2
Mag

Tertium non datur

Pubblicato giovedì 2 Maggio 2024 alle 23:29 da Francesco

Il signor Macron lascia intendere che l’invio di truppe in Ucraina non sia da escludere qualora lo sfondamento russo continui: per me questi abbai transalpini sono al contempo grotteschi e pericolosi. Immagino che l’intervento diretto di un paese NATO in Ucraina implichi il probabile inizio della Terza guerra mondiale e, al cospetto d’un simile scenario, è lecito supporre la sciagurata necessità di ricorrere alla coscrizione; in altre parole, se vi fosse davvero un nuovo conflitto globale, l’insufficienza delle forze regolari si profilerebbe come circostanza nient’affatto remota. Per suo conto l’Italia ha asserito che non mobiliterà truppe, ma io tendo a non credere alle parole di un ministro, specialmente quando esprimano qualcosa di buonsenso.
La leva obbligatoria non è stata abolita, bensì sospesa, perciò ogni comune italiano ha una lista di coloro che in teoria possono essere coscritti: vige anche l’articolo cinquantadue della costituzione italiana secondo il quale, con tono roboante, “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Per me, ovviamente, sono tutte stronzate. Anzitutto non esiste più alcuna patria, ammesso poi che ve ne sia mai stata una: non è più l’inizio del Secolo breve, il multiculturalismo ha annacquato ogni vaga identità nazionale vi sia mai stata, inoltre non si respira più tutta quella voglia di crepare per un vago ideale di cui in realtà beneficiano soltanto le persone di potere. Io sono un potenziale disertore e di certo non andrei ad ammazzare qualcuno su ordine altrui, ma come me sono certo che molti altri non vogliano crepare per un’astrazione fattasi repubblica. L’Italia non si chiamerà così per sempre: cambiano i toponimi, le lingue parlate e scritte, gli usi e i costumi, i confini e la memoria storica: insomma, tutto.
Qualche mese fa, girovagando in una cittadina italiana, mi sono imbattuto nella targa che ho messo in calce a queste righe. Su quella lastra abbandonata si può leggere come siano stati stigmatizzati quegli italiani che durante la Prima guerra mondiale disertarono o passarono al nemico, come se fossero stati tenuti a crepare per i loro padroni di sempre. Prima si dà l’individuo con la sua libertà d’espansione, poi questo vi rinuncia in larga parte riunendosi in società e ottenendo in cambio un certo grado di sicurezza, ma quando il contratto sociale venga meno o non convenga più, allora il singolo torna allo stato di natura e alle leggi da cui esso è normato. Sic et simpliciter.

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11
Mar

Di ovvie ipocrisie ed evenienze belliche

Pubblicato venerdì 11 Marzo 2022 alle 21:48 da Francesco

L’auspicio della cosiddetta pace incontra il mio favore, ma ritengo quest’ultima come in perenne subordine all’interesse personale di chi la sostenga. Su un certo piano non v’è distinzione tra chi spera nella fine di un conflitto per salvaguardare le proprie abitudini, i propri averi, le proprie certezze e chi, invece, condivide la stessa aspettativa per avvicinare il mondo alla sua visione dello stesso: in altre parole a me sembra che certe esternazioni procedano quasi sempre da meccanismi di identificazione e appagamento sebbene questi siano celati a livello conscio dalla pavidità in un caso e dall’ideologia nell’altro.
La parvente empatia verso i popoli in lotta è proporzionale all’insistenza con la quale le notizie vengono diramate e alla portata con cui le disgrazie altrui gettano un’ombra minacciosa sul proprio ordine delle cose, infatti poco sconcerto, apprensione e interesse destano i conflitti che si svolgono a certe latitudini, quasi come se i primi definissero le seconde e fossero endemici a certi inferni terrestri. Non scrivo codeste cose per indicare con stucchevole retorica l’ipocrisia imperante, bensì come mio costume mi limito a sottolineare l’ovvio affinché resti tale nella mia mente e non assuma le illusorie sembianze di cui sopra.
La solidarietà ha una matrice adattiva ed è l’arma in più di chi non ne voglia altre, ma nell’essere umano albergano millenni di sopraffazione e la mutua distruzione è una tendenza di cui forse la specie non si libererà mai. Può darsi che in capo ad alcune settimane o nell’arco di qualche mese la guerra si espanda dalle ex repubbliche sovietiche fino al cuore dell’Europa: chi lo sa? A me non piace l’odore della morte e non amo le città coventrizzate, ma prima di tutto ho in orrore queste cose perché me ne sento minacciato e solo in un secondo (per quanto immediato) tempo per un senso di viva partecipazione alle sciagure dei miei simili: talora l’onestà è brutale. Non so come mi comporterei se mi ritrovassi a imbracciare un fucile per proteggermi, tuttavia ho paura di quello che potrei diventare per combattere e di quello con cui poi dovrei convivere se riuscissi a non farmi ammazzare.

