Anni fa mi denigravo giustamente. Se non avessi insultato me stesso non sarei mai riuscito a svegliarmi dall’apatia. Non ho mai trovato un maestro né qualcosa che potesse guidarmi, sennò avrei risparmiato un po’ di tempo. Ho sempre ricevuto esempi negativi che fortunatamente sono stati ottenebrati dalla mia lungimiranza. Anche quando ero sfiduciato e versavo nella mestizia in me sopiva la forza interiore che ancor oggi mi permette di camminare a mezzo metro di altezza. Potrei essere invulnerabile emotivamente, ma se assecondassi questa tentazione arrogante e arida dimostrerei soltanto una forma di debolezza meno palese, invece sono ancora disposto ad abbassare ogni difesa qualora delle circostanze eccezionali lo richiedano e proprio in questa capacità venata di consapevolezza io intravedo la parte migliore di me: non sono affatto freddo.
Il mio approccio ai sentimenti non è passionale né razionale, ma è dettato dall’unione di Psiche ed Eros alla luce del sole e non tramite incontri al buio come nell’opera di Apuelio o nelle usanze pulsionali delle decadi più recenti.
Il tempo non mi inganna più benché io qualche volta riesca a buggerare lui. Sono giovane, però comincio a rischiare di non vivere alcun trasporto emotivo e non mi faccio fregare da un timore che dovrebbe sorgere in me: fanculo, io lascio che divori le energie di qualcun altro. Il futuro è in divenire per definizione e così come non lo metto nelle mani di una cartomante, non lo depongo neanche sulle paure millantatrici che tra l’altro non trovano spazio nella mia lettura della realtà. Nei paraggi della mia persona, dalle anime in pena si levano cassandre esagerate e previsioni cupe, pare inoltre che per costoro ogni passo avanti debba essere seguito da un salto indietro. Mi disgusta questo leitmotiv depressivo e tendo a non dare fiducia a chiunque non l’abbia in sé. Spesso avverto grandi reticenze, sovente più assordanti delle verità che nascondono. L’onestà nei confronti altrui è auspicabile per vivere bene, però credo che quella verso sé stessi diventi addirittura imprescindibile per sventare certi disastri. Proroghe continue, rinvii ingiustificati e vari ricorsi a impegni abituali possono ritardare molto l’incontro di un individuo con i limiti a cui prima o poi dovrà dare udienza. Un tumore che viene lasciato ingrandire, un nemico a cui si concede il tempo di rinforzarsi: a terribili infermità porta la ferma decisione di lasciare altrettanto ferme le questioni insolute a livello interiore. Non critico la società poiché è troppo eterogenea per prestare il fianco a dei giudizi attendibili, però cerco di comprenderne una parte per non farmi contagiare dalla cecità volontaria. Lo ripeto per l’ennesima volta: io non pretendo di cambiare il mondo, d’altronde sarebbe un moto infantile di romanticismo, ma compio gli sforzi intellettuali e fisici per evitare che accada l’esatto contrario. Insomma, i conflitti intestini hanno ripercussioni sull’esterno e prima di puntare il dito contro gli altri forse un individuo dovrebbe domandarsi se non sia stato lui per primo a commettere l’errore di avvicinarsi a persone incompatibili. Talvolta l’incompatibilità è del tutto artificiale e viene evocata per negare qualsiasi valenza ad un’affinità che oltre alla gioia porterebbe anche la necessità di un confronto personale in uno dei soggetti interessati. Credo che nei veri inetti la felicità sia subordinata alla sopravvivenza di determinate istanze psichiche malgrado la parvenza di normalità e d’integrazione sociale che può risultare da un’attività febbrile in più campi o dalla semplice ripetizione di una routine cristallizzata.
Nei mezzi d’informazione forse la questione dei suicidi non viene affrontata spesso per evitare un aumento del tasso di mortalità, ma non sono rari i casi in cui una mancanza di insight porta alla morte come se si trattasse di una carenza organica. Forse una morte vivente insorge anche in coloro che si adattano alla tristezza e dunque l’adattamento a livello personale non rientra nei principi della selezione naturale perché quest’ultima, secondo me e limitatamente al campo emotivo, si spinge al di là di quanto è stato teorizzato per la sopravvivenza. Non compatisco chi decide di togliersi la vita sebbene per questa regola io preveda doverose eccezioni, contenute nel numero e mai nelle circostanze. Il suicidio fisico e quello emozionale per me rappresentano le lezioni più convincenti della natura per quanto riguarda la salvaguardia di sé stessi.
