Non riesco a spiegarmi da cosa dipenda, ma in me sta cominciando a maturare un insolito ottimismo verso l’avvenire e non sono certo che io ne apprezzi il retrogusto. Non mi riferisco alle fragili fogge delle speranze né a quelle altrettanto precarie e indefinite degli auspici, ma questa mia sensazione verte su prodromi particolari e concreti. Sono abituato a considerare sempre come più probabile l’ipotesi peggiore e non mi creo mai grosse aspettative, perciò mi trovo un po’ spiazzato al cospetto della crescente fiducia verso il futuro. Per precauzione non intendo dare troppo credito a tale moto interiore, inoltre non ricerco una positività che io non senta davvero mia e neanche ho bisogno di incoraggiamenti.
Non di rado gli esseri umani si fanno dominare da astrazioni del tutto slegate dai fatti e poco importa quale sia la loro polarità, difatti un entusiasmo ingiustificato può essere disastroso o fatale quanto un timore parossistico. Io cerco di passare in mezzo a quelle fluttuazioni che talora mi pervadono, anche quando comincino ad assumere sembianze verosimili in un senso o in quello opposto. La lettura della realtà è difficile e si presta a tanti errori di valutazione, ma un po’ di esperienza mi suggerisce che quasi ogni segnale forte vada ridimensionato affinché mi sia dato di ricavare un’idea più chiara della sua vera portata. È come se al momento della loro ricezione certi impulsi venissero amplificati oltremodo e il loro contenuto fosse alterato dalla forma distorta che ne fa da veicolo: l’applicazione di filtri si rende indispensabile.
L’introspezione non cessa mai di rinnovarsi e non presenta aspetti scontati per quanto banale possa sembrarne il loro esame, ma d’altro canto non esiste un protocollo perfetto e io per fortuna devo occuparmi soltanto di quello che risulti efficace per me. Insomma, lascio che passino queste ventate di ottimismo e non le sfrutto neppure per il volo dei miei aquiloni.
I tempi si fanno sempre più incerti, ma io trovo rifugio dentro di me e cerco di concentrarmi sugli aspetti dell’esistenza che rispondono subito alle mie azioni deliberate. Non posso evitare il confronto con quelle condizioni su cui non ho potere decisionale né modo d’incidere, tuttavia mi è permesso eluderle il più possibile e posso reagirvi nella maniera che io reputi migliore. È poco, ma non è nulla e soprattutto può diventare molto. Non è colpa mia se le scelte importanti sono delegate a degli idioti impreparati che rasentano la perfezione nella palese inettitudine di cui sono gelosi custodi, ma posso sfruttare una simile circostanza come banco di prova da cui trarre spunto e dimostrazione per essere all’altezza di altre situazioni: nulla va perso.
Sono il mio alleato migliore, di certo l’unico, ma d’altro canto non può che essere così. Quando una parte di me si allontana dal mio centro un’altra corre in suo soccorso e la richiama a quell’ordine di cui riconosco l’importanza. Non mi cerco fuori né m’illudo che le mie componenti formino sempre una salda unità. Sono l’opera incompiuta di un divenire privo di scopo, ma tutto ciò non significa che debba tenere il broncio davanti alla mia finitudine. È sempre la questione introspettiva che non smette di appassionare né di appassionarsi, nient’altro.
Penso che la decostruzione sia il modo migliore per edificare rovine sostenibili e quindi me ne avvalgo per quanto è nelle mie capacità. La continua scoperta di me stesso è il leit motiv che si manifesta salvifico quando altre sublimazioni siano costrette a una battuta d’arresto definitiva o passeggera, calcolata o improvvisa: in ogni caso si tratta di un processo perpetuo e secondo me questo suo tratto più di altri ne svela l’importanza. Non ho appigli dialogici né voci risonanti a cui dare credito. Non ho tele organiche su cui proiettarmi o dalle quali ricevere proiezioni, o almeno non a un livello che faccia qualche differenza su un piano qualsiasi. Non subordino la ricerca alla consolazione perché anche se volessi tentare questo espediente non saprei trarne il mendace vantaggio: la lucidità è già sopra il livello di guardia.