Adoro la mia percezione del tempo e mi domando se anch’essa sia destinata a cambiare prima o poi. Mi piacciono i colori autunnali, però a tempo debito mi auguro di rivedere i ciliegi in fiore. Attorno a me c’è molta terra bruciata perché ardo d’amor proprio senza scottarmi. Soffio sopra i fuochi fatui per accelerarne la scomparsa e ogni tanto mi attardo su questioni di poco conto per incazzarmi inutilmente, però la contentezza caratterizza buona parte delle mie giornate e non ho proprio nulla di cui lamentarmi con me stesso. Devo dare fondo alle riserve di fantasia poiché non posso avvalermi dell’ispirazione che potrei attingere copiosamente dalla malinconia e dalle imitazioni di quest’ultima se fossi ancora in grado d’abbracciarle in modo autentico.
A taluni piacciono i drammi e qualche volta cercano d’instillare un tocco tragico nelle proprie vite per renderle più appetibili. Il Sole non gira attorno alla Terra e quest’ultima non ruota attorno ai problemi immaginari che spesso vengono impiegati nel ramo del disfattismo, lo stesso al quale gli imprenditori dell’autodistruzione s’impiccherebbero immediatamente se fossero afflitti da pesi veramente insostenibili. Già varie versioni di “Ippolito incoronato” sono state scritte e almeno io mi avvalgo della facoltà di non rompermi i coglioni a redigerne l’ennesima rivisitazione moderna. D’altronde parecchie paturnie nascono e si moltiplicano dalle mancanze affettive o da rapporti conflittuali. Io appaio freddo, atarassico o addirittura arrendevole per il modo nel quale intendo i sentimenti, ma in realtà nel giudizio altrui talvolta vengo punito per l’assenza di struggimento nelle mie considerazioni. La croce non la porto al collo né sulla groppa: non ne sono munito, dio cane. Le emozioni sono polimorfe, la stupidità invece è quadratissima e ogni tanto preferisco la seconda alle prime, in particolare ogniqualvolta sorga in me la voglia o il bisogno d’accomodare velocemente la leggerezza passeggera dei pensieri. In me le assenze del malessere sono del tutto giustificate e non c’è bisogno alcuno che si presentino accompagnate dalle riflessioni cupe.
Quandunque il Sé si trasmetta in differita
Pubblicato giovedì 21 Ottobre 2010 alle 00:14 da FrancescoAnni fa mi denigravo giustamente. Se non avessi insultato me stesso non sarei mai riuscito a svegliarmi dall’apatia. Non ho mai trovato un maestro né qualcosa che potesse guidarmi, sennò avrei risparmiato un po’ di tempo. Ho sempre ricevuto esempi negativi che fortunatamente sono stati ottenebrati dalla mia lungimiranza. Anche quando ero sfiduciato e versavo nella mestizia in me sopiva la forza interiore che ancor oggi mi permette di camminare a mezzo metro di altezza. Potrei essere invulnerabile emotivamente, ma se assecondassi questa tentazione arrogante e arida dimostrerei soltanto una forma di debolezza meno palese, invece sono ancora disposto ad abbassare ogni difesa qualora delle circostanze eccezionali lo richiedano e proprio in questa capacità venata di consapevolezza io intravedo la parte migliore di me: non sono affatto freddo.
Il mio approccio ai sentimenti non è passionale né razionale, ma è dettato dall’unione di Psiche ed Eros alla luce del sole e non tramite incontri al buio come nell’opera di Apuelio o nelle usanze pulsionali delle decadi più recenti.
