L’istinto di conservazione mi ha spinto a praticare l’introspezione e mi ha permesso di migliorare la qualità della mia vita. Talvolta intravedo un po’ di morbosità nel mio atteggiamento intimistico, ma suppongo che quest’ultima in realtà sia la conseguenza dell’isolamento volontario nel quale trascorro buona parte del mio tempo. Mi piace la comunicazione, ma prediligo le conversazioni surreali che nascono spontaneamente. Non amo le grandi compagnie, ma adoro il caos urbano delle megalopoli perché produce in me un’alienazione particolare. Mi piace trovarmi da solo in mezzo a un melting pot. Certe persone scambiano l’introspezione per qualcos’altro e la usano come scusante per dispensare lezioni di vita senza che nessuno ne abbia mai sollecitato la declamazione. Non ho nulla da insegnare e ciò che devo apprendere ha una radice endogena, perciò non mi concedo neanche l’illusione di imparare da qualcun altro ciò che mi riguarda. Apprezzo i monologhi e parlo spesso con me stesso. Trovo imbarazzanti i discorsi filosofeggianti che abbiano come fine precipuo la soddisfazione egoistica dei partecipanti. Non gradisco le contese verbali perché spesso sono patrocinate dalla vanità intellettuale. Ognuno creda ciò che vuole e affermi qualunque cosa o il suo contrario. Verba volant; e per fortuna abito in una zona che è soggetta ai venti. La mia introspezione non è costituita dall’ammasso chilometrico di appunti che ho prodotto in questi anni né dai pensieri che accentuano la costanza delle mie sensazioni piacevoli. La mia introspezione non è tangibile, ma è qualcosa che mi tange perché al di là di ogni frase criptica io sono un individuo pragmatico. Non mi lascio contaminare dai facili entusiasmi né dai condizionamenti negativi delle delusioni estranee. Misuro il mio operato interiore durante l’attività fisica e non conosco un modo migliore per farlo. A mio avviso il rapporto tra mente e corpo è più stretto di quanto lascino intendere certi dotti impigriti. Forse sono limitato, ma per me è fondamentale che la resistenza fisica vada di pari passo con la coerenza delle idee.
Non pensavo di raggiungere il mio stato attuale a ventiquattro anni. L’introspezione mi ha dato più di quanto mi attendessi e non ho intenzione di abbandonarla. Non ho ambizioni né dipendenze e la libertà armoniosa che accarezzo ogni giorno attenua gli effetti di ogni cosa che tenti di sabotarla. Posso mostrarmi senza filtrare deliberatamente le mie azioni e questo è un lusso che non si può acquistare neanche dopo la riuscita di un aggiotaggio. Non escludo che in qualche anfratto del mio inconscio vi siano ancora degli inganni di cui non sono consapevole, ma credo che una parte consistente di me sia autentica e le opinioni negative che circolano sul mio conto avallano questa ipotesi. Penso che il giudizio esterno sia utile per misurare alcuni aspetti della propria personalità, ma allo stesso tempo credo che non debba deformare quest’ultima per renderla appetibile. Apprezzo la società perché la considero un percorso a ostacoli in cui un essere umano può allenare la sua interiorità e per questo motivo non sono allettato da un allontanamento completo dal resto dell’umanità. Credo che sia troppo facile vivere pacificamente in un eremo e ritengo che la mia individualità debba essere sollecitata dalle turbolenze della quotidianità per confermare la sua costituzione granitica. Non sono differente dai miei coetanei e non ho nulla che mi renda speciale. Io non conosco l’intimità di due individui e non so cosa siano le attenzioni reciproche, ma in compenso sono accompagnato da sensazioni edificanti con cui mi arrogo il diritto di vivere per il tempo che ho a mia disposizione. Talvolta sento la mancanza della lotta interiore che ha caratterizzato le mie giornate nel corso degli ultimi anni, ma non ho più bisogno di combattere con me stesso per sentirmi vivo e ormai mi considero un reduce vittorioso. Ogni persona prima o poi si trova di fronte a delle prove individuali, ma alla luce di quanto ho appreso io non temo quelle che mi attendono. Non so quali misure adottino i miei simili nei confronti di loro stessi e nella mia natura egoistica non può germogliare una curiosità di questo tipo. La giornata odierna si presenta bene: qualche nuvola, un po’ di vento e molto sole.
