Non ho la febbre né la leucemia del sabato sera, perciò non frequento nosocomi né locali alla moda, ma talora odo le sirene delle ambulanze che viaggiano rapide verso emergenze sempre nuove: ed è subito effetto Doppler. Non ho chiaro in quale punto della mia esistenza io mi trovi, tuttavia mi chiedo quanti possano cartografare con precisione le rispettive posizioni sulla fredda linea del tempo a loro disposizione. Da certe prospettive non mi sono mosso di un millimetro da quando circa sedici anni fa presi a vergare le mie elucubrazioni su queste remote e ascose pagine virtuali, ma sotto altri aspetti mi sono visto artefice e testimone di epocali mutamenti al mio interno. Almeno in parte credo che anche per me valga l’adagio secondo cui “tutto cambia affinché nulla cambi”.
Non ho mai fatto progetti a lungo termine, non ho mai costruito ponti né coltivato rapporti di alcun genere e intanto un po’ di acqua sotto i ponti è passata. Nei confronti altrui non mi sono mai impegnato e per rivendicare cotale pigrizia sono venuto persino meno alle pulsioni della specie, ma nel mio caso la scelta si è rivelata azzeccata, opportuna, forse doverosa. Dal futuro non mi attendo nulla di particolare e spero che lui di converso non si aspetti da me niente di più della mia incerta presenza fino al termine del turno.
Bene o male ripeto sempre le stesse cose per trarmi d’impaccio da qualche fuggevole dubbio a cui non do troppo peso affinché si presenti bene alla prova costume. Non mi sono mai messo a contare le pecore né le possibili verità, però immagino che il numero di entrambe sia cospicuo. Ho me stesso e senza alcuna falsa modestia né tema di smentita mi sento di affermare che non sia poca cosa. Non mi reputo la persona più indicata per cercare dispersi o ambizioni.
Non mi piacciono i genetliaci, anche perché non mi hanno mai fatto ottenere dei regali di mio gradimento quando ancora ne ricevevo, ma alla fine è il pensiero che conta, o almeno così sosteneva Cartesio. Insomma, sto per compiere il mio trentasettesimo giro intorno alla nana gialla del sistema planetario nel quale risedo: minchia.
È forse giunto il momento di tirare le somme? E se a giugno nevicasse sarebbe il caso di tirare palle di neve o di erigere un pupazzo da decorare con una carota a mo’ di naso? Dopo averci trascorso già tre decadi abbondanti, non consiglio questo mondo agli aspiranti umani: anche se io ormai mi ci trovo bene non mi sento proprio di raccomandarlo, specialmente in bassa stagione. Non ho bisogno di qualcosa in particolare, forse un po’ d’acqua con limone; sto acquisendo un distacco sempre maggiore da me. Sarò pronto e puntuale nell’ora della mia morte, ma nel frattempo armeggio con lo scroto in maniera apotropaica per non anticiparne l’incontro e resto comunque nel dubbio che ciò valga davvero come diffida.
Voglio bene a mia madre, ai gatti con cui divido gli spazi e soprattutto a me stesso. Non ho desideri vivi né morti, la mia ambizione è scarsa, quasi nulla, però mi riconosco una grande riserva di volontà che mi fa risparmiare sul pieno di buone intenzioni. Io non ho nemici e non so se loro cerchino me, ma essi per trovarmi devono andare sempre dritti, a fare in culo con le rispettive genìe, grazie mille.
Amici non ne voglio nel significato stretto del termine, però interloquisco con qualche passante del tempo e talora provo un’autentica simpatia per certe menti. Le infatuazioni non ci sono, è finita la bombola ed è sempre domenica, tuttavia ricordo una signorina che ebbi a vedere sei anni fa sul Ponte Regina Margherita nella città eterna: che Krishna l’abbia in gloria.
Non ho mai investito molto tempo né energie nei rapporti interpersonali poiché ho capito presto come il loro andamento dipenda solo in parte da me. Il tempo mi ha dato ragione o forse io ho fatto in modo che me l’accordasse in virtù delle suddette premesse.
Il solipsismo è l’unica risposta sensata che abbia trovato all’assenza di una mutua risonanza, ma d’altro canto anch’io sono parte di un’assenza per qualcun altro in qualità di occasione mancata o mancante: ecco dunque l’unica, vera e vicendevole reciprocità possibile, quella del distacco dopo una conoscenza pregressa o l’autentica, inedita e totale estraneità delle parti.
Non ho mai sciolto certe questioni né i capelli di una ragazza, perciò ho lasciato insoluto l’enigma femmineo. La mia attrazione verso certe donne, quasi sempre scaturita a seguito di un loro primo passo, si è puntualmente risolta in silenzi inespugnabili, ma quegli esiti sterili hanno corroborato la mia individualità e dunque non so quale lettura darne. Ho avuto dei confronti, ancorché soltanto sul piano intellettuale ed emotivo, ma paradossalmente i loro effetti migliori non sono stati di matrice relazionale. Al netto di tutto e in virtù del senno di poi devo altresì ammettere come sia stata indifferente l’identità di quelle ragazze con cui ho avuto dei contatti platonici, siano essi stati epistolari o vìs-a-vìs: a rischio di piegarmi dalle risate mi chiedo se non sarebbe stato meglio se avessi optato per qualche test di Turing in luogo di tutto quel ciarlare. Il quadro è meno complicato di quanto possa sembrarmi, però devo ancora trovargli una bella cornice e non so davvero quando capiterò a un mercatino dell’usato.
