Il nuovo governo di gaglioffi è formalmente legittimo e quindi non sussiste una penuria di democrazia, bensì quest’ultima abbonda come il vomito di un ubriaco che sia sul punto di soffocarcisi. Secondo me la repubblica parlamentare è una forma di governo abietta perché accentua la discrepanza di ciò che al contempo appare giusto in teoria e si dimostra sbagliato in pratica.
Non credo che la volontà del popolo (qualunque cosa sia) si possa rappresentare perché ogni sua espressione diventa obsoleta dopo le prime disillusioni, né più né meno di quanto accade a certi uxoricidi per i quali la legge italiana prevede una “pena” effettiva di dieci anni e una laurea in carcere.
Nella cosiddetta “libertà” io tutt’al più còlgo quella d’espressione, pura vanità che ricade in se stessa e di cui queste mie righe forniscono un buon esempio. Le dittature sono educate perché non ammettono i rumori molesti del contraddittorio.
Nella mia idea di paese (mutuo quest’incipit da chi è nato vecchio) vorrei che ci dividessimo in due fazioni e ci scannassimo gli uni contro gli altri per attribuire ragione e torto una volta per tutte, o almeno fino al prossimo giro di cappio: per me la vera democrazia diretta si annida in una guerra civile che non risparmi nessuno. Se mi trovassi sul punto di essere ucciso penso che avrei molta paura e invero preferirei coltivare le mie potenzialità in un periodo di relativa pace, ma ho dalla mia questa suppellettile che si chiama libertà d’espressione e quindi volo con la fantasia (dalla quale decollano i B-52 coi ventri carichi di megatoni).
Sono venuto al mondo per cazzeggiare con il Logos. Le uniche cose da prendere sul serio sono quelle che non lasciano traccia di quanti o di quanto le reputino tali. Cacare figlioli, cacarne tanti per cacarne altri ancora: l’imperativo categorico d’ogni squatter cosmico. Prima di partorire le madri dovrebbero chiedere il permesso ai figli che esse pretendono di avere: ci vuole un ministero per i rapporti con la dimensione prenatale.
Darsi un governo, darsi pace, darsi la morte: io m’immagino cosa risponderebbe uno stoico vero se Gerry Scotti gli prospettasse queste tre opzioni. A seconda dell’identità che mi costruisco posso decidere se farmi misurare secondo la larghezza del reddito, la lunghezza dell’uccello o l’altezza degli ideali. Io me le invento di tutte i colori, ma da buon manicheo torno sempre al bianco e nero, come l’unico film di Kassovitz che conosco.
Mancano sette giorni alle elezioni e non oso fare pronostici, inoltre se fosse possibile scommettere su un partito non farei neanche una puntata simbolica: la politica italiana è un gioco d’azzardo e il debito pubblico ne è il risultato. Dopo le votazioni si terrà un rinfresco che durerà per una legislatura e alcune persone telegeniche si spartiranno la torta degli interessi nazionali, ma l’elettorato continuerà a sperare che venga il diabete a chiunque prenda le fette più grandi e probabilmente non smetterà di patire l’amarezza dell’insofferenza. Attendo le votazioni per respirarne il clima mediatico, ma la mia curiosità astensionista è rivolta principalmente agli aspetti formali di questo evento politico. Credo che il mio interesse per l’attualità sia deprecabile e inutile, sebbene io non lo ritenga tanto sterile quanto l’atteggiamento fanatico di certi individui. Secondo taluni le schede elettorali sono confusionarie, ma nel caso in cui vengano ristampate penso che la prima tiratura possa essere riciclata in modo tale da fornire ai partiti il materiale cartaceo di cui necessitano per arricchire le loro liti in parlamento con il lancio di oggetti. Penso che la fiaccola olimpica avrebbe dovuto transitare in Italia per accendere l’ingegno di chi ha realizzato le schede elettorali, ma attualmente ha l’ingrato compito di alimentare le tensioni tra chi protesta per l’indipendenza del Tibet e chi, a mio avviso giustamente, sostiene il governo cinese.