La mia vita interiore merita tutti gli elogi con i quali la investo regolarmente. Io non ho riferimenti sentimentali né spirituali, tuttavia la mia esistenza procede bene. Non ho ambizioni e allo stesso tempo non appassisco nell’indolenza. Per un capriccio filantropico vorrei inebriare i miei simili con le sensazioni positive che mi accompagnano quotidianamente, ma se ci provassi probabilmente la mia vanità assopita si sveglierebbe di soprassalto e prevaricherebbe sulla genuinità della mia armonia. Non reprimo totalmente le espressioni negative della mia personalità e lascio a questi elementi lo stesso spazio che un pastore può concedere alle sue pecore. Le mie descrizioni introspettive sono caratterizzate da una forte monotonia, ma quest’ultima è una prova della loro validità. Ogni tanto cerco di ignorare ciò che sono per affacciarmi sulla mia vita da un’altra prospettiva. Qualche volta mi sembra che la mia disinvoltura strida con la mia inclinazione solitaria, ma in realtà la prima è la figlia della seconda. È la solitudine che mi ha insegnato a non temere le parole ed è grazie a lei che posso affrontare qualsiasi discorso senza provare imbarazzo. Per me è importante avere le capacità di compiere determinate azioni, ma ai fini del mio equilibrio non è fondamentale che io le applichi per ottenere ciò che desidero. Talvolta la noia penetra la pace nella quale vivo abitualmente, ma le sue infiltrazioni sono brevi e spesso avvengono con la complicità della stanchezza. Sono più pragmatico di quanto appaia dai miei appunti prolissi e mi rivedo ancora nel passaggio di un pezzo acustico che ho ascoltato spesso durante l’adolescenza: “I‘m a small town white boy, just tryin’ to make ends meet, don’t need your religion, don’t watch that much TV, just makin’ my livin’ baby well that’s enough for me“.
Appunti ulteriori sul tema della serenità
Pubblicato venerdì 25 Luglio 2008 alle 06:16 da FrancescoRecentemente ho speso alcune parole sulla mia serenità e mi accingo a spenderne altre per fornire alle mie letture future una descrizione più dettagliata del mio equilibrio interiore. Nel corso degli anni la mia introspezione è stata piuttosto laboriosa e attraverso la scrittura ho fatto emergere i travagli dei miei pensieri. In questo arco di tempo ho vissuto dei momenti estatici e ho superato i periodi cupi, ma questa alternanza emotiva si è verificata sempre in seno alla solitudine ed è grazie a quest’ultima che ho compiuto progressi importanti per me stesso. Passo dopo passo ho stabilito una sorta di autarchia interiore e ho imparato a fare meno di tutte quelle forme di appagamento che derivano dall’approvazione altrui, ma allo stesso tempo ho evitato accuratamente qualsiasi forma di misantropia per non denigrare i miei simili. Faccio parte di una società e mi avvalgo di alcuni dei suoi mezzi, perciò non la critico ossessivamente per sentirmi estraneo alle sue regole e se mi comportassi diversamente aumenterei a dismisura la quota della mia incoerenza. Mantengo le distanze da alcuni aspetti del mondo che mi circonda e riesco a compiere facilmente alcune rinunce per salvaguardare me stesso. Credo che nel migliore dei casi una pioggia di accuse continua e gratuita a verso i propri simili possa essere una valvola di sfogo, ma dubito che quest’ultima sia in grado di favorire l’evoluzione personale. Oggi la mia serenità è solida e i suoi momenti deboli sono meno intensi, inoltre si verificano a intervalli di tempo sempre più grandi e dunque posso ritenermi soddisfatto del lavoro che ho svolto finora su me stesso. In