Oscillo in silenzio tra il giorno e la notte, ma non m’illudo che il mio moto sia perpetuo e spesso rammento la sua provvisorietà. Non cerco la soddisfazione personale e non ho ambizioni filantropiche, ma la mia forma mentis non confina con l’apatia né con il menefreghismo. Nutro un disinteresse totale nei confronti di molti discorsi, ma presto attenzione al modo in cui vengono modulate le parole che li compongono. Non è la superbia che mi allontana dalle opinioni, bensì la consapevolezza di quanto valga poco ogni parola che non ricalchi la realtà. Freno le mie esternazioni verbali e preferisco annoiarmi in modo genuino ogniqualvolta l’alternativa sia un divertimento fallace. Alcune volte credo che la mia età non mi rispecchi e in altri momenti sorge in me il dubbio che io non sia in grado di rispecchiarmi nella mia età. Sono fiero dell’equilibrio che vige nella mia condotta solitaria e penso che la sua costanza sia indice di serenità, ma non ignoro la bellezza che si trova al di fuori della sua portata e la contemplo da lontano. L’isolamento mi ha rafforzato nei segmenti della mia giovane esistenza e oggi le difficoltà del passato mi sembrano delle inezie, perciò non ho motivi validi per ritenere che alle avversità del presente spetti una sorte diversa. Non ho bisogno di una forma di fiducia sebbene la mia autostima sia alta quanto il tasso glicemico di un diabetico. Non aspetto che una zingara usi le sue carte per giocare d’azzardo sul mio futuro e non cerco una divinazione delfica per ottenere un po’ di conforto inutile. Non temo il futuro malgrado i suoi presagi funesti e la mancanza di questa paura è una delle colonne che sorregge l’equilibrio della mia condizione anomala.
Credo che questo blog abbia svolto egregiamente il suo compito introspettivo. In questi due anni la scrittura mi ha aiutato molto e mi ha consentito di migliorare la conoscenza di me stesso. Queste pagine mi hanno causato qualche problema, ma penso che ne sia valsa la pena. La mia vita non è cambiata, ma adesso la conosco più approfonditamente. Sono soddisfatto di quanto ho ottenuto interiormente da ogni virgola che ho appuntato nel mio progetto introspettivo e questo risultato mi rasserena enormemente. Ho intenzione di continuare a scrivere con una frequenza minore per adeguarmi alla diminuzione del materiale di autoanalisi di cui dispongo. Accantonerò per un po’ la lettura e ogni altra fonte di arricchimento culturale per dedicarmi quasi esclusivamente all’attività fisica. Il mio corpo gioisce quando compie qualche sforzo e in questo periodo ne ho particolarmente bisogno per risanare le zone periferiche della mia mente. Penso che lo sviluppo e il mantenimento del corpo e della mente debbano andare di pari passo, ma credo che non sia sempre possibile mantenere un’andatura così regolare. Ho notato che in alcuni momenti l’introspezione rischia di cristallizzarsi in un’analisi ripetitiva e infruttuosa, perciò ogni volta che incomba questo pericolo penso che sia d’uopo sospendere qualsiasi attività di autoanalisi. Ho deciso di non recarmi in India e al momento non ho altri viaggi in programma. Mi sembra strano quanto sto per scrivere, quasi grottesco, ma ne comprendo il significato e l’importanza: credo che io abbia bisogno di stare ancora un po’ da solo.
Xmas doesn’t concern my inner thoughts
Pubblicato sabato 22 Dicembre 2007 alle 08:10 da FrancescoIeri ho chiuso un breve capitolo della mia vita che non ho mai aperto e sono contento che tutto questo sia accaduto in prossimità della fine dell’anno. Credo che dicembre sia soltanto un mese di bilanci inutili e di propositi altrettanto sterili, ma penso che gennaio sia la rampa di lancio per rendersi concreti e agire. Talvolta concedo alle persone più attributi positivi di quanti ne abbiano in realtà, ma quando me ne rendo conto riesco a ridimensionare l’importanza di coloro che ho sopravvalutato e lascio dietro di me scie di indifferenza. Nessuno mi ha insegnato a distaccarmi da qualcuno per spianare la strada alla felicità, ma l’ho imparato da autodidatta nel corso dei miei studi casuali sui rapporti interpersonali. Quando l’ossessione predomina sulle emozioni qualcosa non va ed è meglio abbattere tutto per erigere una nuova costruzione sentimentale. Non importa sotto quale nome appaiano la passione, il trasporto o, come è sempre accaduto nel mio caso, le loro manifestazioni platoniche, dato che per me dietro le lettere J, V, e L ci sono periodi in cui ho lambito le sponde dell’amore, ma sono nomi privi di sostanza dato che io sono ancora in alto mare e mi godo la distesa infinita che mi circonda mentre continuo romanticamente la mia navigazione solitaria a bordo della realtà.
