserto emotivo che almeno io non trovo inospitale come invece accade a qualcun altro che tra quelle stesse sabbie sconfinate appassisce a ogni sospiro. Non penso che si possa ottenere una buona fioritura innaffiandosi soltanto di lacrime e sborra, ma io sono il giardiniere di me stesso, non mi occupo di altre radici che non siano le mie, e a titolo informativo: il mio pollice verde non ha mai lambito le pendici del monte di Venere. Adoro le cose che non vanno in porto, quelle che hanno un attracco lontano, ma a cui sta comunque a cuore il raziocinio e di sicuro né le previsioni catastrofistiche né l’isteria che le veicola ne fanno parte. La fine dell’umanità è un prodotto da supermercato che si trova in confezioni diverse. C’è quella attribuita alle profezie dei Maya, adatta per l’esoterismo domenicale e indicata per i bambini dai tre ai sei anni. Ne esiste una versione cospirativa, adatta per trascorrere le serate con folte schiere di dietrologi, complottisti e altri nani da giardino che hanno in orrore il CICAP. V’è anche un tipo più prossimo alla realtà, per coloro che hanno lo stomaco debole, e in questa veste la fine del mondo si presenta attraverso le parole di qualche studioso canuto che oltre a riproporre il pensiero di Thomas Robert Malthus, ne prevede la concretizzazione in tempi stretti.
Le parate sono frequenti e vengono celebrate con i colpi a salve di chiunque sappia sparare cazzate. Aiuto il vento e soffio anch’io contro il pessimismo artefatto che aleggia anche quando non è motivato. Non mi piacciono i Maya né le loro previsioni che talvolta vengono chiamate profezie. La dietrologia e il disfattismo impregnano i ragli insistenti di alcuni bestie da soma a cui la natura ha concesso la facoltà di esprimersi verbalmente. Trovo che la vita abbia un grande charme e per questo motivo ne sono attratto. Mi imbarazza chi denigra la propria esistenza senza un motivo valido e mi tengo a debita distanza dai servi dello sconforto gratuito: non voglio querimonie in omaggio. Qualcuno non desidera ricevere un presente sotto l’albero di Natale, ma si auspica che uno dei suoi nemici venga ritrovato impiccato a un ramo appesantito dagli addobbi. L’aria è sempre inquinata da un livello piuttosto elevato di aggressività e rancori, ma io spesso respiro altrove e guardo le lotte dei miei simili senza puntare neanche un centesimo sui loro esiti: preferisco scommettere sui combattimenti dei galli colombiani. Non chiedo di meglio, proprio come una madre che frequenti appassionatamente un amico del figlio. Il maltempo imperversa e grazie alla crisi globale sembra che piova sul bagnato, ma io non mi sono mai sentito così sereno e sospetto di non essere ancora giunto al limite di questa sensazione positiva. L’ora è tarda, un nubifragio scuote l’ambiente esterno e una gioia immotivata acuisce la sua presenza costante dentro di me. Potrei aggiungere qualcos’altro, ma secondo taluni io non sfrutto pienamente le mie capacità: non sono un approfittatore.