passato ho trascorso dei giorni tremendi per fronteggiare la discrepanza che vigeva tra le mie intenzioni e i risultati insoddisfacenti che conseguivo. In certe occasioni ho criticato me stesso oltre il dovuto e altre volte sono stato troppo indulgente, ma suppongo che questi siano gli errori di chiunque interpreti male lo zelo dell’autodisciplina. Penso che qualunque cosa sia criticabile e trovo che molte critiche siano opinabili, ma io ho sempre aspirato ad avvicinarmi il più possibile a un giudizio oggettivo e ritengo che quest’ultimo sia più semplice da applicare sulla propria esistenza qualora non si abbia paura di versare dei tributi spaventosi che talvolta sono richiesti dall’imparzialità. Ogni tanto formulo qualche opinione su temi di rilevanza sociale, ma spesso accompagno queste esternazioni con un aggettivo: “trascurabili”. I meccanismi che regolano l’umanità sono più complessi di quanto possa emergere da un discorso qualunquista che si innalzi verso le nubi dai tavoli di un bar, perciò mi dedico con attenzione a questi argomenti ogniqualvolta convergano con la mia introspezione e in tutti gli altri casi non mi cruccio su analisi di questo genere perché non sono un politico né ricopro un ruolo che mi obblighi a prendere delle scelte responsabili per altri gruppi di esseri umani. Per raggiungere un certo distacco da alcune cose ho ridimensionato il mio Ego in un modo abbastanza truce e l’ho fatto tramite la derisione del mio pene. Il fallo non è importante a meno che qualcuno non aspiri a diventare una grande testa di cazzo, perciò l’ho ridicolizzato in privato e in pubblico per negargli qualsiasi valenza. Ovviamente la mia serenità non è qualcosa di astratto né è il frutto dell’autosuggestione altrimenti avrebbe avuto una durata molto breve e le sue carenze si sarebbero già manifestate alle mia attenzione, bensì si tratta di un risultato che ho raggiunto a seguito dell’iter che ho sintetizzato parzialmente in queste righe. Sebbene io sia sereno ciò non vuol dire che dove io metta piede nascano le margherite né tantomento ciò significa che la mia serenità corrisponda a un atteggiamento accondiscendente e buonista nei confronti del mio prossimo. Mi sento bene quando sono calmo e mi sento allo stesso modo quando gli eventi mi portano a incazzarmi, ma in quest’ultimo caso sembra che la mia serenità sparisca temporaneamente perché in tali circostanze non si palesa all’esterno. Credo che alcune persone non riescano a comprendere che il concetto di serenità non è soltanto quello che loro hanno in mente e forse ignorano che ne esistano altre varianti, perciò non mi stupisco che ogni equilibrio interiore possa essere messo in discussione dalle parole e fortunatamente so che su qualsiasi espressione autentica della personalità non può incidere verbo alcuno. Non riesco a capire come taluni pretendano d’insegnare a qualcun altro ciò che quest’ultimo può apprendere soltanto da se stesso. Io ammiro le persone che costruiscono da sole ciò da cui poi vengono animate e sono consapevole della loro esistenza anche se non sono in grado di riconoscerle, perciò a costoro tributo la mia stima. Penso che la vita sia stupenda e la mia affermazione non ha bisogno di soddisfare l’esigenza naif che secondo taluni dovrebbe legittimarla. Non è facile sentirsi completamente appagati e l’indole umana cerca sempre qualcosa di nuovo per fuggire dall’ombra della morte, ma io non voglio nulla di ciò ed è per questo motivo che riesco a muovermi nel vuoto con la familiarità con cui certi mammiferi attraversano gli oceani.