Quandunque il Sé si trasmetta in differita
Pubblicato giovedì 21 Ottobre 2010 alle 00:14 da FrancescoNel migliore dei casi resterò a questo mondo per altri settant’anni, ma non ho progetti né idee con cui costipare l’avvenire e continuo a non provare il bisogno di crearmi un’identità precisa per ricavare dal tempo a mia disposizione i germogli dei ricordi futuri. Ancora una volta mi permetto di ospitare una citazione di Emil Cioran sebbene non abbia ancora l’età per poterla condividere pienamente: “Quello che so a sessant’anni lo sapevo altrettanto bene a venti. Quarant’anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica…”.
Sono in grado di camminare da solo e posso orientarmi tanto con le scelte ponderate quanto con i colpi di testa benché io non sappia replicare le prodezze di Oliver Bierhoff. Provo una certa insofferenza nei confronti di chiunque non possa guardare dentro di sé o non voglia farlo per timore delle possibili conseguenze, tuttavia riesco a tenermi lontano da individui del genere e adopero paratie di silenzio o d’indifferenza per non deviare troppo l’attenzione da me stesso. Vivo in una democrazia immatura e sono circondato da persone insicure, però, dando un rapido sguardo alla storia e ammettendo che quest’ultima riporti la verità, non posso certo lamentarmi più di tanto del tempo in cui vivo e invero non ne ho motivo alcuno, almeno per quanto riguarda direttamente la mia esistenza. Sono una comparsa, felice di non essere papabile per il martirio. Io seguo l’andamento dei giorni e non ho grandi critiche da muovere a chicchessia. Credo che il bene si affermi da sé e si sviluppi al di là delle intenzioni più feconde.
La mia condotta non è improntata al diniego e alla derisione dei giudizi altrui, ma si premura di limitare le coercizioni più o meno percepibili che possono essere dettate da alcune circostanze. Talvolta appaio sgradevole e sgarbato, ma tali apparenze secondo me costituiscono un prezzo accettabile da pagare per non snaturarmi eccessivamente in un ambiente che pullula di indoli diametralmente opposte alle mia. Non m’illudo d’essere sempre autentico e talvolta, anche a distanza di anni, noto a posteriori l’artificiosità inconsapevole di certe azioni o di determinati ragionamenti. La falsità non si annida soltanto nelle debolezze altrui e non la tratto mai come un corpo estraneo, ma cerco anzitutto di prevenirla in me e non riesco sempre a scongiurare il suo ingresso furtivo nelle espressioni della mia personalità. Non provo sensi di colpa su questo punto poiché si tratta di episodi che sfuggono alla mia coscienza, tuttavia rinnovo a me stesso l’invito a compiere maggiori sforzi per ridurre ulteriormente questa enclave della stupidità.
Introspezione retrospettiva: terza parte
Pubblicato venerdì 27 Agosto 2010 alle 06:08 da FrancescoTra la prepubertà e la tarda adolescenza ho custodito regolarmente delle fantasie affettive in relazione all’altro sesso. A letto, prima di addormentarmi, assumevo spesso una posizione fetale e solevo cingere uno dei miei due cuscini per ricreare dei momenti d’intima dolcezza. Tutto ciò avveniva in modo spontaneo e mi faceva sentire bene, in particolare di domenica, quando alla possibilità di dormire più del solito si aggiungevano gli effetti di quella simulazione sentimentale. Non escludo che a quel tempo l’assenza di rapporti con le mie coetanee, oltre alla timidezza coeva, sia dipesa in minima parte anche dalla mia disponibilità a farmi bastare quelle fantasticherie notturne per soddisfare le mie esigenze emotive. Alla luce dei particolari anzidetti mi permetto di suppore che già allora in me fosse nascente l’attuale concezione dell’amore, seppur in una forma ancora grezza. Probabilmente le mie prime conclusioni sono state ideate attraverso gli sbagli altrui che ero abituato a ricavare in modo naturale dai discorsi degli adulti, durante quei pranzi e quelle cene in cui venivano consumati piatti abbondanti e sistemi nervosi. Senza saperlo io giocavo con le contraddizioni che udivo, giustapponendole e incastrandole come dei mattoncini colorati fino al punto di ottenere delle costruzioni rivelatrici.