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4
Mar

Voler vivere e voler morire

Pubblicato venerdì 4 Marzo 2022 alle 01:39 da Francesco

In questi tempi di facile sconforto ravviso un’idea predominante, la quale invero fa sempre da sfondo alle vicissitudini umane e ne costituisce l’orizzonte ultimo, perlomeno sotto la ristretta prospettiva biologica, ossia quello della morte.
In Ucraina esistenze innocenti vengono spezzate anzitempo dal braccio armato della politica estera e dalla tendenza alla sopraffazione che alberga negli uomini da sempre, benché in debite proporzioni e con rapportate capacità di nuocere: laggiù le persone non riescono a vivere; altrove, come in Italia, individui parimenti innocenti ma già consunti da malattie terminali o da condizioni simili, si vedono invece privati del diritto a una fine dignitosa.
Da una parte la vita non riesce ad affermarsi, perché la sua negazione più atroce per modi ed entità, ossia la belligeranza, si scatena e agisce anche contro coloro da cui è servita con riverenza; in astratta e speculare opposizione a questa inveterata circostanza, giacché la storia umana dimostra come i popoli abbiano eletto ad abitudine il reciproco annientamento, vi è l’impossibilità di morire per propria scelta, autodeterminandosi, per eludere sofferenze inutili.  
I due piani si possono sovrapporre solo idealmente, tuttavia risuona in me questo paradosso: chi vuole abbracciare la vita non può farlo in quanto vi viene strappato con forza, chi invece la vita la vuole salutare in un ultimo rito di somma libertà e catartico distacco, è costretto a protrarre il proprio dolore in ragione di questioni puramente formali, politiche, ideologiche, per le quali non vi è morfina che tenga. In buona sostanza ma in cattiva sorte, al di là di quali siano le dinamiche specifiche di queste due situazioni, ossia la guerra e l’opposizione all’eutanasia, la morte ne è il tema comune, il fil rouge che Atropo, la più anziana delle Parche, recide troppo presto o troppo tardi. Si muore, soleva affermare Heidegger per riferirsi al concetto di si impersonale, ma la fine altrui in realtà invita sempre a riflettere sulla propria.

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24
Feb

Ucraina: della forma e della sostanza

Pubblicato giovedì 24 Febbraio 2022 alle 21:51 da Francesco

L’inettitudine occidentale, il fallimento della diplomazia e la risibile prospettiva di sanzioni non hanno avuto effetto sulle grandi manovre della Russia, tuttavia credo che le responsabilità del conflitto in corso non siano ascrivibili soltanto a Mosca. Per quanto m’è dato di capire il casus belli è nato… a causa della NATO. Forse devo sostenere il contrario perché vivo in Italia ed è persino nei miei interessi farlo, ma l’onestà intellettuale m’impone di spingere ai limiti le mie capacità di comprensione: per fortuna quanto penso non conta un cazzo.
La Russia esigeva da tempo l’arresto dell’espansione NATO verso Oriente e pare che in tal senso avesse anche ricevuto degli impegni all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, ma poi l’Ucraina nella figura dei suoi alti papaveri ha cominciato ad alimentare ambizioni europeiste e a ventilare la possibilità di aderire all’atlantismo. Alla luce di queste circostanze e dei molteplici avvertimenti lanciati da russi, posso sostenere che l’Occidente a trazione statunitense e il governo ucraino siano del tutto esenti da colpe? Non me la sento, ma può darsi che io sbagli e nel mio ragionamento vi siano delle falle di cui non riesco ad avvedermi.
Ammesso che da un punto di vista formale l’azione russa (o, da cotale prospettiva, la reazione russa) possa avere un fondamento per quanto pretestuoso, basta quest’ultimo a giustificare morte e distruzione? Secondo me no e anche una sola vittima è una catastrofe immane, ma la realtà è più articolata delle descrizioni di cui può essere oggetto giacché al piano umano si sovrappone quello politico e l’irreversibile tragedia dei morti ammazzati finisce per diventare una fredda statistica. A complicare ulteriormente le cose vi è la volontà filorussa di una parte della popolazione ucraina e quindi dividere nettamente il bene dal male diviene opera improba.
Mi chiedo quante vite valga la vocazione europeista di una ex repubblica sovietica e quanto interessi l’entrata del paese nella NATO a qualsiasi babooshka che la mattina si reca a comprare il pane. Quando la cosiddetta democrazia manchi di pragmatismo e si riduca a mera ideologia, riducendosi così a demopazzia, allora finisce per diventare l’oppio dei governanti.
La mia nazione immaginaria uscirebbe dalla NATO qualora ne facesse parte, chiederebbe il cessate il fuoco alla Russia e riconoscerebbe l’errore dell’espansione a est delle forze atlantiche: fantasticare non costa nulla, fare politica estera in un certo modo invece può portare a pagare il più alto dei prezzi.