Ogni tanto la collera e le esternazioni irose consentono alla mia serenità di assumere un aspetto umano, ma le controversie che mi riguardano e il modo in cui le affronto sono cose di poco conto alle quali riservo l’attenzione che reputo opportuna. Non desidero nulla in modo smodato perché mi sento piuttosto appagato. Negli ultimi anni alcune necessità apparenti sono cadute dai rami dei miei bisogni e il loro impatto con il suolo non ha prodotto rumore. Le mie parole non contengono nulla di esoterico e sono tanto distanti da ogni forma di spiritualità quanto lo sono io. Sento una gioia profonda dentro di me, tuttavia non sono in grado di descriverla adeguatamente. Il mio presente è immerso nel vuoto, ma quest’ultimo non è una fonte di tristezza ed è fondamentale che io spenda qualche parola per contenere la portata di ogni fraintendimento futuro. Le mancanze affettive, la nostalgia per un passato apparentemente migliore, l’assenza di un riferimento e il pensiero ricorrente della morte sono alcune parti del vuoto a cui mi riferisco, ma credo che queste condizioni non siano necessariamente le fondamenta dell’infelicità e vedo in loro lo stesso potenziale che spesso è più facile riscontrare nelle rispettive controparti. Se la mia vita fosse stata radicalmente diversa forse non avrei visto alcune cose e con questo non oso affermare che certe prospettive possano essere raggiunte soltanto attraverso l’isolamento, ma io probabilmente non ci sarei riuscito in un’altra maniera e sostengo questa ipotesi sulla base di quanto conosco della mia persona. La mia indole non mi consente di accontentarmi e in parte ne sono felice, ma la mia soddisfazione ha già raggiunto un grado elevato e mi sforzo di preservarla invece di arricchirla secondo i ritmi parossistici che sono richiesti dal lato più ingenuo della mia interiorità. Conosco buona parte dei meccanismi che regolano il mio comportamento grazie una gavetta intensa, tuttavia mi rendo conto che una conoscenza di questo tipo possa essere riconosciuta soltanto da chi la consegue e la esercita poiché neanche quest’ultimo è sempre in grado di certificarla con tutti i crismi di una introspezione imparziale.
Riservo lo stesso trattamento a tutte le parole e per questo motivo credo che la mia indifferenza sia democratica. Cerco di rispettare il vuoto nel quale mi trovo a mio agio e rimprovero ogni parte di me che tenti di riempirlo per viziare il mio Ego. Ripudio ogni reputazione che abbia il compito inderogabile di presentarmi agli occhi degli estranei con troppa benevolenza o con demeriti eccessivi, ma salvaguardo ciò che essa nasconde sotto le sue sembianze deformi. Appartengo alla società umana e non la rinnego mai, tuttavia mi tengo a debita distanza da alcune delle sue espressioni e di tanto in tanto presenzio al suo interno per non assentarmi completamente dalla realtà che mi circonda. Scarico la mia frenesia comunicativa nella scrittura e nei monologhi impercettibili che recito a me stesso senza preavviso. Non mi curo dell’opinione altrui perché essa non può curarmi dai mali che dipendono dai miei moti interiori, ma non commetto mai l’errore di considerarmi al di sopra di tutto ciò che non mi interessa e agisco in questo modo per tutelarmi contro gli errori del mio giudizio invece di farlo per nutrire una modestia narcisistica. Talvolta sono sgarbato e irruento, ma penso che sarei molto più sgradevole se accettassi di partecipare a certi eventi per salvaguardare la mia affabilità apparente. Sono consapevole delle impressioni erronee che possono emergere dalle mie scelte e dalle azioni con cui le confermo, ma non mi preoccupo della forma quando quest’ultima non sia conciliabile con il contenuto. I miei atteggiamenti non sono snobistici e altezzosi, ma capisco che possano essere percepiti in questo modo e sono indulgente con gli effetti che vengono prodotti da queste sensazioni erronee. Non voglio che qualcuno cerchi di comprendermi per fraintendermi, ma sono io che ho bisogno di approfondire ulteriormente la conoscenza di me stesso per invalidare qualsiasi spiegazione fallace che provenga dalle mie valutazioni sbagliate o da quelle di chiunque si ritrovi a relazionarsi con me.
