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Prospettive di espatrio o sindrome di Cassandra

Pubblicato domenica 29 Marzo 2020 alle 10:02 da Francesco

Se fossi degno di esigenze più alte e rarefatte mi limiterei a pregustare l’idea di un eremo nell’Hindu Kush in seno a una vita ancora più morigerata dell’attuale, ma i miei limiti interiori mi confinano in quella condizione che un certo linguaggio indica come propria del cosiddetto "uomo numero quattro".
Non amo l’umidità, ma posso imparare a conviverci più di quanto già non faccia. Ho alzato il mio personale livello di guardia a DEFCON 3.
Sto riflettendo seriamente sulla possibilità di espatriare a titolo definitivo in qualche angolo del sud-est asiatico o laddove le democrazie siano incompiute e malferme, quindi più efficienti di quella in cui risiedo e meno esose economicamente.
Devo valutare l’evoluzione di questo casino nell’arco dei prossimi diciotto mesi: mi concedo questa finestra di tempo per giungere a una decisione e scongiurare il pericolo che diventi tardiva.
Non ho alcuna fiducia nella capacità dell’Italia di farsi valere nella cloaca europea, perciò mi aspetto il peggiore degli scenari e le misure più nefaste, ma al contempo mi auguro che i fatti mi costringano a fare un bagno d’umiltà a ridosso dell’estate.
Non m’interessano i massimi sistemi, non gioco a fare il leguleio o lo statista perché non ne ho le competenze e non amo l’identificazione; m’interessa la mia situazione personale, ma quest’ultima sotto molti aspetti è legata a doppio filo al contesto in cui vivo.
L’abbandono dell’euro si prospetta rovinoso quanto il suo mantenimento in base alle pretese tedesche: come se ne esce? A me sembra che stia per partire il colpo di grazia sulla classe media. Un tempo diatribe del genere si risolvevano con gli sforzi bellici, ma il progresso ha escogitato metodi più raffinati per generare gli stessi carnai di Verdun.
Non sono un esterofilo e mi piace il posto in cui vivo, infatti vorrei trascorrerci una vita longeva, però non mi alletta l’idea di restarci ai limiti dell’indigenza.
Può darsi che alla fine le mie cogitazioni si dimostrino infondate, figlie irrequiete della sindrome di Cassandra, ma nel frattempo cerco di farmi una cultura sulle leggi e la pressione fiscale di alcuni paesi: primo tra questi sarà il Myanmar, già Birmania.
In parte mi entusiasma una prospettiva del genere perché mi fa tornare in mente un passaggio di "Nomadi" di Juri Camisasca che ho ascoltato spesso durante i miei viaggi solitari in Oriente: "Come uno straniero non sento legami di sentimento e me ne andrò dalle città, nell’attesa del risveglio".

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23
Gen

Ritorsione a domicilio

Pubblicato venerdì 23 Gennaio 2009 alle 19:49 da Francesco

Una sera invernale il signor Tommasini perse improvvisamente ogni motivo per vivere. Si trovava nell’abitazione che aveva acquistato quindici anni prima grazie a un mutuo trentennale, ma ormai non aveva più intenzione di onorare il suo impegno con la banca ed era in procinto di pagare un prezzo più alto per qualcosa di intangibile. La sua esistenza non era stata scossa da un avvenimento particolare, ma durante un pomeriggio assolato si era fermato a riflettere sulla sua vita e allo stesso tempo aveva finto di prestare attenzione ai progetti per le vacanze che un suo collega gli aveva esposto con entusiasmo; in quel momento di distensione apparente egli aveva iniziato ad approfondire la conoscenza dei suoi fantasmi. Il protagonista di questa breve storia era uno stronzo qualunque, uno di quei tipi che cercano una moglie insofferente per calarsi nei panni del martire sposato. Non era mai salito agli onori della cronaca e durante tutta la sua vita non aveva mai mostrato doti straordinarie in qualsivoglia campo, ma sfoggiava sempre banconote di grosso taglio quando voleva abbassare i pantaloni ai figli dei suoi vicini indigenti e le famiglie dei prostituti imberbi chiudevano sempre un occhio per aprire la mano a quel compenso torbido. Ormai anche le peggiori nefandezze non riuscivano più ad appagare la coscienza arida dell’uomo succitato. Il signor Tommasini si sentiva stanco e non riusciva più a placare i sensi di colpa che battevano forte contro le barriere omertose della sua interiorità, perciò era intenzionato a porre fine alla sua vita prima che il peso morale lo schiacciasse. La forza derivante dalla spinta suicida aveva indotto l’uomo a regolare i conti con alcune persone. Prima di togliersi la vita egli voleva uccidere coloro verso cui nutriva un odio profondo e ponderava la strage mentre affettava una mela davanti a un televisore spento. Non aveva bisogno di un’arma poiché possedeva già una pistola di piccolo calibro con la quale di tanto in tanto si dilettava a sparare presso un appezzamento di terra che uno zio gli aveva lasciato in eredità. La notte si era quasi esaurita nella sua oscurità e per il signor Tommasini stavano sorgendo le ultime luci. Nei piani dell’aspirante omicida era prevista una prima tappa a una scuola elementare in cui avrebbe ucciso i figli dei suoi nemici e poi si sarebbe introdotto negli uffici del comune per ferire i veri bersagli del suo risentimento e instillare traumi insanabili nelle loro menti. Costui sapeva bene come agire, ma aveva trascorso tutta la notte ad appuntare più volte le sue intenzioni sopra un vecchio quaderno a quadretti e ormai la punta della sua matita si era consumata come l’ultimo baluardo del suo raziocinio. Tutti i preparativi erano stati fatti e mancavano poche ore prima che un nuovo fatto di cronaca nera sconvolgesse per qualche giorno l’opinione pubblica e rimpinguasse i giornali. Tommasini uscì di casa con la pistola in tasca e la chiave dell’auto in mano, ma sul pianerottolo venne fermato da un giovane carabiniere dall’accento meridionale che gli chiese se si ricordasse di lui. Prima che Tommasini potesse rispondere il ragazzo del sud estrasse una nove millimetri che aveva sequestrato a un pregiudicato e sparò nell’orbita destra all’uomo che era andato a cercare. Il pubblico ufficiale gettò la pistola sul corpo esanime del suo obiettivo e poi si tolse il guanto in lattice con cui aveva impugnato l’arma, infine si voltò e uscì tranquillamente dal condominio come se non fosse accaduto nulla. Nelle settimane seguenti le indagini degli inquirenti non portarono a nulla e dopo alcuni anni il caso venne archiviato. Il carabiniere che aveva commesso l’omicidio era stato vittima degli abusi di Tommasini e senza saperlo, oltre a vendicarsi, aveva impedito che quest’ultimo compisse una strage, tuttavia era ugualmente in pace con sé stesso e quel gesto non gli pesava affatto.

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