Mi sorprendo di fronte a quanti si sorprendano per la sorpresa di una morte sorprendente, ma il mio è un atteggiamento di tenero disincanto. Forse i decessi illustri ricordano più di altri come ognuno di noi sia anzitutto la propria finitezza. Mi domando se per qualcuno sussista davvero la piena illusione che l’opera sua possa garantirgli una vita dopo la morte, come se per i meriti del suo percorso terrestre ambisse poi da salma a chiedere asilo presso gli altrui ricordi.
Salvo rare eccezioni, la quasi totalità degli esseri umani è destinata alla completa dimenticanza in capo a qualche generazione, ma talora ciò avviene già dalla nascita stessa e molti orfani lo potrebbero confermare se solo qualcuno si ricordasse di loro.
Non ho nulla contro qualsiasi tipo di commemorazione dei defunti, ma per me il due novembre è, appunto, il due novembre; semplicemente mi annoiano certe celebrazioni e io stesso mi auguro di non esserne mai oggetto, benché, invero, il rischio nel mio caso sia pressoché nullo.
Preferirei essere apprezzato da vivo piuttosto che da morto, ancorché io preferirei non essere e basta. Nel caso di una mia morte prematura ho lasciato precise disposizioni, tuttavia so già che queste sarebbero prontamente disattese. Se crepassi relativamente presto vorrei tanto che il mio corpo fosse gettato in mezzo a un campo incolto, cosicché i vermi possano banchettarvi in tutta comodità. Dunque per la mia carne non vorrei né sepoltura né cremazione, ma soltanto l’abbandono alla terra: è questa un’immagine che nella mia mente chiude un cerchio e assume tinte di titanismo romantico. Insomma, una volta decaduto, che l’ex impero dei sensi sia scisso tra i suoi atomi d’idrogeno, azoto, ossigeno, carbonio, in una spartizione simile a quella che era in uso tra i figli dei re Franchi. Sono venuto per poco e, nessuno me ne voglia (circostanza di cui non dubito), spero di non tornare troppo presto su questo pianeta.
A me non interessano i piani pensionistici né le prospettive di crescita economica, tuttavia non mostro disprezzo per scadere in un anticonformismo banale né tanto meno per darmi un tono. Io vorrei avvicinarmi davvero a quella mentalità che permette di accogliere la morte in qualsiasi momento, senza l’ausilio di ciarle roboanti che hanno il solo scopo d’intonare una virilità stantia. Per me questo è un tema ricorrente poiché lo considero un punto di svolta per la mia esistenza e al tempo stesso un obiettivo irraggiungibile. Non so proprio come spiegarmi senza prestare il fianco all’approssimazione. La cultura cristiana non facilita il raggiungimento di questo obiettivo perché infonde una parvenza d’eternità nella percezione del tempo anche in alcuni di coloro che fanno professione d’ateismo: questa è una delle tante colpe che imputo alla fede monoteistica di cui sopra. Per me il culto della morte non deve essere contrapposto alla vita né tanto meno deve ridursi ad un’autodistruzione che usurpi il buon nome del nichilismo, bensì lo considero un modo per comprendere la propria finitezza. Io devo morire. Il mio cuore smetterà di battere, il mio ricordo sarà spazzato via e prima o poi la stessa fine toccherà al sistema solare nel quale ho avuto il privilegio di vivere per quello che è un battito di ciglia nei tempi dell’universo.
Queste parole restano banalità a meno che non producano un minimo livello d’inquietudine in grado di certificare il loro impatto sulle profondità di chi le verga e di chi le legge. Con tutto ciò io non intendo disinnescare qualunque anelito, ma rafforzarlo in favore di quella clemenza cosmica che è la fine. A me spaventerebbe l’idea di vivere per sempre. Rinuncerei all’immortalità anche se la prossima finanziaria la prevedesse per tutti i cittadini maggiorenni: tutt’al più mi potrebbe andare bene una proroga di qualche secolo per mera curiosità, ma poi saluterei tutti e mi ritirerei nel nulla senza più abiti né carne.
Alla fine di questo appunto mi rendo conto che non riesco neanche a scalfire il muro che separa la mia capacità di esprimermi dal concetto che io cerco d’illustrare senza successo, come se quest’ultimo fosse ineffabile: non so se lo sia davvero o se sia la mia mediocrità a renderlo tale.