Adopero l’indifferenza per schermirmi dagli scherni della spiritualità e mostro la mia indole materialistica per declinare ogni invito alle ricerche ultraterrene, ma non mi affido al nichilismo né ad altre scuole di pensiero. Apprezzo il vuoto e proteggo la sua vacuità dalle consolazioni nocive che galleggiano nel mondo in cui vivo, ma per agire in questo modo sono costretto a rimandare a tempo indeterminato certe acrobazie dei sensi. Identifico il vuoto con la mancanza di qualcosa e credo che sotto i suoi strati di sconforto si trovi uno strumento ostico per rinvigorire la personalità. Incontro qualche difficoltà semantica nella ricerca delle parole adatte per appuntare con precisione i vapori di questo geyser introspettivo e mi accingo a esemplificare brevemente quanto ho scritto in precedenza. Quando un individuo si accorge del vuoto che lo avvolge e guarda al suo interno egli può arrestare il suo sguardo davanti agli strati di sconforto e consumarsi in un vittimismo tanto deleterio quanto inutile, ma qualora il suo occhio riesca a penetrare la vacuità può cominciare a studiare i meccanismi di ciò che ancora non gli appartiene. Ad esempio quando una persona avverte la mancanza di amore può cristallizzarsi nella malinconia e nella nostalgia o può utilizzare la parte più profonda della sua mancanza (lo strumento ostico) per affinare la sua capacità di amare e credo che questa scelta avvenga in base a un’intuizione indipendente dal livello di erudizione. Suppongo che la felicità e la visione del mondo che essa porta con sé lambiscano la traiettoria della cultura, ma sono portato a credere che quest’ultima non sia fondamentale per raggiungere uno stato d’animo ben più pregiato di qualsiasi nozione del cazzo.
Nel corso degli anni mi sono lasciato alle spalle un novero consistente di persone e non ho mai riallacciato i rapporti con loro. Non concedo molto valore ai legami di sangue e non riconosco alcun diritto affettivo nei confronti di chi mi ha messo al mondo, ma nutro del bene per mia madre e non escludo che una parte di esso abbia radici edipiche. Preferisco i rapporti che partono da zero, prediligo le relazioni che fioriscono sopra un pianeta emotivo senza passato e nonostante io non abbia mai avuto nulla di simile continuo a ritenere che tutto il resto del campionario sociale sia piuttosto marginale. Non penso di conoscermi completamente, ma credo di sapere abbastanza di me per affermare che nel mio status di figlio l’amore per una mia compagna prevarrebbe di gran lunga su quello per mia madre e parimenti nello status di padre l’amore per la mia prole sarebbe nettamente minore rispetto a quello che proverei per la loro madre. I miei sentimenti hanno una matrice egoistica poiché sgorgano dal mio Ego e sono contento che non fuoriescano da qualche sorgente artificiale della mia interiorità, ma per adesso non mi resta che apprezzarne la bellezza cristallina mentre si snodano lungo il tempo alla ricerca di un estuario. Considero deceduta ogni persona con cui ho rotto i ponti e trovo che sia strano accettare la morte di qualcuno che è ancora vivo, ma questo è il mio modus operandi. Non accetto che la sterilità del passato occupi lo spazio delle fioriture presenti e future nonostante il mio autunno perduri da oltre vent’anni. Le foglie ingiallite hanno un fascino particolare.