L'estate incombe come la più gradita delle condanne e io spero che mi sia concesso di scontarla fino all'ultima goccia di mare. Mi districo facilmente tra la routine delle cose da fare e la certezza di quelle che non possono accadere, però ve ne sono anche altre da cui traggo sommo gaudio. Sono pervaso dalla tipica tranquillità che segue la moria delle speranze superflui, perciò vivo l'attuale congiuntura come se un'antichissima età dell'oro mi si stesse ripresentando nella più inaspettata delle recrudescenze. Ci sono galassie lontane in cui si stanno verificando eventi di portata inimmaginabile, ma per me altrettanto distanti nonché ignoti risultano i problemi dei miei simili e quindi non m'è dato immedesimarmi né in una stella di neutroni né in un cuore affranto.
Non vivo il distacco come se fosse una sorta di merito atarassico, bensì mi limito a prenderne atto in quanto dinamica contingente e talora mi chiedo se debba temere o meno una modifica in tal senso. E cosa cazzo posso mai saperne? L'intuito dice una cosa, l'istinto controbatte, altre entità prendono la parola e altre ancora la ripudiano. Per adesso va tutto bene com'è e cerco di non prestare ascolto alla frammentazione del Sé, ma d'altro canto io non potrei dare udienza a cotante istanze neanche se lo volessi e per questa mirabile impossibilità devo rendere grazie alle circostanze favorevoli di questo periodo. Mi trovo a debita distanza dalla distanza stessa.
Il tempo ordina alla vecchiaia di distruggere la bellezza, di Pompeo Girolamo Batoni, 1746
Forse negli ultimi giorni non mi sono esposto alle influenze giuste o forse certe volte, malgrado tutti gli sforzi per condizionarlo, l'inconscio non trova altre maniere che le cattive per veicolare i suoi contenuti. Il sogno di questa notte è stato inquietante nella forma e triste nella sostanza, ma l'oracolo si è espresso e a me non resta che prendere atto dei suoi annunci.
Mi ritrovo in una classe universitaria che siede all'aperto: i banchi e la cattedra sono sistemati vicino alla curva di una strada dove in quest'ultimo periodo passeggio spesso. Provo un po' di angoscia perché non sono uno studente e temo che la professoressa possa scoprirmi. Accanto a me siede un mio stretto conoscente, noto casinista: d'un tratto egli si alza e va a disegnare un volto su una parete rocciosa che funge da lavagna. La docente rimprovera il suo allievo indisciplinato ed entrambi iniziano a discutere con veemenza, però non capisco cosa si dicano.
I due sono ancora intenti a parlare quando io mi vedo dentro il prototipo di un nuovo treno che è diretto a Madrid: accanto a me siede una ragazza che non conosco e il cui fascino tuttavia mi pare familiare da tempo immemore. Il desiderio divampa.
Inizio a parlare con la mia vicina e dopo una lunga chiacchierata lei mi dice: "Il mio posto è qua". All'improvviso un responsabile del mezzo inizia a inveire contro un suo collega e a bordo scatta il panico perché un dispositivo del locomotore è fuori controllo: il viaggio di collaudo si appresta al disastro. Dopo poco il treno deraglia e si capovolge più volte. Vedo qualcuno che esce illeso dall'incidente e corre lungo una banchina (evidentemente tutto è avvenuto a… destinazione), perciò immagino che mi sia messo in salvo, ma quando guardo in faccia chi fugge mi accorgo che non sono io quello che l'ha scampata e allora capisco di essere morto. Mi risveglio di colpo.
Il contenuto di questo sogno funesto attiene non già all'amore, bensì a quanto può precederlo, ovvero quell'intima conoscenza tra individui che nelle sue massime espressioni sa scavalcare muri invalicabili e persino coloro che con pazienza certosina ne sistemano ogni mattone.
L'ambiente universitario chiama in causa una persona precisa che intuizioni tanto intraducibili quanto attendibili mi fanno ritenere molto affine a me, quasi che in una vita passata ci fossimo dati appuntamento in questa.
La mia paura di essere scoperto dalla professoressa come infiltrato simboleggia il contrasto che v'è sempre stato tra me e gli ambienti preposti all'insegnamento: è la mia totale repulsione per simili contesti. Il completo disinteresse per le dispute di quei mondi è rappresentato dalla piena noncuranza con cui sfuma la scena dell'alterco tra il mio conoscente e l'insegnante.
La ragazza che trovo in viaggio è come se fosse una vecchia conoscenza benché di fatto ne sappia poco. Il nuovo prototipo del treno indica modi inediti di rapportarmi alla mia vicina, figli di una evoluzione personale e dell'assestamento di alcune convinzioni che solo da poco hanno trovato in me la loro piena quadratura, tuttavia il disastro che ne segue conferma come ogni tentativo vecchio o nuovo sia destinato a fallire miseramente: o forse no.
"Il mio posto è qua", mi dice costei prima del disastro: ovvero ovunque meno che accanto a me perché io non resterò là. L'incidente avviene dentro la stazione in quanto ognuno volente o nolente raggiungerà la propria meta, cioè la morte, tuttavia è la maniera in cui ciascuno vi arriverà che farà la vera differenza. Quest'ultimo punto secondo me è anche un monito che l'inconscio mi volge affinché io continui a trovare ogni senso dentro di me, come se di fatto fossi già morto, ma per ragioni di sopravvivenza emotiva e non per partito preso: ciò si accorda con le immagini finali di questo episodio onirico.
Mi devo guardare da un possibile errore in d'interpretazione, difatti se mi piegassi alle lusinghe delle difese regressive finirei per credere che il mio compito sia quello di chiudermi in me stesso e userei tali spunti per avallare una condotta autodistruttiva, ma in realtà devo fare l'esatto opposto, in tempi e modi che siano in accordo con la parte più autentica di me e con il corso degli eventi. Il cuore deve restare aperto, spalancato, anche se alla fine, oltre la sua soglia, non restasse altro che una città fantasma, forse mai fondata.