Da adolescente non mi sono mai esposto ai pericoli dei rifiuti, però ho accolto le attenzioni di alcune ragazze curiose e sulla scorta di cotanta superficialità si sono originate delle infatuazioni platoniche piuttosto ridicole da cui ho comunque saputo trarre qualche insegnamento.
Ricordo una certa pudicizia nelle mie prime fantasie amorose che io faccio risalire all’età di dieci anni. Ricordo che allora l’idea di un bacio mi catapultava in un imbarazzo tremendo e quasi non riuscivo a concepirla. Provavo una sensazione analoga ogniqualvolta appoggiassi la mano destra sulla zona vuota di un banco scolastico: mi sembrava di mettere il palmo sulla parte superiore di una coscia. Non sono mai riuscito a risalire fino all’origine di questo turbamento, ma credo che abbia evidenziato una dissonanza tra la totale estraneità all’erotismo e le prime masturbazioni, in concomitanza delle quali è poi sparito del tutto.
La mia fantasia nell’arco di tempo in esame si è divisa tra la pornografia e il desiderio profondo di avere una relazione: in seguito questi livelli della mia immaginazione si sono sovrapposti per conformarsi all’idea idilliaca di un legame completo. Se in questa fase delicata del mio sviluppo io avessi avuto una relazione sentimentale forse la mia mente si sarebbe impigrita e avrebbe compromesso o almeno reso più difficoltoso il mio percorso introspettivo. Quest’ultimo dettaglio non è nuovo, però mi piace riproporlo di tanto in tanto poiché lo considero come l’aneddoto di qualcuno che abbia scampato un pericolo enorme.
Anche grazie a questo iter tortuoso sono giunto a un livello di autocoscienza che reputo buono. Il processo di cambiamento è stato così veloce in me che ha doppiato la vecchia identità, ma a uno sguardo estraneo potrebbe sembrare che quest’ultima sia ancora in testa, anche in senso letterale. Un mutamento graduale e costruito sarebbe stato possibile da parte mia, ma avrebbe snaturato completamente la mia personalità per adeguarla a maggiori occasioni sul piano delle relazioni umane. La mia introspezione ha escluso l’evenienza dell’anaffettività nel mio carattere e per me già questo particolare è un motivo di contentezza abnorme, ma forse se me lo facessi bastare mi ridurrei ad ammodernare l’errore che fu proprio della mia pubescenza. È un segno di salute psichica la mia voglia d’amare ed è un capolavoro dell’autoanalisi la mia capacità di non sentirmi frustrato né amareggiato per l’attuale impossibilità di farlo, ma su questo punto non intendo spendere altre parole poiché in più occasioni ho incensato giustamente il mio stato d’animo e, per quanto sia stupefacente, a ‘na certa pure io mi rompo i coglioni di elogiarlo.
Ho ritrovato alcuni appunti di sette anni fa, precedenti persino all’apertura di questo schedario introspettivo. Il mio stile stentava a trovare la propria identità e anch’io ero impegnato in una ricerca analoga. All’epoca non mi sentivo ancora a mio agio con la solitudine e attraverso una scrittura approssimativa tentavo di esprimere il mio malessere con un sussiego che oggi trovo tremendamente ilare. I falsi problemi di un tempo adesso mi sembrano sciocchezze, tutt’al più eleggibili come oggetti di scherno per dileggiare il tono profondo che la mia personalità passata cercava insistentemente d’instillarsi con lambiccamenti mediocri e inconcludenti.
Se io fossi in grado di tornare indietro nel tempo, probabilmente prenderei a schiaffi il mio clone diciannovenne e gli fregherei pure i risparmi: puah, figlio di puttana. Per fortuna ho aggiustato il tiro e non mi sono intestardito a sparare cazzate, altrimenti starei ancora ad adulare qualche forma di vittimismo mascherato. Sono umano, almeno per il momento, perciò accetto gli errori del passato e mi godo le conquiste del presente. Non mi piace scordare gli stronzi che si sono avvicendati in me prima di me e ci tengo a rammentare la loro stupidità per evitare di riportarla in auge senza volerlo.
