14
Ago

La grande abbuffata di Marco Ferreri

Pubblicato lunedì 14 Agosto 2023 alle 01:06 da Francesco

Di recente ho visto quest’opera di Ferreri che mancava nel mio bagaglio di aspirante cinefilo e ne ho ricavato un’opinione ambivalente. L’aperta provocazione del regista mi ha ricordato, in parte e in una forma più attenuata, quella pasoliniana di Salò o le centoventi giornate di Sodoma. Laddove il film di Pasolini si occupa del potere nelle sue implicazioni più anarchiche, Ferreri, per sua stessa ammissione in un’intervista, realizza un’opera fisiologica, scevra di sentimenti, dove l’edonismo lascia spazio (appunto) alla fisicità in quanto realtà ultima; non è solo nel cibo che ravviso un vago parallelismo tra le due pellicole, ma in una più generale (e a mio parere comune) estetica con la quale l’uomo viene mostrato in quanto uomo, in quanto corporeità, in quanto finitudine. In ambo i casi credo che il registro stilistico sia simile, quello grottesco, ma differisca in intensità.
Ne La grande abbuffata è palese la disperazione borghese, la trasformazione del piacere in abitudine e quindi l’incapacità di ripetere a comando l’edonismo originario: la resa del corpo al corpo e una collettiva volontà di autodistruzione. Per scomodare Freud, così da destare in me risate verso un’altra parte di me rivolta alla cinefilia, mi sembra che nel lavoro di Ferreri si affermi la pulsione di morte con una gita stanziale e culinaria al di là del principio di piacere.
Girato perlopiù in interni e con un grande cast (i personaggi usano i loro veri nomi di battesimo), per me è un film che assolve il compito per il quale è stato concepito nelle intenzioni del regista, ovvero trascurare lo spettacolo per innescare un crudo meccanismo d’identificazione, perciò lo reputo efficace in questo senso e nullo (per i miei gusti) sotto il profilo dell’intrattenimento.

Categorie: Cinema, Immagini, Parole |

23
Ott

Tre Colori: Film Rosso

Pubblicato martedì 23 Ottobre 2007 alle 00:30 da Francesco

Qualche ora fa ho visto l’ultima parte della trilogia dei colori di Krzysztof Kie?lowsk e mi è sembrata un’ottima conclusione. La protagonista è una studentessa di nome Valentine che vive da sola e lavora come modella. La giovane ha una relazione con un uomo che si trova all’estero con il quale scambia quotidianamente delle telefonate pregne di gelosia. Il film entra nel vivo quando Valentine incontra la figura enigmatica di un uomo anziano che vive in solitudine. Il vecchio in questione è un giudice in pensione che trascorre le sue giornate a spiare le conversazioni telefoniche dei vicini e si rapporta con Valentine in un modo misterioso che a tratti diventa divinatorio. Gli eventi si succedono con un ritmo perfetto e sono adornati da elementi ricorsivi che aggiungono un po’ di stupore alle sequenze. Il film non termina in maniera autoreferenziale, infatti il finale si lega anche i ai capitoli precedenti e sintetizza uno dei significati della trilogia prima che compaiano i titoli di coda. I tre colori di Kie?lowsk hanno dipinto alcuni dei miei pomeriggi grigi e mi hanno portato a riflettere sulla vita da un punto di vista che poggia sul destino e sul fatalismo, ma ho preso in esame questa prospettiva senza accettare completamente le comodità stupide e nocive della presunta ineluttabilità degli eventi.

Categorie: Parole |