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15
Ago

E Kabul cadde come corpo morto cade

Pubblicato domenica 15 Agosto 2021 alle 23:23 da Francesco

Seguo la nuova ascesa dei talebani in Afghanistan e per tenermi aggiornato sugli sviluppi raccolgo filmati amatoriali a cui aggiungo delle didascalie imparziali, infine carico i risultati sotto forma di collage riassuntivi sul mio canale YouTube, ordinati in una playlist di conflitti bellici.
In questo modo riesco a procurarmi una visione d’insieme e ad approfondire questioni che, fatta eccezione per certe agenzie di stampa estere tra cui Reuters e Associated Press, sono trattate quasi sempre con un certo ritardo e approssimazione rispetto ai tempi e ai modi di Internet.
Se fossero ancora vivi mi piacerebbe leggere i punti di vista di due miei corregionali, Tiziano Terzani e Oriana Fallaci, ma forse basta sfogliare le pagine di qualche loro vecchio articolo per capire come, in fondo, nulla sia cambiato da allora.
Da quanto ho visto e letto non mi sembra che in Afghanistan vi siano molti individui pronti a immolarsi per la democrazia, a riprova di come quest’ultima probabilmente è stata sostenuta perlopiù da chi l’ha usata come pretesto per ragioni egemoniche ed economiche.
Molteplici filmati in diverse città del paese ritraggono la popolazione autoctona che accoglie entusiasta l’arrivo dei talebani, perciò la rapida ascesa degli insorti implica anche un certo grado di concorso da una parte dei civili.
Le similitudini con la guerra in Vietnam si sprecano, però forse quella afghana ha come aggravante l’illustre precedente del sud est asiatico, il quale con il senno di poi non è servito da monito. Miliardi e miliardi di dollari, eccidi, distruzioni, sindromi da stress post-traumatico e altri cosiddetti “danni collaterali” per nulla. L’occupazione del paese è iniziata con dodici anni di operazione “Enduring Freedom” ed è finita con un talebano, probabilmente sotto l’effetto d’oppio, che danza allegramente in un palazzo governativo.
La democrazia non è un valore universale e pretendere che lo sia, almeno a questo stadio della storia umana, rasenta quello stesso fanatismo contro cui essa si leva, perciò la caduta di Kabul offre anche questa chiave di lettura e ricorda le tante sfaccettature della mia specie.
È difficile sconfiggere chiunque sia disposto a farsi martire per un’idea. Con estrema lucidità e obiettività va dato atto ai talebani di possedere un indomito spirito guerriero, il quale ha avuto la meglio su tutti i propositi più o meno buoni dell’Occidente; Occidente che, secondo me, deve considerare questa sconfitta come foriera di futuri attentati nei suoi confini sempre più aperti e instabili.