La solitudine è una compagna fedele e un’insegnante impeccabile, ma credo che per apprendere le sue lezioni sia indispensabile accettare il metodo con cui ella le impartisce. Chi è estraneo a una certa parte della società tende a stigmatizzare quest’ultima per rafforzare le sue convinzioni, ma io ritengo che una condotta simile provochi semplicemente una perdita di tempo e penso che sia più importante utilizzare i giudizi personali per esaminare le matrici da cui derivano le proprie azioni. Talvolta anch’io mi lascio trascinare dal piacere di una critica inutile e aspra verso questioni che catalizzano il mio interesse soltanto per la facilità con la quale si prestano a un giudizio negativo, ma quando mi rendo conto di questo inganno provvedo a rimproverare la mia ingenuità e taccio. Credo che una stroncatura gratuita sia una catarsi controproducente e la reputo una conseguenza comune nell’ambito di un egocentrismo sterile. È difficile sottrarsi alle inezie quotidiane per elevarsi sul piano aulico del vuoto esistenziale ed è altrettanto arduo rivendicare la propria libertà attraverso il ricorso paradossale ad alcune rinunce, ma io non conosco un’altra via per resistere a quanto si oppone alla bellezza nella sua accezione più profonda e non nego che gli ostacoli ripetitivi di questa impresa mettano a dura prova la sopportazione umana. Suppongo che non sia fondamentale un abbandono radicale del mondo per guardare negli occhi la precarietà della propria vita e iniziare ad amarla in un modo diverso dai dettami ordinari, ma credo che questo fine meraviglioso debba essere perseguito in seno alla società in modo tale che risalti maggiormente ai propri occhi e segua un percorso più formativo quanto possa essere uno scenario bucolico. Non ho mai smesso di pensare che la cultura sia accessoria e vanagloriosa sebbene io tenti di accrescerla per esercitare la mia volontà: lodo ogni azione silente che porti a termine i compiti dell’introspezione. Non intendo sposare una causa diversa da quella che mi impegna nella salvaguardia e nel progresso della padronanza di me, ma allo stesso tempo non la considero il centro della mia esistenza per evitare che assuma delle dimensioni spropositate ed è per questo motivo che le dedico soltanto una parte delle mie energie.
La distorsione condiscendente del garantismo produce conseguenze lassiste ed è il principio sul quale si fondano le convinzioni tracotanti di alcuni individui. Non voglio portare le mie parole sui binari della legislazione né intendo appuntare qualche critica grossolana verso l’amministrazione della giustizia, ma desidero convogliare questo breve scritto in un contesto completamente diverso. La coerenza assomiglia a un hobby di nicchia e sebbene sia poco praticata molte persone pretendono di scorgerla nei loro simili, ma questa esigenza opportunistica è in primis un atto incoerente e dimostra la faziosità disarmante di un metro di giudizio che a mio avviso può ritorcersi contro chiunque lo adoperi. A mio avviso, un ladro che pretenda di non essere derubato non è un soggetto divertente, bensì uno stupido ottuso che può fornire parecchio materiale per il suo dileggio. Ai miei occhi chiunque sia fedifrago ed esiga di non essere tradito non appare come un individuo pretenzioso, bensì lo ritengo un imbecille che è destinato a soggiornare nella capitale della frustrazione. Non riesco a provare comprensione per un insegnante che sia annoiato dalla sua materia e che allo stesso tempo pretenda un impegno spasmodico dai suoi studenti, ma lo considero un coglione nocivo e lo reputo adatto a diventare il testimonial negativo per il cancro sociale contro cui l’oncologia non può fare nulla. C’è una citazione che si presta bene alle mie parole, ma non ne ricordo l’autore: “La seconda chance viene data sempre alle persone sbagliate”. Trovo che alcuni errori non siano tali, ma sospetto che abbiano l’essenza di un gesto deliberato e credo che avvengano grazie alle rassicurazioni permissivistiche di qualche individuo ingenuo o negligente. La certezza della pena non è salda quanto la certezza di una seconda possibilità e di conseguenza la sua debolezza incentiva certe condotte menzognere: mi riferisco ancora a dei contesti introspettivi e interpersonali nonostante le mie ultime parole possano essere ricondotte a questioni forensi. Sono un fautore della tolleranza zero nei miei rapporti e al contempo credo che occorra un po’ di elasticità, perciò non escludo alcune eccezioni a patto che non stabiliscano le regole né diventino tali. Di tanto in tanto mi processo e sono lieto quando riesco a prosciogliere me stesso dalle mie accuse. Talvolta ho dovuto fare i conti con i miei giudizi e non mi sono limitato a passeggiare tra i banchi della mia introspezione, ma ho cercato di assolvere i compiti dell’ubiquità morale per essere al tempo stesso e nello stesso luogo l’imputato, il giudice, l’accusatore e il difensore del mio processo di vita.
