In questi giorni pasquali e ventosi mi sono dedicato alle consuete passioni, però mi sono anche reso conto di come nell’ultimo periodo ne abbia trascurate alcune per mia indolenza e non già per la mancanza di tempo. Ho quasi completato la stesura del mio sesto libro, perciò voglio contattare dei mobilifici per trovargli un posto ai piedi di un tavolino traballante: al contempo non escludo di candidarlo come fermaporta.
Non so come si faccia a non essere autoreferenziali, quindi le espressioni della mia creatività si devono misurare soltanto con il mio gusto: l’assenza di velleità artistiche mi fa nuotare in acque diverse dal mare magnum in cui, loro malgrado, si cimentano quanti si propongano a terzi. Nella corsa invece è diverso perché Krónos è un’entità oggettiva e quindi posso avere un confronto con quello stesso tempo che tutto scandisce sebbene non esista: un paradosso a cui io sono legato da vincoli d’entusiasmo. Contemplo l’idea della morte mentre apprezzo in sommo grado la mia vita e mi chiedo se possa chiedere di più alla mia età: sì, potrei, ma se avanzassi ulteriori richieste peccherei di creanza, buon gusto, tatto e sarei più maleducato di quanto già non sia quando dimentico di tirare lo sciacquone a seguito di una bella cacata. Voglio tanto bene al gatto Heidegger e qualche volta lo penso mentre coltivo i miei passatempi, però non mi rattrista l’idea che il tempo a nostra disposizione sia limitato e non lo considero un cafone quando sia lui a dimenticarsi di far scorrere l’acqua dopo una sua deiezione.
Come se il tempo esistesse e passasse per un saluto
Pubblicato martedì 20 Giugno 2023 alle 23:32 da FrancescoSecondo me l’esistenza più alta alla quale un essere umano può ambire è quella dell’anacoreta contemplativo, ossia una vita ritmata dai moti del Sole che sia votata alla meditazione e alla sussistenza, destinata a concludersi con l’inedia: qualcosa del genere è fuori della mia portata, perciò cerco di fare quanto rientri nelle mie corde senza correr l’alea d’impigliarmici.
A proposito di corsa, negli ultimi nove giorni ho macinato centosessantuno chilometri giacché la mia idea è quella di mettere volume nelle gambe per tonare alla migliore condizione di sempre e superarla: il giudizio di Krónos è inappellabile perché nell’atletica leggera i numeri non mentono e difatti non ho mai visto una cifra con il naso lungo (tutt’al più qualche quattro scritto male).
Mi diverto tanto a giocare con i tempi mentre altri ne scorrono in clessidre invisibili delle quali non mi curo e le cui durate mi trovano al di fuori dei loro effetti, ma può darsi che con l’avvento dei primi caldi io mi risolva a fare qualche bagno in un fiume eracliteo. Oltre del puer che è in me, sempre sia benedetto, sono contento anche per me in quanto allenatore di me stesso, una sorta di senex in comodato d’uso, però non posso chiedere a me medesimo di non essere autoreferenziale o forse posso farlo per confermare vieppiù questa mia natura; si tratta di un cul de sac, il quale per assonanza mi fa domandare se esista un culo che mi piaccia un sacco: v’è da rifletterci e non escludo di farlo quando il cielo stellato sopra di me mi ricordi come dentro di me non alberghi tanto uno chef a cinque stelle quanto un astemio e vegetariano avventore degno di un’osteria, ma soprattutto delle bestemmie ivi echeggianti.
Per continuare queste righe estemporanee devo prima assicurarmi che abbia finito di scrivere stronzate: a me care, per carità, ma pur sempre stronzate. Il mio sesto libro si trova ancora a metà della stesura e mi sento un po’ in colpa nei confronti delle pareti che lo stanno aspettando immobili: devo darmi una mossa o prepararne una che giustifichi il mio ritardo al cospetto di quello già maturato da Godot. Ho qualcosa da fare, piccole mete da raggiungere, ma sono epifenomeni e io mi sento uno privo di nome come Clint Eastwood in certi film western o come Tiziano Terzani quando fu a ridosso della sua ultima incarnazione conosciuta (il domicilio biologico). La mancanza di prospettive e di orizzonti mi permette di avere altri tipi delle prime e dei secondi. Non so cosa significhi crescere, fatta eccezione per l’accorciamento dei telomeri.
Non mi sono ancora procurato il vaccino all’ultimo grido e intendo restare fuori moda fino a quando non ne sarà prevista l’obbligatorietà, però sono immune a qualsiasi forma di nostalgia e difatti non ne provo. Cerco di trovare nel presente più stimoli di quanti ne offrano gli spazi che esso offre alle aspettative future e ai rigurgiti del passato. Non avverto il bisogno di travasare il mio tempo in qualcun altro né in un ideale, però amo condividerne un po’ con alcuni gatti di mia conoscenza nella stessa misura della loro disponibilità, al netto dei croccantini e delle deiezioni.
In questo mesto pianeta vi sono grandi possibilità per l’odio, il risentimento, la crudeltà, la cattiveria gratuita, ma a questa pletora di male cerco di opporre l’amor proprio e non mi cimento in guerre né battaglie che risultino al di là della mia portata. Non sono un egoista, bensì un aspirante autarchico. Non ho fiducia nei miei simili e non credo nemmeno alla verità, perciò posso saltare a piè pari quelle menzogne che già da lontano si presentino come tali. Non ricevo su appuntamento per i prossimi eoni, ho troppe galassie da visitare sotto molteplici forme d’esistenza. “Non torno subito”, farò scrivere sulla mia lapide o forse lascerò questo proposito nell’astratto campo delle intenzioni e, più prosaicamente, me ne sbatterò i coglioni.
Per manutenere il presente coltivo interessi e passioni edificanti, tuttavia non affretto la loro opera qualora le circostanze non mi permettano di accelerarne le procedure, difatti se mi crucciassi per l’anticipo della loro realizzazione finirei per tradire lo scopo precipuo del loro perseguimento, ovvero una forma di corrispondenza e un certo grado di adesione al cosiddetto presente. Svincolo dai dettami di un tempo (im)propriamente detto per non affrontare pastoie maggiori di quelle che già predefinisce ogni esistenza in quanto tale.
Ho molti spunti da assecondare e per mio personale gaudio mi sarebbe piaciuto che essi avessero già preso forma, ma in ogni campo gli sviluppi di un iter sanno sottrarsi alla pretese di chi voglia calendarizzarne ogni aspetto. A volte non si può avere tutto e subito, altre non si può mai avere niente, ma tra questi antipodi vi sono scenari ibridi che costellano la volta delle volizioni e conferiscono loro parte del senso ultimo di cui si fanno latrici.