Il tempo non mi inganna più benché io qualche volta riesca a buggerare lui. Sono giovane, però comincio a rischiare di non vivere alcun trasporto emotivo e non mi faccio fregare da un timore che dovrebbe sorgere in me: fanculo, io lascio che divori le energie di qualcun altro. Il futuro è in divenire per definizione e così come non lo metto nelle mani di una cartomante, non lo depongo neanche sulle paure millantatrici che tra l’altro non trovano spazio nella mia lettura della realtà. Nei paraggi della mia persona, dalle anime in pena si levano cassandre esagerate e previsioni cupe, pare inoltre che per costoro ogni passo avanti debba essere seguito da un salto indietro. Mi disgusta questo leitmotiv depressivo e tendo a non dare fiducia a chiunque non l’abbia in sé. Spesso avverto grandi reticenze, sovente più assordanti delle verità che nascondono. L’onestà nei confronti altrui è auspicabile per vivere bene, però credo che quella verso sé stessi diventi addirittura imprescindibile per sventare certi disastri. Proroghe continue, rinvii ingiustificati e vari ricorsi a impegni abituali possono ritardare molto l’incontro di un individuo con i limiti a cui prima o poi dovrà dare udienza. Un tumore che viene lasciato ingrandire, un nemico a cui si concede il tempo di rinforzarsi: a terribili infermità porta la ferma decisione di lasciare altrettanto ferme le questioni insolute a livello interiore. Non critico la società poiché è troppo eterogenea per prestare il fianco a dei giudizi attendibili, però cerco di comprenderne una parte per non farmi contagiare dalla cecità volontaria. Lo ripeto per l’ennesima volta: io non pretendo di cambiare il mondo, d’altronde sarebbe un moto infantile di romanticismo, ma compio gli sforzi intellettuali e fisici per evitare che accada l’esatto contrario. Insomma, i conflitti intestini hanno ripercussioni sull’esterno e prima di puntare il dito contro gli altri forse un individuo dovrebbe domandarsi se non sia stato lui per primo a commettere l’errore di avvicinarsi a persone incompatibili. Talvolta l’incompatibilità è del tutto artificiale e viene evocata per negare qualsiasi valenza ad un’affinità che oltre alla gioia porterebbe anche la necessità di un confronto personale in uno dei soggetti interessati. Credo che nei veri inetti la felicità sia subordinata alla sopravvivenza di determinate istanze psichiche malgrado la parvenza di normalità e d’integrazione sociale che può risultare da un’attività febbrile in più campi o dalla semplice ripetizione di una routine cristallizzata.
Nei mezzi d’informazione forse la questione dei suicidi non viene affrontata spesso per evitare un aumento del tasso di mortalità, ma non sono rari i casi in cui una mancanza di insight porta alla morte come se si trattasse di una carenza organica. Forse una morte vivente insorge anche in coloro che si adattano alla tristezza e dunque l’adattamento a livello personale non rientra nei principi della selezione naturale perché quest’ultima, secondo me e limitatamente al campo emotivo, si spinge al di là di quanto è stato teorizzato per la sopravvivenza. Non compatisco chi decide di togliersi la vita sebbene per questa regola io preveda doverose eccezioni, contenute nel numero e mai nelle circostanze. Il suicidio fisico e quello emozionale per me rappresentano le lezioni più convincenti della natura per quanto riguarda la salvaguardia di sé stessi.
