In questi giorni pasquali e ventosi mi sono dedicato alle consuete passioni, però mi sono anche reso conto di come nell’ultimo periodo ne abbia trascurate alcune per mia indolenza e non già per la mancanza di tempo. Ho quasi completato la stesura del mio sesto libro, perciò voglio contattare dei mobilifici per trovargli un posto ai piedi di un tavolino traballante: al contempo non escludo di candidarlo come fermaporta.
Non so come si faccia a non essere autoreferenziali, quindi le espressioni della mia creatività si devono misurare soltanto con il mio gusto: l’assenza di velleità artistiche mi fa nuotare in acque diverse dal mare magnum in cui, loro malgrado, si cimentano quanti si propongano a terzi. Nella corsa invece è diverso perché Krónos è un’entità oggettiva e quindi posso avere un confronto con quello stesso tempo che tutto scandisce sebbene non esista: un paradosso a cui io sono legato da vincoli d’entusiasmo. Contemplo l’idea della morte mentre apprezzo in sommo grado la mia vita e mi chiedo se possa chiedere di più alla mia età: sì, potrei, ma se avanzassi ulteriori richieste peccherei di creanza, buon gusto, tatto e sarei più maleducato di quanto già non sia quando dimentico di tirare lo sciacquone a seguito di una bella cacata. Voglio tanto bene al gatto Heidegger e qualche volta lo penso mentre coltivo i miei passatempi, però non mi rattrista l’idea che il tempo a nostra disposizione sia limitato e non lo considero un cafone quando sia lui a dimenticarsi di far scorrere l’acqua dopo una sua deiezione.
Tace tutt’attorno l’urbe e nei suoi punti nevralgici; polso debole, coma vigile: gli uni sono sedati e gli altri pure. L’attuale realtà è velata d’un silenzio imperfetto ma egemone di cui al contempo apprezzo il dominio e disistimo le cause formali. Un lieve vento di cui ignoro la provenienza allieta questa domenica vermiglia, però non mi suggerisce nulla di nuovo poiché quest’oggi neanche il Sole, come sempre d’altro canto, illumina qualcosa d’inedito.
Assorto nei miei pensamenti e nei piccoli svaghi, mi staglio su una prospettiva indefinita e non riesco a proiettare forme sul futuro che possano definire le linee abbozzate di un qualsivoglia orizzonte. Hic et nunc non c’è un ponte radio con l’avvenire, non sono in grado di prevedere gli incroci che mi attendono né se effettivamente più in là ve ne siano, però sono pervaso da una coriacea serenità la quale, al momento, non risente delle piccole ammaccature di cui gli agenti atmosferici e gli eventi umani sanno essere cagione.
Non sono votato ad altra ricerca che non sia quella interiore, ma essa però si ripercuote al di fuori del suo campo d’indagine e forse è anche attraverso un tale sconfinamento, per mezzo dell’eterogenesi dei fini, che questa trova un parziale compimento sulla scorta del quale il processo si rinnova nei suoi limiti ultimi e si configura dunque come interminabile per sua stessa natura. Nella perenne ecatombe di senso io non cerco la resurrezione di ciò che forse non ha mai avuto sostanza né essenza, bensì mi limito a passeggiare sulle fosse comuni di frasi che furono e di cui il tempo non serba né i resti semantici né i segni d’interpunzione. Non ho stretto promesse perché non è mio costume usare violenza verso terzi e dunque lascio ad altri l’onere di soffocare gli impegni presi nelle loro puntuali inadempienze. Saluto i controsensi perché spesso viaggiano in direzione contraria alla mia, ma talora c’incolonniamo a mio detrimento.
L’avanzata nel tempo è una scalata e gli appigli sono le lancette dei tanti orologi fermi che ne tempestano la parete. A volte uno sguardo nel vuoto dà l’idea di quanto tempo sia trascorso dall’ultima volta che qualcuno abbia degnato di considerazione il proprio passato.
La caduta a ritroso non è eventuale, ma certa: la salita è propedeutica al suo esatto contrario. All’orizzonte si muovono ombre che non temo affatto, però alimento lo stesso un po’ di circospezione. Qualche volta non mi vedo a una certa quota sopra la mia nascita, sospeso o in progressione sull’asse delle ordinate, bensì vi sono dei momenti o addirittura interi periodi nei quali mi sento sotto una piccola cascata mentre il tempo mi scivola addosso. Ho il sospetto che la durata della mia esistenza non conti poi molto nel grande gioco del cosmo, ma assecondo l’istinto di conservazione e le auguro una buona longevità.
Mi reputo risolto in una determinata misura e mi rendo conto di come tale asserzione potrebbe apparire pretenziosa o persino tracotante se venisse letta o appresa da chi avesse l’ardire di spendersi sulle mie parole, ma non sono giunto a tale giudizio con la negligente indulgenza di chi non abbia mai dilaniato se stesso in lunghe, drastiche e decisive schermaglie introspettive.
Ho come l’impressione che quanto ancora rimanga del mio tempo su questo pianeta sia una sorta di surplus e per me non v’è nulla di negativo in ciò, anzi, ma non ne ho la certezza e non so se il futuro abbia in serbo per me nuovi sensi con cui ammantare il mio rapporto con lui.
La mia vaghezza è lo specchio opaco su cui mi rifletto e sul quale rifletto. Non pretendo di scrivere o dire nulla di più di quanto non ci sia bisogno di scrivere e di dire. Se dovessi davvero aggiungere qualcosa in questo preciso istante, allora volgerei un plauso alla notte incipiente e alle voci di Otis Redding e Sam Cooke che mi ci traghettano mentre parlo con me stesso e sempre per me stesso scrivo.
Vado dritto verso i ventisette anni e non mi sono mai sentito meglio. Dando un rapido sguardo al passato vedo un bambino timido e un adolescente disadattato che non c’entrano più niente con il sottoscritto. Qualche persona della mia infanzia è morta, qualcun’altra è come se lo fosse, però io sono ancora qua e non me la passo male. Forse avrei potuto combinare qualcosa di più nella vita, ma per fortuna non l’ho fatto. Mia madre sarebbe stata contenta se mi fossi iscritto all’università e forse alla fine anche a me avrebbe fatto piacere frequentare una facoltà, però io non ho mai avuto grandi ambizioni tranne quella d’amare, forse una delle più difficili da coronare e infatti non ho mai passato il test d’ingresso.
Sono stato bocciato, mai baciato, e ho sempre ripetuto lo stesso esito. Eh, esaminatrici severe. Ho tutta la vita davanti, anche se dietro me ne manca qualche pezzo. Attorno a me vedo padri di famiglia, arrivisti, studenti, farabutti e utopisti svogliati. Qualcuno corre ancora dietro ad un pallone ed è l’unica cosa che riesce a far rotolare dalla propria infanzia. Quasi tutti miei coetanei sono diventati adulti nel peggior senso della parola. Credo che ognuno decida deliberatamente quando invecchiare. Sono governato da idioti che a loro volta vengono criticati da altri idioti e anch’io a mentre punto il dito contro questi individui non mi sento particolarmente intelligente.