L’atmosfera novembrina avvolge il mio umore e dall’altezza delle guglie interiori osservo con indifferenza una nube nera che si dirige verso di me per sorvolare alcuni dei miei mesi. Non posso imputare nulla alle avversità del silenzio e accetto il loro transito naturale come accetto un giorno di pioggia. Paziento nel presente e dal futuro mi aspetto soltanto la sua venuta. Gioisco in modo anomalo per delle inezie quotidiane e passeggio in equilibrio sulla linea della vita. Conosco benissimo la mia voce e talvolta la divido in due per dialogare con me stesso. Non si arresta mai il moto perpetuo che anima la fabbrica dei miei pensieri e sopra queste pagine riverso una quantità ingente di essi per evitare di ritrovarmi costantemente con un surplus mentale. Le riflessioni sterili gonfiano il mio cranio come una mongolfiera e ogni tanto mi capita di salire rapidamente in uno stato dell’attività cerebrale che risulta totalmente dispersivo. Mi arrampico sopra gli specchi che riflettono i miei limiti e cerco di raggiungere il vertice di questa struttura piramidale con le ventose della volontà. Ambisco ad arrivare a un punto dal quale sia necessario ambire a qualcosa e nel frattempo continuo la scalata che ognuno compie tra cadute rovinose e passi da gigante al di sopra dell’età anagrafica.
L’esperienza è una sarta rozza che usa le cicatrici per cucire la personalità, ma credo che un portamento particolare della volontà individuale possa compensare i difetti di un abito confezionato in modo maldestro. Il bavero sgradevole di questo indumento costringe alcuni dei suoi proprietari ad alzare le loro teste per osservare la tracotanza delle loro pretese. Qualcuno ritiene che basti non essere amati per pretendere di farsi amare, ma suppongo che occorra qualcosa in più. Penso che sia facile lamentarsi qualora non si abbia nulla e trovo che sia ancora più facile nel caso in cui si possegga tutto. Mi sembra che le ricerche ossessive ogni tanto rivelino un disinteresse totale verso l’oggetto apparentemente desiderato e mi pare che in casi simili si possa notare un attaccamento morboso verso il piacere di trovare qualcosa per iniziare a cercare qualcos’altro, ma probabilmente taluni vedono in questo processo ripetitivo una via per l’immortalità nello stesso modo in cui un bambino può scambiare un pezzo d’ottone per un pezzo d’oro. Esistono molti espedienti per sfuggire alla paura ingiustificata della propria finitezza ed è un peccato che nessuno di essi funzioni. La sofferenza affina la sensibilità e quest’ultima può essere utilizzata per recidere la carotide di un innocente o per incidere il proprio nome nella mente di una persona colpevole d’amare.
Le giornate mi ipnotizzano sopra le pianure spoglie delle ore. Qualche volta parlo con me stesso senza prestare ascolto a quanto dico. Non posso concedermi il lusso di dare un significato ai miei sforzi e allora continuo ad accumulare nozioni ed esercizi fisici. Tampono le emorragie del tempo con quello che ho a disposizione e ogni tanto alzo lo sguardo per assicurarmi che il cielo non si abbassi. Quando ruoto le mani trovo soltanto delle linee interpretabili dalle zingare e noto uno spazio vuoto ogni volta che porto lo sguardo all’altezza dello sterno. Non capto segnali anomali e paziento silenziosamente da un capo all’altro dei miei movimenti. Non attendo qualcosa, e non ho l’aspetto di uno che aspetti ciò ch’egli crede che gli spetti. Non stringo patti né petti, ma accudisco la mia lucidità per evitare che l’immaginazione mi renda pigro. Non sono arrendevole e rianimo i momenti morti mentre dei pensieri appuntiti mi fanno grondare sangue dal cranio. Il mio kit di sopravvivenza è composto dalla musica, dalla lettura, dalla scrittura e dall’esercizio fisico, ma è il mio amore smodato e inespresso per la vita che mi solleva dai precipizi quando il mio volo si fa troppo radente. Scanso delicatamente la mia introspezione nel momento in cui si frappone tra me e la visione degli eventi che condizionano le vite dei miei simili. Faccio parte di un mondo in cui i numeri inducono la gente a constatare sulla propria pelle la legge di gravità. Le manovre errate della mia esistenza sono inezie al cospetto di un mutuo contratto senza lungimiranza o di una malattia contratta consenzientemente, perciò mantengo alto il livello della mia attenzione e continuo a planare tra la bellezza e la sua antitesi. Uso le storie maledette come magneti per attirare la mia attenzione su determinate vicende e per non imbattermi nei drammi che sono già stati portati in scena da altre persone. Ogni giorno guadagno esperienza e ne investo buona parte per tutelarmi contro la mestizia. Non dispenso consigli, ma ogni tanto ne raccatto uno dei miei. Credo che la vita sia un passatempo stimolante.