Ogni tanto i giorni si dileguano insensatamente attraverso gli spiazzi della quotidianità e in quei momenti ho l’impressione che il tempo scivoli dalle mie mani, ma la visione ipotetica del futuro non riesce ad alterare il controllo che esercito sulla mia vita e per questo motivo, nell’arco delle ventiquattr’ore giornaliere, non mi limito a respirare. Non voglio lezioni di storia da qualcuno che non sia in grado di scrivere la propria e mi basta una parola per riassumere quanto ho appreso finora: “Silenzio”. La mia età è friabile, ma io sono ancora intatto e durante la notte mi rinsaldo con la fiamma dell’elucubrazione. Non sono esente dai desideri complementari e rifiuto l’immunità emotiva perché non voglio disumanizzarmi, ma per questa presa di posizione ricevo innumerevoli sferzate dall’assenza passionale e ne mostro i segni senza imbarazzo perché ritengo che l’omertà interiore possa creare una connivenza pericolosa con la frustrazione. La mia serenità affonda le radici nella sua antitesi, ma non è inquinata dal malessere ed è attraversata da una linfa benevola grazie alla quale riesce a ramificarsi nella consapevolezza delle mie azioni. La giovinezza mi lancia regolarmente un ultimatum fasullo, ma il suo bluff non può convincermi e inoltre lo trovo ridicolo. Non relego i miei pensieri su me stesso e talvolta plano platonicamente sopra un continente indigente per rammentare alle mie idee che altrove il sole e l’acqua non sono semplicemente allegorici, ma i miei voli pindarici non avvengono sulle ali del pietismo e non rasento mai le utopie. Cerco stimoli edificanti dove non cresce nulla e brandisco la mia indole per difendermi dal surplus della pochezza.
Ogni tanto passo in rassegna i miei limiti e mi soffermo sui più buffi. Non sono in grado di guidare decentemente con il cambio manuale, ma probabilmente avrei imparato a utilizzarlo e avrei fatto a meno del cambio automatico se avessi avuto a disposizione soltanto una UAZ dell’Armata Rossa. Suppongo che alcuni limiti siano destinati a rimanere tali laddove non siano compiuti degli sforzi per sradicarli, ma le risorse di un individuo non sono infinite e per questo motivo occorre stilare delle priorità per impiegare proficuamente i propri mezzi. Nel mio caso la guida non è una questione precipua perché ho la possibilità di aggirare il mio limite automobilistico tramite la tecnologia e difatti la mia auto corrisponde alle mie esigenze, ma non mi posso avvalere dello stesso mezzo per lavorare sul mio equilibrio interiore ed è per questo motivo che incentro le mie energie su quest’ultimo. Il mio esempio personale è uno strumento semplice che mi consente di introdurre una conclusione della stessa natura. Per un fumatore accanito il ricorso al tabacco può equivalere all’uso ch’io faccio del cambio automatico sebbene sia abbastanza prevedibile che le conseguenze siano destinate a essere diverse: io non gareggerò mai nel campionato Nascar mentre lui probabilmente competerà con un carcinoma polmonare. Quest’ultimo esempio può sembrare un po’ comico e azzardato qualora non sia contestualizzato, perciò deve essere accompagnato al metro di giudizio che è adottato da alcune categorie di persone secondo le quali il vizio del fumo è meno risibile dell’uso del cambio automatico. Ho preso in esame due limiti che possono essere facilmente sostituiti da altri che abbiano una relazione analoga. In sostanza il vizio del fumo rappresenta un limite poiché il fumatore non riesce a gestire il suo nervosismo e si affida alla nicotina come io delego alla tecnologia il compito di gestire le marce della mia auto. Quanto ho esposto finora non è un mero paragone tra gli elementi che ho addotto per esemplificare il mio pensiero, altrimenti sarei caduto nel ridicolo da qualche riga, ma si tratta di una semplice considerazione con la quale ho voluto rimarcare la matrice comune di due condotte apparentemente diverse e ho cercato di sottolinearne la discrepanza valutativa al fine di ricordarmi che i limiti sono soggetti alla politica della volontà.