La dietrologia non mi entusiasma e non smanio di rinvenire un complotto in ogni accadimento. Da profano credo che le condizioni di certi stati non dipendano da una congiura massonica, ma dalla cattiva amministrazione delle finanze pubbliche. Per qualcuno la realtà sarebbe durissima da affrontare se non avesse un nemico immaginario contro cui scagliarsi.
Faccio fatica a costruirmi un’opinione fondata sulla crisi europea, difatti dovrei possedere ampie conoscenze di economia e diritto internazionale, però io non vado oltre il baratto e la legge del taglione: mi gioverebbe un corso d’aggiornamento. Per essere un cittadino davvero informato e partecipativo dovrei possedere una numero smodato di competenze, ma almeno conosco i miei limiti e non ammanto di categoricità quei punti di vista che meglio collimano con la mia persona. Credo che nessuno dovrebbe innamorarsi delle proprie idee, un po’ come quei giocatori di poker che sanno rinunciare a delle carte apparentemente buone. Vorrei che la politica fosse avulsa da qualsiasi passione e consistesse soltanto di un freddo calcolo volto a produrre benessere nel maggior numero possibile di individui.
Baratterei la libertà d’esprimermi su questi argomenti se mi venisse offerto un mondo o almeno un continente che non mi desse più ragione di farlo: in altre parole cederei una forma di vanità che spesso appare sotto le mentite spoglie di un diritto inalienabile; non sarebbe una grande perdita in quanto non è raro che dire la propria equivalga a dire una stronzata.
Non mi preoccupa il futuro poiché la più tetra delle ipotesi attuali non è che una passeggiata di salute in un mattatoio a confronto di quanto è successo nel novecento. Mi dispiace per tutte le generazioni che saranno sacrificate in nome di un periodo di transizione, tuttavia al di là del mio tempo io intravedo un’evoluzione che verrà posta in essere da chi ancora deve nascere.
Una volta, in terza media, la professoressa d’italiano mi punì con una nota di demerito quando le dissi che non avevo svolto il compito a casa nel quale avrei dovuto illustrare i miei progetti per il futuro. Già allora, difatti, non albergava in me il desiderio di diventare qualcuno e per fortuna neanche in seguito quest’ultimo è mai venuto a bussare alla mia inferriata, o forse si è presentato a mia insaputa ed è stato spaventato dai cani da guardia. Non ho mai avuto ambizioni particolari, sogni, carote o altri ortaggi da mettere davanti al mio carattere per trainare la volontà come una bestia da soma. Non mi sono mai interessate le qualifiche né i riconoscimenti, ma se avessi ricevuto qualcosa del genere, il giorno successivo al conferimento di tali addobbi avrei portato tutto a un rigattiere per poterne ricavare qualche tallero. Se l’anno scorso l’Esercito Italiano non avesse scartato il mio profilo psicologico forse oggi, con nove mesi di servizio alle spalle, mi sarei già potuto fregiare del grado di caporale e quest’ultimo sono certo che non lo avrei svenduto. Mi considero nel fiore degli anni e sboccio ogni giorno in un deserto emotivo che almeno io non trovo inospitale come invece accade a qualcun altro che tra quelle stesse sabbie sconfinate appassisce a ogni sospiro. Non penso che si possa ottenere una buona fioritura innaffiandosi soltanto di lacrime e sborra, ma io sono il giardiniere di me stesso, non mi occupo di altre radici che non siano le mie, e a titolo informativo: il mio pollice verde non ha mai lambito le pendici del monte di Venere. Adoro le cose che non vanno in porto, quelle che hanno un attracco lontano, ma a cui sta comunque a cuore il raziocinio e di sicuro né le previsioni catastrofistiche né l’isteria che le veicola ne fanno parte. La fine dell’umanità è un prodotto da supermercato che si trova in confezioni diverse. C’è quella attribuita alle profezie dei Maya, adatta per l’esoterismo domenicale e indicata per i bambini dai tre ai sei anni. Ne esiste una versione cospirativa, adatta per trascorrere le serate con folte schiere di dietrologi, complottisti e altri nani da giardino che hanno in orrore il CICAP. V’è anche un tipo più prossimo alla realtà, per coloro che hanno lo stomaco debole, e in questa veste la fine del mondo si presenta attraverso le parole di qualche studioso canuto che oltre a riproporre il pensiero di Thomas Robert Malthus, ne prevede la concretizzazione in tempi stretti.
Le parate sono frequenti e vengono celebrate con i colpi a salve di chiunque sappia sparare cazzate. Aiuto il vento e soffio anch’io contro il pessimismo artefatto che aleggia anche quando non è motivato. Non mi piacciono i Maya né le loro previsioni che talvolta vengono chiamate profezie. La dietrologia e il disfattismo impregnano i ragli insistenti di alcuni bestie da soma a cui la natura ha concesso la facoltà di esprimersi verbalmente. Trovo che la vita abbia un grande charme e per questo motivo ne sono attratto. Mi imbarazza chi denigra la propria esistenza senza un motivo valido e mi tengo a debita distanza dai servi dello sconforto gratuito: non voglio querimonie in omaggio. Qualcuno non desidera ricevere un presente sotto l’albero di Natale, ma si auspica che uno dei suoi nemici venga ritrovato impiccato a un ramo appesantito dagli addobbi. L’aria è sempre inquinata da un livello piuttosto elevato di aggressività e rancori, ma io spesso respiro altrove e guardo le lotte dei miei simili senza puntare neanche un centesimo sui loro esiti: preferisco scommettere sui combattimenti dei galli colombiani. Non chiedo di meglio, proprio come una madre che frequenti appassionatamente un amico del figlio. Il maltempo imperversa e grazie alla crisi globale sembra che piova sul bagnato, ma io non mi sono mai sentito così sereno e sospetto di non essere ancora giunto al limite di questa sensazione positiva. L’ora è tarda, un nubifragio scuote l’ambiente esterno e una gioia immotivata acuisce la sua presenza costante dentro di me. Potrei aggiungere qualcos’altro, ma secondo taluni io non sfrutto pienamente le mie capacità: non sono un approfittatore.