Ogni tanto in alcune persone, più giovani o più vecchie, rivedo l’ottusità e la superficialità che ho avuto modo di esperire a spese del mio tempo e ogni volta, dinanzi a tali apparizioni, mi sento molto fortunato. La cretineria per me è stata una grande scuola, ma non provo nostalgia e non intendo frequentarla nuovamente: al massimo posso accettare qualche corso d’aggiornamento, ma nulla di più, santi numi! Credo che l’imperfezione umana si presti sempre a qualche limatura e di conseguenza non mi considero a un tiro di schioppo dalla perfezione, ma almeno non sento il fiato sul collo di una parte di me che di me aveva soltanto le sembianze. Ancora una volta mi vedo costretto ad allegare una citazione di Franco Battiato e Manlio Sgalambro: “Quando non coincide più l’immagine che hai di te con quello che realmente sei, incominci a detestare i processi meccanici e i tuoi comportamenti, e poi le pene che sorpassano la gioia di vivere, coi dispiaceri che ci porta l’esistente, ti viene voglia di cercare spazi sconosciuti per allenare la tua mente a nuovi stati di coscienza”. Accidenti, tutto quadra e non ho neanche bisogno di misurare i lati per esserne sicuro.
In questo periodo non ho granché da annotare e con il passare del tempo mi sembra che io abbia sempre meno da scrivere, ma trovo che la sporadicità dei miei appunti sia un fenomeno normale. La mia mente non è sterile, ma non riesce a partorire idee e preferisce godere dei suoi interminabili momenti di serenità. Non ho mai scritto qualcosa di monumentale perché non ho mai giaciuto in una tristezza abissale e dunque non ho mai potuto raggiungere quelle profondità del dolore dalle quali è possibile estrarre concetti di rara bellezza; taluni sono stati trascinati in una ricerca simile senza volerlo e sono rimasti sepolti sotto il peso delle loro scoperte come accade ancor oggi a certi minatori asiatici per un compenso di gran lunga inferiore. Durante le fasi più concitate della mia introspezione mi sono spinto fino a dove ho dovuto, ma non ho mai provato a oltrepassare certi limiti perché per farlo avrei dovuto procurarmi volontariamente del male, ma la mia indole tende verso il bene e per fortuna non sono in grado di arrecare danno a me stesso in maniera intenzionale. Non ho grandi eventi da celebrare né mi fronteggiano chiome che io possa incoronare, ma al cospetto di ogni giorno io provo una sorta di esaltazione per il solo fatto di vivere e questa sensazione non è figlia di alcuna struttura dogmatica. Io non sono in grado di spiegare ciò che alimenta positivamente il mio umore, ma è qualcosa di autentico che sfugge alle parole e che a mio avviso non può scaturire direttamente da nessun indottrinamento. Forse dovrei ricorrere a due termini filosofici per dare una vaga idea di ciò che intendo e con l’accostamento del cinismo filosofico allo stoicismo potrei lasciare un indizio a questo riguardo, tuttavia quest’ultimo risulterebbe tale persino per la mia capacità descrittiva data la natura sfuggente della sensazione stupenda che mi accompagna da un po’ di tempo e che ho fatto oggetto di esame per l’ennesima volta. Se io leggessi queste parole con gli occhi di un estraneo non potrei fare altro che schernirle. Ciò che ho scritto finora risulta vago e approssimativo persino per me, ma il carattere indeterminato di questo appunto non dipende affatto dalla mancanza di conoscenza dell’argomento in questione ed è soltanto la conseguenza della difficoltà di spostare una sensazione da un piano ineffabile a un piano intelligibile. Pazienza.
Premesse de “La Masturbazione Salvifica”
Pubblicato lunedì 26 Gennaio 2009 alle 15:42 da FrancescoFinalmente ho deciso di dare una forma cartacea e digitale a una cosa che ho scritto un po’ di tempo fa: “La Masturbazione Salvifica: Diario Agiografico Di Un Onanista”. Devo premettere che ormai il testo è datato poiché ha già espletato la sua funzione introspettiva, infatti si tratta di un caso di scrittura terapeutica che ho sfruttato per conoscermi meglio. Alcune parti del libro possono risultare imbarazzanti e io stesso le riterrei tali se avessi fallito miseramente il processo di introspezione. Sono uno scrittore mediocre e il mio stile è semplice, tuttavia non ho bisogno di grandi capacità letterarie per lavorare sulla mia interiorità con l’ausilio di penna e calamaio. Sono soddisfatto del risultato che ho conseguito e il carattere obsoleto del contenuto (lo ritengo tale perché dalla prima stesura a oggi il mio insight è aumentato ulteriormente) e la mia mediocrità umanistica non pregiudicano l’importanza che questo libercolo ha avuto per lo studio di me stesso, tuttavia è un aspetto positivo (forse è meglio definirlo “costruttivo”) che a mio avviso, malgrado le prodezze dell’idenfiticazione, non può essere fruibile da qualcun altro a causa del suo tratto intimista e personale. Devo riportare due dati tecnici per chiunque fosse tanto scriteriato da procurarsi una copia cartacea di quanto ho bistrattato presentato finora. Primo: il testo è giustificato e privo di rientri. Secondo: la numerazione delle pagine è interna, mentre di solito è centrata o esterna. Mi auguro che il testo sia scevro di refusi e spero che le mie riletture abbiano estirpato ogni errore. La copia cartacea può essere acquistata a questo indirizzo mentre l’e-book può essere scaricato da qui: le due versioni sono identiche. Sulla copertina sono riportati dei kanji che si pronunciano “dousatsuryoku”, ovvero “insight” in giapponese. Lascerò per un po’ questo appunto in primo piano per evitare di doverlo rivangare successivamente.