In questo periodo non ho granché da annotare e con il passare del tempo mi sembra che io abbia sempre meno da scrivere, ma trovo che la sporadicità dei miei appunti sia un fenomeno normale. La mia mente non è sterile, ma non riesce a partorire idee e preferisce godere dei suoi interminabili momenti di serenità. Non ho mai scritto qualcosa di monumentale perché non ho mai giaciuto in una tristezza abissale e dunque non ho mai potuto raggiungere quelle profondità del dolore dalle quali è possibile estrarre concetti di rara bellezza; taluni sono stati trascinati in una ricerca simile senza volerlo e sono rimasti sepolti sotto il peso delle loro scoperte come accade ancor oggi a certi minatori asiatici per un compenso di gran lunga inferiore. Durante le fasi più concitate della mia introspezione mi sono spinto fino a dove ho dovuto, ma non ho mai provato a oltrepassare certi limiti perché per farlo avrei dovuto procurarmi volontariamente del male, ma la mia indole tende verso il bene e per fortuna non sono in grado di arrecare danno a me stesso in maniera intenzionale. Non ho grandi eventi da celebrare né mi fronteggiano chiome che io possa incoronare, ma al cospetto di ogni giorno io provo una sorta di esaltazione per il solo fatto di vivere e questa sensazione non è figlia di alcuna struttura dogmatica. Io non sono in grado di spiegare ciò che alimenta positivamente il mio umore, ma è qualcosa di autentico che sfugge alle parole e che a mio avviso non può scaturire direttamente da nessun indottrinamento. Forse dovrei ricorrere a due termini filosofici per dare una vaga idea di ciò che intendo e con l’accostamento del cinismo filosofico allo stoicismo potrei lasciare un indizio a questo riguardo, tuttavia quest’ultimo risulterebbe tale persino per la mia capacità descrittiva data la natura sfuggente della sensazione stupenda che mi accompagna da un po’ di tempo e che ho fatto oggetto di esame per l’ennesima volta. Se io leggessi queste parole con gli occhi di un estraneo non potrei fare altro che schernirle. Ciò che ho scritto finora risulta vago e approssimativo persino per me, ma il carattere indeterminato di questo appunto non dipende affatto dalla mancanza di conoscenza dell’argomento in questione ed è soltanto la conseguenza della difficoltà di spostare una sensazione da un piano ineffabile a un piano intelligibile. Pazienza.
Mi sono reso conto che attualmente non ho granché da appuntare su queste pagine e ho deciso di lasciarle impolverare per un po’ di tempo. In questi anni la scrittura mi ha aiutato enormemente, ma ormai il suo aspetto terapeutico è terminato e io padroneggio la mia esistenza con maestria. Avrei voluto utilizzare queste pagine per archiviare alcune annotazioni delle mie letture, ma alla fine ho deciso di non lasciarmi dominare dall’attaccamento affettivo che provo nei confronti di questo spazio virtuale. Credo che il mio lavoro introspettivo abbia dei punti in comune con il fine antropologico di 7up. 7up è un programma televisivo che da diverse decadi segue la crescita di alcune persone e si sviluppa con delle interviste che avvengono ogni sette anni. Il programma sostiene che il futuro dei protagonisti sia determinato dalla loro estrazione sociale, ma questo assunto non mi interessa particolarmente e non lo condivido in pieno. Il mio carattere non è cambiato molto da quando ero un bambino e io mi sento sempre la stessa persona, ma è mutato radicalmente il modo in cui guardo me e le mie azioni. Mi sto allontanando dalla scrittura perché non ne ho più bisogno e non riesco a trarne lo stesso piacere di un tempo, invece la lettura mi aggrada ancora e probabilmente non l’abbandonerò mai. Credo che a suo modo la scrittura sia una forma di rumore e per adesso non ho più voglia di fare chiasso. Ho trovato un luogo ideale per vivere e trascorrerò il prossimo inverno e il resto della mia vita nella campagna che circonda il mio comune. Mi ricongiungerò per brevi periodi al caos cittadino quando deciderò di compiere un viaggio in qualche grande metropoli. La mia vita non è cambiata esteriormente e sono ancora un individuo che abbraccia con passione la propria solitudine, ma la consapevolezza che mi anima è la più grande risorsa di cui io abbia bisogno per campare felicemente. Queste pagine non sono soltanto un documento introspettivo, ma attestano una forma di felicità che è alla portata di chiunque e rappresentano un manifesto personale che non può essere intaccato dalle mie menzogne né da quelle di terze persone. Immagino che questa scelta faccia parte di un meccanismo ciclico, perciò in futuro mi aspetto di scrivere nuovamente con la costanza che mi ha contraddistinto in passato. Ho demolito buona parte del mio Ego e non mi resta che salire sulle sue rovine per respirare un’aria nuova. Non voglio nulla di particolare e continuo a sentirmi bene. Sono lontano da ciò che allontana dalla serenità e intendo accentuare la mia posizione eremitica. Adesso è il turno del silenzio, ma anche quest’ultimo avrà una fine.
