Per un po’ di tempo ho valutato l’ipotesi d’iscrivermi all’università, ma alla fine ho deciso di non farmi un torto del genere. Gli atenei traboccano di autodidatti, ma pretendono un esborso di denaro e di tempo che è difficile ammortizzare in seguito. Col solo diploma e senza spintarelle, un mio coetaneo è arrivato a gestire il sistema informatico di un ospedale: ricordo ancora quando veniva a casa mia a smanettare con un vetusto Pentium. Un altro ragazzo di mia conoscenza invece possiede soltanto la licenza media, però ha coltivato la passione per l’informatica e per l’elettronica nella stanzetta di un palazzone e oggi fa valere il suo bagaglio di conoscenze in un lavoro che gli ha permesso di trasferirsi. Come ho sentito dire recentemente: “Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna”. Qualcheduno ritiene che la frequentazione dell’università debba formare la persona prima che lo studente, ma sono giunto all’amara conclusione che spesso serva esclusivamente ad alimentare il mercimonio di una cultura fine a se stessa: stipendi e nepotismo. Quand’ero bambino il leit motiv non cambiava mai: “Dovete studiare per trovare un buon lavoro”. Educatori birbanti. Mi sarei voluto laureare in psicologia per poi potermi iscrivere ad una scuola psicoanalitica, ma nel mio caso il gioco non vale la candela. Qualcun altro in merito all’università pone l’accento sulle possibilità di stringere nuove conoscenze, come se la parte didattica fosse soltanto la scusa per parcheggiarsi in un postribolo: diamine, con tutti gli sforzi per mantenercisi allora sarebbe meglio aprirne uno proprio! Non si porrebbe questione alcuna se io avessi uno spessore esagerato, tale da garantirmi l’accesso a degli atenei statunitensi.
Non mi butto giù, e ci mancherebbe altro, bensì prendo atto dei limiti altrui e in modo particolare dei miei: annoto i primi mentre sui secondi pianto la tenda provvisoria di un campo base per un’altra scalata. Non cerco d’interpretare in senso assoluto la questione formativa, non mi faccio querulo, ma compio scelte che abbiano come fine ultimo il mio bene: il resto sia quel che sia.