Talvolta ho la sensazione che la mia introspezione mi abbia lanciato velocemente verso alcune barriere personali e suppongo che la sua spinta vigorosa mi abbia permesso di superarle. Non temo il dolore interiore e plaudo ancora allo stato atarassico in cui versano beatamente i miei recessi. Nel corso della mia vita non ho mai subito sofferenze rilevanti, ma in passato le mie valutazioni erronee mi hanno indotto a ingigantire le conseguenze di alcuni episodi che rappresentano quasi delle tappe obbligatorie nella crescita di una persona. Sono ancora giovane e ho tutto il tempo per penare, ma non penso di dedicarmi a questa pratica masochistica poiché non rientra nella mia indole. Il mio benessere scaturisce dall’assenza di bisogni impellenti. Non mi serve denaro: spendo poco. Non ho bisogno di sesso: non mi attrae la carnalità senza il collante affettivo e liquido i miei impulsi sessuali con la masturbazione. Non mi occorre l’approvazione di terzi né un attestato di stima: produco personalmente queste suppellettili dell’Ego. Trovo banali le trasgressioni perché penso che possano essere ritenute tali soltanto da coloro che subiscono consciamente o meno l’influenza del retaggio cattolico o di qualche struttura dogmatica che presenti caratteri analoghi. Intendo dire che affinché una trasgressione sia tale, ci devono essere regole morali da infrangere e io ho sradicato tutto questo abbastanza precocemente. Non ho una forma di autorità contro la quale ribellarmi e non avverto la necessità di sovvertire qualcosa o qualcuno. Mi trovo in una condizione che non mi spinge a raggiungere i capisaldi dell’appagamento comune e ritengo che questo stato in alcuni individui possa celare una depressione profonda qualora abbia la convalida dell’apatia, ma io mi mantengo occupato e non sento pressioni né pesi. Se il mio umore fosse cupo io non riuscirei a svolgere alcuna attività fisica: posso fare un’affermazione di questo genere perché conosco le reazioni del mio corpo. Ho l’impressione che la mia verginità si stia trasformando in una sorta di atteggiamento asessuato e credo che questo possa essere un po’ pericoloso. Il mio desiderio di estraniarmi da me stesso per tutelarmi e conoscermi non deve minare le mie potenzialità affettive. Cerco sempre di guardare le mie azioni da due punti e svolgo questo compito in tre fasi. Prima provo a guardare i miei gesti come se non fossero miei, poi levo questa sorta di filtro imparziale (imparziale per quanto possibile, ovviamente) e infine mi osservo nuovamente da lontano come uno spettatore estraneo alle mie circostanze. Ormai tutto questo mi appare banale e in parte semplice poiché ho sviluppato una certa confidenza con me stesso. Non penso che le mancanze affettive possano compromettere la mia esistenza, ma devo ammettere che un tempo avevo paura che l’assenza di certe sensazioni potesse farmi diventare un handicappato sentimentale. Mi rendo conto che posso apparire freddo e distaccato, tuttavia ho un lato passionale che non emerge mai poiché finora non ho mai avuto e non mi sono creato le occasioni per portarlo in superficie. Mi farebbe comodo nascondere certe cose se temessi i miei giudizi, ma trovo che il pubblico ludibrio (in cui io sono il pubblico che deride se stesso) sia un banco di prova fondamentale. Non voglio celare nulla. A me piace essere trasparente e non mi tiro mai indietro dai miei monologhi né dalle conversazioni. Non sono un esibizionista, infatti ho sempre mantenuto un comportamento discreto e un profilo basso. Non apprezzo coloro che cercano alleanze, attenzioni o stimoli, ma capisco che possano sentirne la necessità. Per me le premesse sono fondamentali e come ho già scritto altre volte mi disgusta qualunque rapporto personale che nasca dal bisogno: lo trovo innaturale. Alcuni organismi possono sviluppare una grande tolleranza nei confronti di determinate sostanze e credo che il mio carattere abbia seguito un percorso analogo, infatti riesce a tollerare l’assenza di alcune soddisfazioni che paiono indispensabili a un numero rilevante di persone. Il mio compito è mantenere l’equilibrio tra la grazia del mio benessere interiore e le mie potenzialità affettive e per adesso non ho difficoltà a bilanciare queste due entità. Non è facile adoperare le parole per spiegare a me stesso ciò che intendo, ma io posso comprenderlo ugualmente perché lo vivo. Alcune volte vorrei smettere di crogiolarmi nelle mie conquiste interiori, ma per redigere bollettini funesti dovrei trovare un po’ di disperazione autentica e dubito di poterla rimediare senza una macchina del tempo.
