Le parole non pesano molto, ma io rinuncio a lanciarle dove non possono arrivare e quindi neanche le preparo. Preferisco dilettarmi in cucina benché si tratti di un piacere coniugato al dovere, difatti se non mi prodigassi ai fornelli avrei la strada spianata verso l’inedia. Sono un pessimo cuoco e non mi definisco tale per modestia, lo sono davvero, perciò realizzo pietanze semplici che tuttavia mi piacciono e mi soddisfano. Di norma consumo i miei pasti improbabili di fronte al monitor che sto guardando in questo preciso istante e non ricordo una sola volta in cui io gli abbia offerto un boccone. Entità diverse hanno bisogni differenti e talora non possono comunicare tra loro. Un essere senziente come si può rapportare a un oggetto inanimato? Tutt’al più, a mo’ di piccolo demiurgo, il primo può investire d’importanza il secondo e riceverne indietro qualcosa, come se spedisse una lettera a se stesso e si compiacesse nel leggerla.
Non mi domando se io abbia un ruolo nel grande schema delle cose e non faccio nulla per candidarmici: vivo come sono abituato a fare e m’intrattengo in me, con tutto ciò di cui dispongo al mio interno. La psicologia spicciola non va bene neanche per contentare i questuanti all’esterno dei supermercati, perciò tengo in considerazione conio d’altra fattura e non lo uso come valuta di scambio giacché il baratto solipsistico ha il retrogusto dell’ossimoro.
V’era un tempo in cui altri tempi furono possibili e di sicuro anche l’attuale, questo cosiddetto presente, ha in sé prodromi del genere di cui non mi avvedo. In meno d’un quarto d’ora ho preparato l’impasto per una pizza veloce, l’ho stesa con il mattarello e poi l’ho cotta in padella: alla fine vi ho aggiunto un tomino e non un tomo; l’odore è buono, il sapore è per me accettabile e soprattutto si lascia mangiare, come in una rara comunanza d’intenti.