Si avvicina il mio genetliaco e ne scrivo come se me ne fottesse qualcosa, ma in realtà questo incipit è una scusa per spiccare un volo pindarico. Negli ultimi sette giorni sono riuscito a correre cento chilometri, circostanza che non si verificava da marzo, e il mio assetto psicofisico ne ha tratto beneficio: mi sento in forma e la fluidità delle mie letture ad alta voce mi conferma come io abbia ritrovato un alto livello d’attenzione.
Le mie facoltà non sono in totale subordine all’attività fisica, ma è innegabile quanto le prime si avvantaggino con la seconda: la macchina biologica, o almeno la mia, funziona così. Uso me stesso per studiarmi, in una disciplina che più autoreferenziale e introspettiva non si può, quasi una ricerca dell’autoscopia in senso lato. Credo invero che l’analisi dei miei processi dica molto anche sulla realtà a cui nolente o volente io appartengo, però non mi spingo a ritenere le mie conclusioni pari a una scrupolosa ricerca compiuta con tutti i crismi del caso e d’altro canto nemmeno me ne frega un cazzo. Indagare le mie funzioni, le mie associazioni d’idee, risalire alle cause prime (o presunte tali) di certi pensieri, insomma vagliare buona parte della mia congerie mentale e biografica è una buona pratica a cui devo tanto (è un po’ come il debito pubblico nipponico che è detenuto in larga parte dai giapponesi).
Cosa voglio esprimere con quanto ho scritto finora? Nulla di particolare, è un po’ come se usassi le lettere a mo’ di coriandoli e me le gettassi addosso per celebrare l’usanza inveterata di guardare al mio interno. So come condizionarmi, almeno in parte, perciò ho il grosso vantaggio di non essere in completa balìa degli eventi, al di là che essi siano positivi o nefasti. Ogni tanto penso a me stesso e mi strappo un sorriso da solo. Bene, molto bene.
In costante tendenza verso l’autoscopia
Pubblicato domenica 14 Maggio 2023 alle 22:55 da FrancescoIntrospezione retrospettiva: prima parte
Pubblicato martedì 24 Agosto 2010 alle 04:14 da FrancescoNon ricordo esattamente quanti anni avessi il giorno in cui si verificò questo episodio, tuttavia frequentavo la scuola elementare e il mio rapporto con il buio notturno non era ancora sereno. Una mattina mi svegliai prima di mia madre e dopo averla guardata per un attimo mi diressi in cucina per prendere un coltello. Dopo qualche difficoltà dovuta all’altezza a cui erano riposte le posate, riuscii ad afferrarne una e tornai subito nella stanza. Mi fermai a più di mezzo metro dal letto di mia madre e stetti attento a non fare rumore. Probabilmente non trascorsero neanche trenta secondi prima che in me sopraggiungesse uno spavento enorme. Mi allontanai dalla camera e ritornai in cucina per mettere a posto il coltello, però durante l’azione non riuscii a liberarmi dalla paura che mi aveva assalito qualche secondo prima e gli effetti di quest’ultima echeggiarono per giorni nel mio cranietto ingenuo.
Una lettura superficiale di questo episodio potrebbe indurre qualcuno a credere erroneamente che io abbia provato a commettere un matricidio senza riuscirci, ma trovo che un’interpretazione del genere sia risibile. Dopo molti anni penso di essere giunto a una spiegazione plausibile per quella strana mattina. Quand’ero bambino temevo tremendamente di perdere mia madre poiché se lei fosse morta io sarei rimasto solo al mondo, perciò mi inquietava molto questa idea ricorrente che spesso mi tormentava prima d’addormentarmi.
Quella mattina cercai di simulare una situazione pericolosa per capire quali sarebbero state le mie reazioni a una morte prematura di mia madre. Lo spavento che mi colse subitamente evidenziò un attaccamento forte e un timore altrettanto grande. Il mio stazionamento con un coltello in mano davanti a lei dormiente riprodusse per un breve momento la possibilità della sua scomparsa e non necessariamente per mano di un’altra persona, ma anche a causa di una malattia o di un incidente. Non ho mai avuto rancori forti con la mia genitrice, neanche durante l’adolescenza, quando cominciarono a crescere dei conflitti che poi svanirono del tutto un po’ di tempo dopo, quando ormai io avevo già passato la maggiore età. Ho vinto da pochi anni la paura di affrontare ed elaborare la perdita di mia madre, come del resto, sempre da parte mia, sono piuttosto recenti i superamenti di altri timori che alcune vite ospitano per tutta loro durata. Voglio bene alla mia mamma, specialmente ora che il cordone ombelicale non può più essere utilizzato sul patibolo.