Non riesco a disfarmi della mia scrittura precaria, ma sono in grado di tollerarla. Il modo in cui mi esprimo verbalmente ha una parvenza anaffettiva e talvolta io stesso commetto l’errore di ritenermi un freddo calcolatore. In passato ho creduto che la linearità della mia voce fosse un retaggio dell’introversione pubescente, ma ho abbandonato presto questa ipotesi. Se fossi ancora introverso probabilmente non sarei sereno. Mi piace comunicare e un astrologo non faticherebbe a credermi, tuttavia non sono un individuo propositivo. Non faccio mai il primo passo per interagire con qualcun altro a meno che la casualità non mi metta nelle condizioni di farlo ed è per questo motivo che le mie conversazioni migliori sono avvenute con personaggi strambi in luoghi di transito. Sono abbastanza affabile, ma disprezzo le forzature espansive che vengono perpetrate da chiunque bistratti la solitudine e il silenzio. Non condivido la tratta delle parole che ingrassa le costrizioni relazionali. Per me la contingenza rappresenta una condizione indispensabile per ogni legame interpersonale che non abbia un fine burocratico o di carattere analogo. Amo le cose che esercitano un’azione positiva su di me e in particolare quelle che incontrano l’apprezzamento della mia lungimiranza. Le abitudini salutari del corpo e della mente non coincidono necessariamente con la comodità o la soddisfazione immediata, ma rivelano nel corso del tempo i loro effetti positivi e io le coltivo con piacere perché non vedo alternative valide. Qualcuno può temere l’isolamento e reputarlo terribile, ma io credo che sia un trampolino di lancio, una cazzo di Cape Canaveral da cui è possibile raggiungere punti molto elevati. Respingo a forza di bestemmie le forme impure di gentilezza e tengo a debita distanza coloro che reputo incompatibili. Non dissimulo mai il mio atteggiamento e anche per questo abuso della sincerità ho guadagnato molte antipatie che ancor oggi mi fanno sorridere.
