È assurto agli onori delle cronache il caso di un trentanovenne che colto da cecità e tetraplegia (a seguito di un incidente) reclamava da tempo il diritto all’eutanasia. In realtà la faccenda era già nota a chiunque come me segua le iniziative per sostenere il diritto a una morte dignitosa.
Alla fine costui è stato costretto a raggiungere le terre elvetiche per trovare là una via di fuga dalle sua prigione di carne. L’attuale parlamento (al pari di altri, d’altronde) ha rinviato più volte la questione dell’eutanasia, come in un bieco tentativo di rimandare al più tardi possibile il problema, cosicché il Vaticano non se ne abbia a male. Orde di pingui maiali legiferano su molte inezie e perdono tempo nei dibattiti interni ai loro partiti merdosi, però non riescono a dare la priorità ad alcune faccende che sono lasciate in sospeso di proposito per una calcolata ignavia. Oggigiorno soltanto chi ha certe risorse economiche può concedersi il lusso di porre fine al suo inutile calvario, ma tutti gli altri sono costretti a protrarre il proprio strazio fino a quand’esso non ne consumi l’ultima goccia di energia: così pretendono alcuni luridi bastardi in nome del loro altrettanto lurido credo e in ragione di una papesca cortigianeria.
L’ho già scritto e detto più volte, tuttavia, poiché repetita iuvant, colgo l’occasione per ribadirlo ancora: qualora mi accadesse qualcosa d’irreparabile io non vorrei nessun tipo di accanimento terapeutico e se avessi ancora un briciolo di coscienza chiederei un celere ricorso all’eutanasia. Invero, per quanto nella piena clandestinità di un vuoto normativo, ma in forza di un’umanità che a taluni è del tutto sconosciuta, già da tempo l’eutanasia trova una sua applicazione nelle zone grigie della pratica medica.