Alcune delle cose più importanti restano ascose (cioè nascoste) perché talvolta non è possibile dirle in un modo che ne salvaguardi la portata emotiva. Certe parole mi sembrano destinate al deterioramento semantico, perciò trovo che il tempismo del loro impiego sia importante quanto il messaggio di cui si fanno portatrici. Accidenti, quanta prosopopea per descrivere ciò che i greci indicavano con sei lettere appena: kairos.
L’inconscio è un deposito promiscuo e sarebbe bello se certuni potessero visitarlo per cercarci qualcosa di utile come in una discarica a cielo aperto; se ne fosse vietato l’ingresso agli estranei allora non potrebbe entrarci neanche il proprietario, tuttavia immagino che spesso sia già così. Mi pare difficile stabilire contatti che meritino di essere stabiliti e trovo altresì arduo rinsaldarne di pregressi. Mi domando se esista davvero un metodo che aiuti ad affinare sempre più la capacità di trovarsi nel posto giusto al momento giusto: non mi riferisco né alla fortuna né ad alterazioni del suo proverbiale bendaggio. Conosco la legge dell’ottava, però non la prendo in considerazione perché non ho l’indole adatta. Alla soglia dei trent’anni mi sento in un perfetto equilibrio tra due opposte sensazioni. So che una parte di me (forse una delle migliori) non è ancora emersa perché non sa dove rifrangersi, ma allo stesso tempo so che faccio bene a non compiere forzature in tal senso: ogni cosa deve essere naturale oppure non dev’essere affatto. La mia resistenza è tutta in questa consapevolezza, la quale può essere considerata un dono (ancorché meritato) o una condanna a seconda dei punti di vista, qualunque sia il tipo di cecità.