La mia vita procede bene e il mio equilibrio è ancora intatto, ma prima o poi dovrò affrontare gli eventi ineluttabili del tempo. Non temo il futuro perché conosco alcune cose che mi attendono e mi sono già preparato ad accoglierle. In “La Masturbazione Salvifica: Diario Agiografico Di Un Onanista” ho effettuato qualche volo pindarico sull’avvenire e anche questo ha contribuito a suggellare l’efficacia del mio lavoro introspettivo. Penso che sia fondamentale comprendere la finitezza dell’uomo. Io non sono immortale. Invecchierò, mi ammalerò e lascerò questa valle di lacrime, ma spero che tutto questo avvenga molto tardi perché io amo esistere. È possibile che la mia dipartita venga anticipata da una malattia grave o da un incidente mortale, tuttavia anche in questo caso faccio un massaggio apotropaico ai coglioni e mi auguro che nulla di tutto questo mi accada per il solito motivo: la mia venerazione nei confronti della vita. C’è un’onda d’urto che mi attende nel futuro e si tratta della morte di mia madre. Quando ero un bambino temevo che la mia genitrice potesse defungere improvvisamente ed ero terrorizzato da questa evenienza perché pensavo che nessun altro si sarebbe occupato di me, inoltre alcune storie di cronaca nera che udivo allora contribuivano ad alimentare le mie paure fanciullesche. Ormai sono adulto e vaccinato, ma so che la morte di una madre può avere un impatto emotivo molto forte sui figli e le depressioni profonde di alcune persone mi hanno fornito prove sufficienti al riguardo. Ho forgiato bene alcuni tratti del mio carattere e l’isolamento mi ha permesso di capire che non c’è nulla di tragico nel corso naturale delle cose, ma voglio rinforzarmi ulteriormente e per questo motivo una delle mie prossime letture sarà: “Attaccamento e Perdita. La perdita della madre” di John Bowlby. Il libro in questione è il terzo di tre volumi di psicologia che affrontano il tema dell’attaccamento, della separazione e della perdita della madre. Anche per un profano come me questi testi risultano utili e ho avuto modo di sperimentarne l’efficacia quando ho deciso di cominciare ad articolare la mia introspezione. Fatta eccezione per mia madre, sono abituato a vivere senza legami affettivi e di conseguenza posso elaborare ogni lutto senza troppi problemi. Non vorrei sembrare distaccato e freddo, ma la mia scrittura è monogama e le parole sono puttane. Trovo paradossale e magnifico che la mia ignoranza sentimentale abbia accresciuto la mia consapevolezza esistenziale. Potrei supporre che la sofferenza acuisca la mente e devo ammettere che in alcuni casi condivido questa ipotesi, ma non ho mai subito grandi dolori finora e credo che l’andamento ripetitivo della mia vita sia stato un humus perfetto per la crescita spontanea di una serenità rigogliosa.
Mi sono reso conto che attualmente non ho granché da appuntare su queste pagine e ho deciso di lasciarle impolverare per un po’ di tempo. In questi anni la scrittura mi ha aiutato enormemente, ma ormai il suo aspetto terapeutico è terminato e io padroneggio la mia esistenza con maestria. Avrei voluto utilizzare queste pagine per archiviare alcune annotazioni delle mie letture, ma alla fine ho deciso di non lasciarmi dominare dall’attaccamento affettivo che provo nei confronti di questo spazio virtuale. Credo che il mio lavoro introspettivo abbia dei punti in comune con il fine antropologico di 7up. 7up è un programma televisivo che da diverse decadi segue la crescita di alcune persone e si sviluppa con delle interviste che avvengono ogni sette anni. Il programma sostiene che il futuro dei protagonisti sia determinato dalla loro estrazione sociale, ma questo assunto non mi interessa particolarmente e non lo condivido in pieno. Il mio carattere non è cambiato molto da quando ero un bambino e io mi sento sempre la stessa persona, ma è mutato radicalmente il modo in cui guardo me e le mie azioni. Mi sto allontanando dalla scrittura perché non ne ho più bisogno e non riesco a trarne lo stesso piacere di un tempo, invece la lettura mi aggrada ancora e probabilmente non l’abbandonerò mai. Credo che a suo modo la scrittura sia una forma di rumore e per adesso non ho più voglia di fare chiasso. Ho trovato un luogo ideale per vivere e trascorrerò il prossimo inverno e il resto della mia vita nella campagna che circonda il mio comune. Mi ricongiungerò per brevi periodi al caos cittadino quando deciderò di compiere un viaggio in qualche grande metropoli. La mia vita non è cambiata esteriormente e sono ancora un individuo che abbraccia con passione la propria solitudine, ma la consapevolezza che mi anima è la più grande risorsa di cui io abbia bisogno per campare felicemente. Queste pagine non sono soltanto un documento introspettivo, ma attestano una forma di felicità che è alla portata di chiunque e rappresentano un manifesto personale che non può essere intaccato dalle mie menzogne né da quelle di terze persone. Immagino che questa scelta faccia parte di un meccanismo ciclico, perciò in futuro mi aspetto di scrivere nuovamente con la costanza che mi ha contraddistinto in passato. Ho demolito buona parte del mio Ego e non mi resta che salire sulle sue rovine per respirare un’aria nuova. Non voglio nulla di particolare e continuo a sentirmi bene. Sono lontano da ciò che allontana dalla serenità e intendo accentuare la mia posizione eremitica. Adesso è il turno del silenzio, ma anche quest’ultimo avrà una fine.