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18
Mag

Intifada in Terrasanta

Pubblicato martedì 18 Maggio 2021 alle 16:57 da Francesco

Nuovi fuochi nell’aere e deflagrazioni al suolo celebrano la belligerante, insofferente ed efferata intersezione della terra di Canaan con quella dei filistei. La storia offre a certi popoli numerose ragioni con cui razionalizzare i reciproci annientamenti, come se una parte dell’umanità fosse un frutto da spremere per colmare una fraterna sete di sangue. Comodo e assiso, a migliaia di chilometri di sicurezza, quindi in osservanza delle attuali norme sul distanziamento sociale, io assisto alla morte in lieve differita di individui che non ho mai conosciuto: essi giungono a me sotto forma di fredde statistiche o come immagini a buona risoluzione.
La violenza è insita nella mia specie, la tendenza alla sopraffazione assume le forme più disparate in accordo con i luoghi e le epoche, ma non svanisce mai perché trova sempre asilo e motivi all’apparenza plausibili. La lotta può riguardare due ubriachi o popoli in guerra da generazioni, tuttavia la matrice è la stessa e mi chiedo se l’essere umano possa davvero affrancarsene. Nel frattempo, sul letto del tempo, scorrono fiumi di sangue e sofferenze, ma io non posso farci nulla e al contempo, in una qualche misura, ne sono correo giacché ai miei occhi una parvenza di empatia non conferisce alcuna assoluzione a nessuno.
Tra le varie ragioni per le quali non ho mai desiderato figli e mai ne avrò, figura anche la nefasta eventualità che la mia prole possa rendersi carnefice o cadere vittima nelle bellicose spire della specie. L’ingiustizia è la regola e il suo esatto contrario invece ne costituisce l’eccezione, ma a certe latitudini questa sperequazione risulta ancora più marcata.
Non mi cimento in considerazioni geopolitiche, non me lo posso permettere perché non ne ho i mezzi, però se azzardassi tanto lo farei solo per godermi l’illusoria vanità di un’analisi infondata e il relativo possesso della stessa nel campo delle idee.
Seguo il conflitto tra Israele e Hamas con molta attenzione, attingendo da fonti dirette e soppesando il materiale nel quale incorro, inoltre di quest’ultimo ne raccolgo parte sul mio canale YouTube (questa è la playlist) per scopi documentaristici e archivistici.
La cupola di ferro, il cosiddetto iron dome, ossia lo scudo israeliano, disegna con le proprie geometrie forme astratte e conseguenze concrete, come se l’attacco degli uni e le difese degli altri si abbracciassero fatalmente per ritardare l’inevitabile. Comunque vada, sarà un decesso.

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7
Gen

Un casus belli per ogni stagione

Pubblicato martedì 7 Gennaio 2020 alle 14:23 da Francesco

I festeggiamenti per il nuovo anno si sono protratti fino agli ultimi botti in Iraq. L’uccisione del generale iraniano Quassem Soleimani (il quale figurava già nelle liste dei terroristi, compresa quella europea) ha aperto nuovi scenari in Medio Oriente per la gioia dei catastrofisti, ma nei media ha eclissato le provocazioni iraniane che l’hanno determinata: la faziosità s’imbelletta all’uopo. Mi chiedo quali colori andrebbero per la maggiore e detterebbero nuove tendenze se l’emisfero boreale vivesse un’estate termonucleare.
Mi divertono sempre le sperticate manifestazioni d’odio verso gli Stati Uniti poiché di norma prorompono da personaggi che io reputo risibili. Mi considero filoamericano e per me Donald Trump è il migliore presidente che gli USA abbiano mai avuto dai tempi di Roosevelt e Truman, un giudizio che almeno in parte è suffragato dai dati macroeconomici e dal sostegno della classe media. Il vizio di alcuni occidentali è l’autolesionismo e quindi si mettono sempre dalla parte di chi può accelerarne le conseguenze più nefaste. Non c’è terzietà verso il Terzo Mondo (né verso i suoi immediati dintorni) e qualche gaglioffo pretende che i paesi egemoni sviluppino un ingiustificato senso di colpa. La storia esige sempre vinti e vincitori, tale è il destino degli uomini fino a quando non si evolveranno in qualcosa di meglio, perciò i vari equilibri geopolitici vanno al di là del bene e del male. In ultima istanza poco importa chi abbia il coltello dalla parte del manico, ma io, in ragione della mia soggettività, preferisco che quest’ultimo sia stretto da una presa simile alla mia.

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