Ogni tanto la collera e le esternazioni irose consentono alla mia serenità di assumere un aspetto umano, ma le controversie che mi riguardano e il modo in cui le affronto sono cose di poco conto alle quali riservo l’attenzione che reputo opportuna. Non desidero nulla in modo smodato perché mi sento piuttosto appagato. Negli ultimi anni alcune necessità apparenti sono cadute dai rami dei miei bisogni e il loro impatto con il suolo non ha prodotto rumore. Le mie parole non contengono nulla di esoterico e sono tanto distanti da ogni forma di spiritualità quanto lo sono io. Sento una gioia profonda dentro di me, tuttavia non sono in grado di descriverla adeguatamente. Il mio presente è immerso nel vuoto, ma quest’ultimo non è una fonte di tristezza ed è fondamentale che io spenda qualche parola per contenere la portata di ogni fraintendimento futuro. Le mancanze affettive, la nostalgia per un passato apparentemente migliore, l’assenza di un riferimento e il pensiero ricorrente della morte sono alcune parti del vuoto a cui mi riferisco, ma credo che queste condizioni non siano necessariamente le fondamenta dell’infelicità e vedo in loro lo stesso potenziale che spesso è più facile riscontrare nelle rispettive controparti. Se la mia vita fosse stata radicalmente diversa forse non avrei visto alcune cose e con questo non oso affermare che certe prospettive possano essere raggiunte soltanto attraverso l’isolamento, ma io probabilmente non ci sarei riuscito in un’altra maniera e sostengo questa ipotesi sulla base di quanto conosco della mia persona. La mia indole non mi consente di accontentarmi e in parte ne sono felice, ma la mia soddisfazione ha già raggiunto un grado elevato e mi sforzo di preservarla invece di arricchirla secondo i ritmi parossistici che sono richiesti dal lato più ingenuo della mia interiorità. Conosco buona parte dei meccanismi che regolano il mio comportamento grazie una gavetta intensa, tuttavia mi rendo conto che una conoscenza di questo tipo possa essere riconosciuta soltanto da chi la consegue e la esercita poiché neanche quest’ultimo è sempre in grado di certificarla con tutti i crismi di una introspezione imparziale.
Nel corso degli anni mi sono lasciato alle spalle un novero consistente di persone e non ho mai riallacciato i rapporti con loro. Non concedo molto valore ai legami di sangue e non riconosco alcun diritto affettivo nei confronti di chi mi ha messo al mondo, ma nutro del bene per mia madre e non escludo che una parte di esso abbia radici edipiche. Preferisco i rapporti che partono da zero, prediligo le relazioni che fioriscono sopra un pianeta emotivo senza passato e nonostante io non abbia mai avuto nulla di simile continuo a ritenere che tutto il resto del campionario sociale sia piuttosto marginale. Non penso di conoscermi completamente, ma credo di sapere abbastanza di me per affermare che nel mio status di figlio l’amore per una mia compagna prevarrebbe di gran lunga su quello per mia madre e parimenti nello status di padre l’amore per la mia prole sarebbe nettamente minore rispetto a quello che proverei per la loro madre. I miei sentimenti hanno una matrice egoistica poiché sgorgano dal mio Ego e sono contento che non fuoriescano da qualche sorgente artificiale della mia interiorità, ma per adesso non mi resta che apprezzarne la bellezza cristallina mentre si snodano lungo il tempo alla ricerca di un estuario. Considero deceduta ogni persona con cui ho rotto i ponti e trovo che sia strano accettare la morte di qualcuno che è ancora vivo, ma questo è il mio modus operandi. Non accetto che la sterilità del passato occupi lo spazio delle fioriture presenti e future nonostante il mio autunno perduri da oltre vent’anni. Le foglie ingiallite hanno un fascino particolare.