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Set

Tra damnatio memoriae e iconoclastia

Pubblicato venerdì 15 Settembre 2017 alle 17:52 da Francesco

La cancellazione del passato non è una vocazione recente, ma già nella Roma repubblicana era una pratica tutt’altro che inconsueta. Dell’iconoclastia invece i bizantini non hanno scritto grandi pagine, tutt’al più hanno distrutto quelle che contenevano immagini sacre, però ne hanno fornito esempi straordinari.
In quest’epoca di stucchevole buonismo vi sono certi gaglioffi che vorrebbero modificare il retaggio architettonico del ventennio fascista, tuttavia presumo che costoro caldeggino simili proposte con l’unico scopo di rimediare un po’ di facile visibilità per la loro carriera politica in netto declino. Non mi sorprendono mai le vette di stoltezza a cui riescono ad assurgere certuni, difatti credo che non vi sia modo di mettere un freno all’idiozia così come non lo si può porre alla provvidenza. Per illustrare cotanta pochezza non vedo la necessità di scomodare un iperbolico e risibile paragone con l’opera di distruzione che ha compiuto Daesh nel Medio Oriente, ma i vili di casa mia, miei connazionali sulla carta ancorché de facto stranieri (e giammai profeti) in patria, meritano anche siffatte canzonature.
Mi fa sorridere l’idea che qualche sincero democratico (o presunto tale) voglia vietare certi gesti e determinati simboli, equiparandone l’esibizione sotto il profilo penale a reati di ben altro spessore; proposte del genere avallano vieppiù il mio convincimento secondo cui la vera uguaglianza degli esseri umani si trovi nella reciproca tendenza alla sopraffazione.
Talvolta alcune proibizioni instillano un ulteriore vigore in ciò che viene proibito e così ne incrementano la forza, ma non mi sorprende che a certi somari una simile idea non passi neanche per l’anticamera del cervello. I divieti risultano strumenti efficaci soltanto in precise circostanze e vi sono invece dei casi in cui questi sortiscono effetti contrari ai loro intenti, perciò il loro savio ricorso spetta a intelletti che sappiano discernerne l’opportunità.

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12
Gen

Damnatio memoriae

Pubblicato sabato 12 Gennaio 2013 alle 23:40 da Francesco

Questo è l’esordio di un libro che non mi sono mai deciso a scrivere. L’ho ritrovato quest’oggi in mezzo ad altri appunti e ho scelto di riversarlo qua sopra poiché non ho alcuna intenzione di riprenderne la stesura.

Avevamo appena sfondato l’ultima lapide quando un lampo improvviso soppresse il buio del cimitero: quel bagliore fu caduco quanto lo era stata la vita del bambino che si trovava sepolto accanto al bersaglio finale dei nostri martelli. Coperti dai sibili del vento e col favore delle tenebre che ci eravamo procurati tramite il sabotaggio dei lampioni perimetrali, noi avevamo scelto quella notte di gennaio per profanare le tombe di alcuni politici. Indisturbati, fortemente convinti, meticolosi e al contempo feroci, per quasi un’ora ci eravamo impegnati anima e corpo a fare scempio di chi non aveva mai avuto la prima né ormai poteva più disporre del secondo. Scritte assai ingiuriose, colate di vernice, urina sui marmi divelti e volantini d’accusa: tutto questo eravamo riusciti ad allestire con caotica perizia. Prima di andarcene io assolsi il compito d’immortalare con la fotocamera del cellulare cotanto sfregio: in seguito le immagini e i filmati sarebbero stati diffusi con il duplice scopo di informare e d’istigare ad atti d’emulazione.
Sulla strada del ritorno tacemmo tutti e quattro per precauzione, però non fiatammo nemmeno una volta giunti alle moto. Senza la luce indiscreta della Luna e con dei rumori nembiferi sempre più prossimi, salimmo in sella e ripercorremmo le strade sterrate che avevamo studiato a menadito per scongiurare eventuali controlli di polizia o carabinieri. Lungo il tragitto pensai alle mosse successive, ai piani a cui la nostra cellula si era dedicata per oltre due anni e che erano in procinto di concretizzarsi nel più efferato dei modi. In cuor mio sapevo che presto avremmo imboccato una strada senza ritorno, d’altronde la nostra era diventata una scelta obbligata che volevamo condividere con quanto l’aveva resa tale. Il nostro tempo era contato, come quello d’ogni altro, ma a tratti veniva scandito a mo’ di lentissima tortura.

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