Il respiro della coscienza: l’evasione dalla fuga
Pubblicato venerdì 26 Ottobre 2007 alle 00:53 da FrancescoUn interrogativo si propaga con la stessa cadenza dei suoi colleghi: “L’amore ruota attorno al popolo della Terra oppure quest’ultimo si limita a roteare una delle sue manopole eteree per sintonizzarsi sulle frequenze dell’utopia?”. La vocazione congenita per l’amore assomiglia a uno spiraglio da cui qualcuno tenta di passare per scappare dalla morte, ma credo che una tale lettura corrompa ogni manifestazione di questo sentimento. Talvolta l’amore e la morte compongono dei drammi ampollosi che si svolgono sulle pagine di un libro, sul palco di un teatro, nell’occhio inflessibile di una telecamera o in una stanza che è destinata a rimanere vuota, ma in tutto questo non vi trovo né pathos né romanticismo fosco. Mi sembra che a volte il desiderio di amare nasconda il timore della morte e penso che queste due entità psicologiche si incrocino più di quanto io riesca a presumere. Ritengo che l’amore non possa essere disinteressato, ma in questo caso al vocabolo “interesse” conferisco un significato più “filosofico” per affrancarlo dalle connotazioni materialistiche dell’eloquio popolare. Talvolta sembra che si debba vivere per sempre e non è semplice emanciparsi da questa illusione poiché è tanto confortante quanto errata. Può risultare sgradevole e difficoltoso guardare le prime avvisaglie della propria finitezza nel fiore degli anni e forse l’impresa diventa ancora più ardua quando si giunge in prossimità della morte senza averla messa in conto. Non penso che sia salutare trascorrere una vita a contemplare la propria finitezza, ma forse questo è ciò che accade quando l’amore viene considerato come un modo per evadere dalla fuga della vita. Qualcuno pretende che l’amore giri in senso antiorario per accedere a un’esistenza perpetua, ma questo genere di pretese assomigliano a quelle di un bambino che non vuole andare a dormire. Trovo che sia indispensabile accettare integralmente la presenza futura della propria assenza qualora si voglia amare in modo sublime. Suppongo che l’amore e la morte agiscano su due piani diversi e si incrocino al sorgere delle problematiche esistenziali nella sfera introspettiva. Non ho mai amato e credo di non essere mai morto finora, ma non ritengo che la mia inesperienza possa pregiudicare in qualche modo le mie considerazioni trascurabili.
Trovo che la comprensione della realtà sia molto ardua e ritengo che sia altrettanto difficile contemplarne la difficoltà al di fuori dei binari della banalità, ma talvolta non me ne rendo conto e dimentico l’ordinarietà degli errori di valutazione. Le mie convinzioni possono ottenebrare la tendenza a una visione del mondo potenzialmente imparziale ed è per questo motivo che le metto a punto continuamente. In passato ho preso decisioni sbagliate e ho commesso errori madornali che sono stati incoronati da una certezza temporanea, ma il senno di poi ha detronizzato i loro risultati e mi ha aiutato ad acuire le mie scelte. Non è affatto facile vedere oltre ciò che si vuole vedere, ma la banalità di questa presa di coscienza è puramente descrittiva e non penso che possa contribuire efficacemente al miglioramento del proprio giudizio. Per servire la verità talvolta occorre rinunciare a se stessi e questa rinuncia può essere molto dolorosa qualora l’individualità abbia delle dimensioni ragguardevoli che la elevino al ruolo di cardine di un’esistenza, tuttavia non conosco alternative valide a questo metodo. Credo che un primo passo verso la guarigione e il bilanciamento dell’umore risieda nello sforzo di sopraffare la parte faziosa della propria personalità. Mi sembra che il desiderio di affermarsi e la voluttà della prevaricazione siano dei vizi inveterati e suppongo che possano essere sradicati soltanto con la costanza e con l’abbandono di conquiste personali che sono più nocive di quanto lascino intendere le loro fogge appaganti.